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La grande bellezza / 20137.3984 voti

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VOTO:
7

Il vuoto sì. Cosa muova tutto il film di Sorrentino è chiaro, una pesantissima sensazione di vuoto. Tralasciamo le motivazioni, c’è una fumo quasi di pesante nulla che arieggia nella vita della capitale, grandioso simbolo dell’italia tutta, una bruttezza (a discapito del titolo) imperante, una formidabile tensione ad arrancare verso il giorno successivo senza che nulla rimanga e nulla rimane. La performer è di un idiotismo unico, ma di successo; la ragazzina non fa arte, ma i galleristi se la contendono; lo scrittore non scrive, ma è comunque un uomo “che muove” la mondanità e la critica della stessa; il cardinale certamente non fa il suo mestiere; e tutto, tutto è rappresentazione, cafona per di più.
Forse il film è speculare al Garrone di Reality, lì dove si guardava alla società bassa intrappolata nella rappresentazione di un alternativo auspicato e desiderato che si sostituisce alla concretezza di un mondo comunque in perenne, teatrale inconsistenza (ricordiamo il folgorante incipit favolistico del matrimonio), qui si guarda alla società danarosa che non fa altro che mettere in scena feste, funerali, arte, passeggiate, incontri, anche il criminale nel suo balcone mette in scena, come da un palco, pezzi della sua vita, compreso il suo arresto. Rappresentazione appunto.
Che Sorerentino sappia girare è un dato di fatto, che sia il simbolismo esasperato, la scheggia improvvisa di qualcosa che si impone nei suoi film (la bambina che si nasconde, i bambini che corrono, il mare sul soffitto, anche i fenicotteri, il logo Martini su Roma, l’onirica passeggiata per i palazzi romani, lo splendido finale sui titoli di coda) di una bellezza, questa sì, incontrovertibile, diamolo per acquisito.
Ma non era il film che mi aspettavo da tanto chiacchiericcio. E’ un film sulla vecchiaia, sul tempo perduto e sulla nostalgia della giovinezza. Non ci sono giovani neppure alle famose feste se non qualche bambino felice e qualche bambino infelice che arringa per difendere il suo diritto all’infanzia, un ragazzo legato alla follia e ad una solitudine terrificante, due innamorati fugaci e la tristezza della propria giovinezza perduta. Questo è un film che guarda al tempo trascorso, al disfacimento fisico, all’urgenza gridata dalla consapevolezza che il tempo stesso sta finendo: Jep non vuole più fare ciò che non gli piace (non ha tempo da perdere), Ramona è un personaggio scollato dalla sua età anagrafica che di tempo fisico non ne ha più; Romano si arrende al fatto che abbia l’ultima occasione per stare sufficientemente bene: questo è un film in cui il futuro finisce quasi domani. Se c’è la potenza di un qualsivoglia messaggio questo secondo me è quello che dice dell’Italia, non c’è progetto, non c’è speranza, non c’è orizzonte oltre alla festa che sarà data domani, siamo ripiegati su un passato che è inesorabilmente alle nostre spalle.
Venti minuti in meno non avrebbero guastato.
Ottima la Ferilli, dolente e brava. Non mi è piaciuto Verdone. Servillo è ormai davvero un pezzo della nostra coscienza collettiva, camminava in un paesaggio a la De Chirico nel Divo, qui è peggio, passeggia in una Roma da affresco quasi rassicurante tanto da risultare un elemento fuori luogo in ogni luogo.
E Sorrentino almeno evita ogni ammiccamento alla politica alta/bassa/media, se deve fustigare qualcuno fustiga la borghesia progressista (di sinistra proprio e sempre popolata da tutti quei libri, li avete visti gli Einaudi anni 60, le belle edizioni anche in prossimità del letto di Jep? Oddio, mi ricorda proprio qualcosa) che magnifica le proprie qualità indecorosamente false, specchio di tutta quella autorappresentazione che nulla fa per squarciare il velo e guardare la verità, qualsiasi essa sia.
Mi lascia perplessa il suo avvilupparsi dentro a un disagio individuale e psicologico direi proprio di Jep, che il motore della sua decadente corrosiva analisi della vita sia l’amore di gioventù perduto sfiora l’ovvio e il banale. Certo che non si sbaglia mai a individuare nella “grande bellezza perduta” il primo amore, la prima esperienza sessuale, il vigore dei venti anni che guardavano, quelli sì, a un futuro più lungo del dopo domani. Davvero il grande vuoto e la grande bruttezza ci sono solo là dove ci si è lasciati sfuggire l’amore? Davvero il cinismo, la consapevolezza agre e il distacco disincantato si possono avere a seguito della “delusione” amorosa, o meglio, dell’arrendersi al fatto di essersi lasciati sfuggire l’amore? E che l’unico momento del presente in cui il vorticoso mondo di Jep perde sarcasmo è i trenta secondi del bacio dei due giovani (che sono dieci giorni che non fanno altro che baciarsi)? Insomma fate di tutto per non farvi sfuggire l’amore, altrimenti sarete Jep, disintegrati (o, come dico io, polverizzati)

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