Recensione su Westworld - Dove tutto è possibile

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Realtà alternative, sogni e coscienza / 9 Dicembre 2016 in Westworld - Dove tutto è possibile

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Prima stagione
Esclusa la regia di un episodio della serie tv Person of Interest, Westworld rappresenta il debutto in solitaria di Jonathan Nolan, fratello del più noto Christopher, a cui, però, si devono già le cervellotiche e oscure co-sceneggiature a quattro mani di quasi tutti i lungometraggi realizzati finora dal congiunto (Following e Inception, per esempio, restano fuori dalla lista). Attingendo a un’idea partorita da Michael Chrichton negli anni Settanta e già concretizzatasi nel film Il mondo dei robot diretto dallo stesso scrittore (1973), Nolan e la moglie e co-produttrice Lisa Joy hanno imbastito una serie tv sci-fi distopica dalle premesse decisamente intriganti.

Westworld è un parco a tema western dove, a fronte del pagamento di un sostanzioso biglietto di ingresso, gli “ospiti” possono interagire nelle maniere più svariate (compreso lo stupro) con una serie di robot così tecnologicamente avanzati ed esteticamente sofisticati da essere praticamente indistinguibili dagli esseri umani.
Ognuno di essi agisce all’interno del parco in funzione di una linea narrativa pianificata precedentemente dagli sceneggiatori della struttura e, in caso di morte, sia essa causata da un “residente” o da un “ospite”, vengono messi in manutenzione, ne viene resettata la memoria e, una volta curati, i robot vengono reinseriti nel contesto, per agire all’interno di un loop comportamentale che varia la propria orbita solo in funzione delle interazioni con gli “ospiti”.
Benché siano estremamente realistici e, grazie a una particolare formattazione dei loro parametri emotivi, siano in grado di provare istantaneamente sentimenti e sintomi umani, come il dolore e la stanchezza, in quanto automi i “residenti” non possiedono una memoria propriamente detta, essendo essa limitata alla propria storyline (es. rapporti di parentela/di lavoro e relazioni sentimentali tra i personaggi).
Orbene, con il progressivo affinamento delle loro capacità, nel tentativo di renderli maggiormente reattivi e commercialmente sempre più interessanti, i robot vengono dotati di una sorta di esperienza. In virtù di questa modifica, pare che, un giorno, alcuni di essi inizino a dare fuori di testa: ripescando in maniera inconscia alcuni ricordi appartenenti a periodi temporali molto lontani e a precedenti linee narrative, le intelligenze artificiali prendono coscienza di sé e del contesto in cui agiscono.

Alla luce di tutti questi elementi, la serie tv Westworld sembra intenzionata a fornire una definitiva risposta alla domanda formulata da Philip K. Dick nel 1968 con il romanzo Il cacciatore di androidi, il cui titolo originale è, appunto, Do Androids Dream of Electric Sheep? (letteralmente, I robot sognano pecore elettriche?), che ha dato origine ad uno dei film di fantascienza caposaldo del genere, Blade Runner di Ridley Scott.
Dai tempi del golem ebraico, passando per il Pinocchio collodiano e il Frankenstein di Mary Shelley, fino all’illustre Aasimov, prima la letteratura e, poi, il cinema (e, per estensione, la televisione) hanno trattato della possibile esistenza della coscienza nelle creature artificiali: l’esperienza coincide necessariamente con la memoria? Nel momento in cui si vorrebbe smentire una volta per tutte questa possibilità, i robot di Westworld dimostrano non solo di possedere doti mnemoniche slegate dall’apparato narrativo impostogli dai superni, ma anche di sviluppare emozioni (come l’odio e il rancore) indipendenti dalle impostazioni informatiche di default.
La rivolta delle creature è matematica: nella prima stagione, assistiamo (molto lentamente) alla genesi della sollevazione robotica ed è dato presagire che, negli episodi futuri (la cui messa in onda è prevista solo nel 2018), sarà possibile constatarne gli sviluppi e gli effetti.

La serie tv creata da Nolan ha dalla sua un apparato di speculazione filosofica non indifferente, in grado di stimolare intellettualmente lo spettatore in maniera affatto banale: tale impostazione, però, costituisce anche uno dei limiti del prodotto, che insiste spesso in maniera univoca sulle implicazioni morali della materia, appesantendo talvolta inutilmente la visione con concetti reiterati. Una manciata di episodi in meno, nel corpo centrale della stagione, e credo che l’intero ciclo ne avrebbe giovato.
Oltre all’incipit, ho trovato davvero ben architettati e riusciti dal punto di vista narrativo gli episodi dall’8 al 10, caratterizzati da ottimi colpi di scena e da una interessante rappresentazione del concetto di realtà alternativa (in particolare, il concetto del labirinto nel labirinto, basato -credo- sullo sfruttamento dell’idea che un’immagine semplificata delle circonvoluzioni del tessuto del cervello umano,il labirinto per eccellenza, possono trovare corrispondenza in quello informatico dei robot).
In particolare, ho apprezzato molto la rivelazione dell’esistenza di almeno due piani temporali diversi perfettamente intersecati nella vicenda di Dolores (Evan Rachel Wood) e il disvelamento relativo all’esistenza di almeno un altro World ambientato nel Medioevo giapponese, il che, insieme al fatto che non esiste alcun riferimento concreto al mondo al di fuori di Westworld, apre suggestivi scenari sulla realtà: qual è il futuro, più o meno prossimo, in cui è nato il parco? Come è strutturata la società? Il bisogno di violenza e trasgressione che non sembra lasciare spazio al sogno (elemento emblematico della “vita” dei robot) è giustificato anche da un particolare status quo?

Buona la prova generale del cast, con una brava Thandie Newton, Ed Harris strepitoso con il suo cappellaccio nero e le ormai mille rughe incise sul suo volto e ottimo sir Anthony Hopkins, ambigua divinità pagana dalle pause significative.

Voto prima stagione: 7

3 commenti

  1. ADRIANO / 14 Dicembre 2016

    la più bella e condivisa recensione di una serie televisiva, posto che è anche la prima che leggo, ma varrà per il futuro

  2. andrrrea / 21 Gennaio 2017

    Una serie che lascia davvero tanti spunti di riflessione. Ne metto qui alcuni (anche per una mia necessità di “catalogare”).
    1. Il nostro rapporto con i ricordi e la memoria (bellissima una frase riccorente di Bernard: “questo dolore è tutto ciò che mi rimane di te”);
    2. le esperienze pregresse e il vissuto di ognuno che sono la base per la costruzione di una coscienza e quindi di una personalità;
    3. il rapporto fra creatore e “creato” nonché i sentimenti di ribellione nei confronti dei propri creatori. Vien facile il parallelismo tra le vicende di Maive (miglior personaggio, absolutely) e Dolores con la storia della/e religione/i, dallo sciamanesimo-animismo degli uomini primitivi fino al sentimento di ribellione e rifiuto delle divinità a cui si è arrivati nell’epoca post-moderna (bellissima la scena dove Ford analizza La Creazione di Michelangelo).
    Tante riflessioni complesse e stimolanti ma al tempo stesso anche tanti momenti un po’ troppo ridondanti e intricati in cui ti chiedi “perché devi complicare tutto?”, la sensazione è che abbiano messo un po’ troppa carne al fuoco. Resta comunque una serie di alto livello.

  3. andrrrea / 21 Gennaio 2017

    4. Le situazioni più estreme sono quelle che tirano fuori il vero io?

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