NientePopcorn

Inside Out / 20157.8885 voti

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di
VOTO:
8

[PIRACY ALERT: “Settembre” tua sorella.]

[SPOILER ALERT: citerò pochi momenti del film, comunque non colpi di scena.]

[CONSISTENCY ALERT: sono deluso, ma le stelle sono comunque otto.]

[ALERT ABUSE: chiedo scusa.]

Non sto a ribadire la trama, perché l’abbiamo sentita talmente tante volte nell’attesa dell’uscita di questo film da generare addirittura un elemento di noia durante la visione, e quel poco di svolgimento ulteriore non porta elementi a favore dell’originalità del film.
Ci era stata promessa una storia sconvolgente, oltre limiti che nemmeno la Pixar avesse mai osato raggiungere. E noi giù a pensare a Eternal Sunshine of a Spotless Mind, Viaggio allucinante, Salvador Dalì, David Lynch. Noi, almeno, che pensiamo che gli animatori e gli storyteller in Pixar dai grandi abbiano imparato il mestiere e ai contemporanei come Gondry non abbiano da invidiare niente. Chi ama il cinema d’animazione non può accettare compromessi nel giudicare questi prodotti. La Pixar con Toy Story, Monsters & Co., Alla ricerca di Nemo, Gli Incredibili, Ratatouille e WALL-E ha segnato la storia del cinema, non la storia del cinema per famiglie, né la storia dei blockbuster; si è imposta come pietra di paragone raramente e difficilmente eguagliata. Il calo che ha intrapreso non è fisiologico. La fusione con la Disney ha forzato la mano, imponendo paletti a qualsiasi risvolto drammatico che non sia la singola scena di lutto, modello Bambi, che ogni giornale possa immancabilmente citare per montare il sensazionalismo (dalla cronaca ormai dilaga anche alla cultura).

La locandina e tutto il materiale promozionale di Inside Out ci urla che i protagonisti di questo film sono cinque. In realtà le vere protagoniste sono soltanto due, Gioia e Tristezza. Non è una cattiva notizia in sé, quanto per il fatto che uno dei cavalli di battaglia della Pixar era la coralità. In quest’ottica, questo cast è sprecato; se ci ripenso il mio omino della Rabbia mi spacca la console. Non è l’unico spreco. La struttura narrativa assomiglia tanto a quella che impreziosiva Alla ricerca di Nemo: il gruppo di protagonisti si separa, magicamente il tipico “viaggio dell’eroe” raddoppia, e raddoppia l’entusiasmo. Questa potenzialità invece non si realizza in Inside Out, che lascia a loro stessi tre personaggi deboli (Paura, Disgusto e Rabbia) e preda dello stereotipo che per definizione incarnano, mentre gli altri due (Gioia e Tristezza) affrontano un viaggio che solo a tratti è psicologicamente e narrativamente costruttivo, mentre complessivamente si avvicina a uno sterile disaster movie (e mi domando come accidenti sia potuta succedere una cosa simile). Troviamo, espliciti, anche echi di Toy Story: esserini di fantasia la cui ragione di vita è il benessere di un bambino che lentamente diventa adulto. La promessa di “qualcosa di completamente diverso” era una bugia crudele. Come se la Pixar non ci (mi) avesse già tradito abbastanza negli ultimi sette anni.

Mi è impossibile tacere tanta amarezza. Di nuovo. Non lo nascondo, di usare per la Pixar (e la Disney, e tutti gli altri autori che amo) un metro di giudizio molto più severo rispetto a quello che applico a altri film, i cui difetti strutturali posso spesso e volentieri relegare in secondo piano a favore di momenti di sorpresa e maestria anche isolati ma che bastano a onorare quei film.

Per fortuna tanti altri aspetti del film lo rendono più che onorevole. Quella fra Gioia e Tristezza è una guerra, e entrambe sono potenze distruttive. Nell’ingenuità che comunque mai abbandonano i due personaggi che incarnano questi due devastanti sentimenti, affiora la minaccia che le due costituiscono per l’integrità psichica di Riley: Gioia monopolizza la sua mente a scapito delle altre emozioni; Tristezza rischia di portare Riley sull’orlo della depressione. La soluzione sta nel mezzo, o meglio nel riequilibrare l’influenza delle due (e poi cinque) emozioni sulla vita di Riley, ma sulla natura di questo equilibrio non mi addentro, perché chissà che studi psicologici sono necessari per capirla pienamente. Non per niente il film racconta il passaggio dall’infanzia all’adolescenza, cercando di illustrare il noto trauma che questo passaggio comporta. E qui il film serve da terapia psicanalitica anche per lo spettatore, che probabilmente rivaluterà i momenti di gioia e tristezza alla luce di quello che accade nella sua mente, magari proprio quei momenti generati dalla visione di questo film.
Le cinque emozioni hanno le voci di cinque ottimi comici, il che è garanzia di tempismo e di sicuro umorismo. Non mancano le citazioni né gli omaggi al cinema: i sogni sono paragonati a produzioni cinematografiche, e ho amato molto la scena in cui la Paura se li guarda (e li giudica/critica!) mentre Riley dorme.
L’unico vero momento di meraviglia per me è stato l’inizio, dove Michael Giacchino introduce il tema del film, una semplice melodia al pianoforte che traduce perfettamente la tensione (Tristezza) nascosta fra le corde della la spensieratezza (Gioia), e dove vediamo letteralmente nascere le emozioni di Riley appena venuta al mondo, in una genesi che sembra risolvere il mistero della mente umana, e quindi della vita. Questa suggestione iniziale apre così tante potenzialità: a qualcuno, come a Riley, sarà nata prima la gioia, a qualcun altro prima il disgusto, a altri ancora prima la paura. E aumentano esponenzialmente le potenzialità se pensiamo alle diverse combinazioni di queste cinque emozioni lungo il corso della vita, e a come questo sistema assomigli alle combinazioni del DNA. Il DNA è responsabile di definire il corpo; le cinque emozioni primarie sono definiscono la psiche, e la nostra unicità come persone, oltre che come esseri viventi. Il resto del film non riprende questa suggestione, se non durante le simpatiche scene extra nei titoli di coda. Ma sono, appunto, non più che simpatiche se relegate fuori dalla storia.

Questa recensione ha 3 commenti

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