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Lawrence d’Arabia / 19627.9115 voti

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Immenso.

di
VOTO:
9

Era da parecchio che volevo vederlo e proprio in questi giorni mi accingevo a farlo. La scomparsa di Peter O’Toole mi è parso un curioso segno del destino, e così ne ho onorato la memoria.
Penso che “Lawrence d’Arabia” sia un capolavoro. Narrando la biografia di un uomo che ha compiuto grandi imprese in un contesto bellico mondiale sullo sfondo dell’arida immensità del deserto, ci ricorda che il cinema può farsi epica. E, nelle riprese più intime di dialogo aperto e sincero tra personaggi sotto il cielo stellato, così come nelle spettacolari scene di bombardamento e di assalto a città fortificate, forse ci fa anche notare come il cinema possa essere arte. Infine, anche se con le revisioni e le modifiche del caso, è la Storia stessa che scorre davanti agli occhi dello spettatore.
Prima del moderno 3D e della CG era possibile realizzare affreschi di questo genere, che ancora oggi lasciano meravigliati per la perizia e l’impegno che traspaiono. Il film è qualcosa di monumentale, 3 ore e 42 minuti (tagliate a 3:25, restaurate infine a 3:37) che non risultano pesanti, o meglio, che forse possono stancare lo spettatore ma che, a ben vedere, stanno bene così come sono, nella loro integrità. Se fosse stato più corto, non avrebbe potuto rendere altrettanto efficacemente il dramma che mette in scena.
I personaggi sono caratterizzati con notevole impegno, sia come singoli che come parte di qualcosa di più grande, una geopolitica arida e spietata quasi quanto il deserto, che è padrona degli uomini, più che loro strumento. Bravissimo Peter O’Toole nel rendere l’atipicità e il romanticismo di T. E. Lawrence, così come i suoi dubbi esistenziali e morali. I tre personaggi arabi principali (Feisal, Auda e Ali) presentano ciascuno tratti ben distinti e ben resi, evitando ridondanze. La cultura dei popoli della Penisola Araba viene mostrata come diversa e distante da quella inglese, ma molto affascinante e misteriosa, oltre che in grado di inserirsi perfettamente nell’ambiente ostile in cui vive. Inoltre, prima che il politically correct lo rendesse impossibile, anche le debolezze ne vengono messe in mostra, in particolare una certa qual invidia verso la civiltà occidentale e un’apparente incapacità a dotarsi di leggi e costumi tipici di una cultura stanziale. Gli inglesi, sebbene muovano i fili della politica della zona, non sono descritti in maniera semplicistica come “i cattivi” e lo stesso dicasi per i turchi, nemici forse, ma non cattivi di per sé.
David Lean si riconfermò, dopo “Il ponte sul fiume Kwai”, in grado di realizzare opere impressionanti per la loro magnificenza, bissando il successo alla notte degli Oscar.

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