Watchmen

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serie tvWatchmen

In un mondo alternativo, in cui l'attore Robert Redford è diventato Presidente degli Stati Uniti e i paladini mascherati sono considerati fuorilegge, un'accolita di suprematisti bianchi sembra voler rinverdire i fasti del massacro razzista di Greenwood, avvenuto a Tulsa, in Oklahoma, negli anni Venti del Novecento. Intanto, una ex poliziotta, Angela, cresciuta in Vietnam, collabora con le forze dell'ordine usando l'identità segreta di Sister Night.
Stefania ha scritto questa trama

Titolo Originale: Watchmen
STAGIONI/EPISODI: 1 Stagioni , 9 episodi, conclusa
Attori principali: Regina King, Yahya Abdul-Mateen II, Jeremy Irons, Tom Mison, Sara Vickers
Creata da: Damon Lindelof
Colonna sonora: Trent Reznor, Atticus Ross
Produttore: Damon Lindelof, Tom Spezialy, Nicole Kassell, Joseph E. Iberti, Stephen Williams
Produzione: Usa
Genere: Crime, Drama, Mini-Series
Network: HBO

Dove vedere in streaming Watchmen

Appassionante e folle / 30 Dicembre 2022 in Watchmen

La cosa che più mi ha colpito di questa serie, è la grande creatività che la pervade, una qualità rara (a mio parere) nell’intrattenimento cinematografico/seriale degli ultimi anni.
In nove episodi, succedono un casino di robe folli, è un continuo susseguirsi di momenti sorprendenti, inseriti però in una trama coerente, in cui torna tutto.
E’ impossibile anche solo immaginare alla lontana, dalla visione del primo episodio, le cose assurde che succederanno.

Lindelof, il creatore della serie, si approccia all’universo di Watchmen con grande rispetto nei confronti del fumetto di Moore e Gibbons, ma senza timore reverenziale, e anzi con una certa, positiva, sfacciataggine.
Ci sono vari personaggi della graphic novel che ritroveremo in questa serie, ma uno in particolare viene praticamente reinventato in una maniera geniale e impattante.

Uno dei grandi temi è l’odio razziale, ma c’è tanta roba dentro. C’è da dire che, secondo me, non si raggiungono le vette di profondità e complessità concettuale del fumetto, ma ci sono comunque diversi spunti interessanti e ambigui su cui riflettere, e anche se la riflessione critica sul supereroe qui non è centrale come nella storia di Moore, ci sono diversi aspetti che vengono esplorati sul concetto di “maschera”.

La storyline più interessante, per me, è quella relativa ad Angela e la sua famiglia. Il finale, nella parte relativa alla conclusione della grande minaccia che fa da sfondo alla serie, non l’ho trovato molto soddisfacente.

Flashback, puntate dedicate ad approfondire i retroscena dei singoli personaggi, ma soprattutto la capacità di costruire un “mondo” in uno spazio limitato, Queste mi sembrano alcuni dei punti di contatto nella struttura narrativa tra la serie e il fumetto.

Non mi è piaciuto però l’introduzione di un elemento inverosimile e fuori posto (in questo contesto), che è decisamente forzato. E, come detto, non mi ha fatto impazzire parte del finale, che sembra anch’esso piuttosto forzato.

Non sono grossi difetti, comunque, ed è una delle cose migliori di tutti i tempi, in ambito supereroistico (genere in cui però non rientra in pieno, a mio parere), ovviamente nei limiti del cinema e delle serie tv (nei fumetti ci sono troppi capolavori, tra cui Watchmen stesso, che raggiungono livelli a cui il cinema e le serie tv supereroistiche non sono mai riusciti ad avvicinarsi, a mio parere).

Spero che non facciano delle nuove stagioni, perché è perfetto così.

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Cinico, potente, divertente / 2 Gennaio 2020 in Watchmen

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Divorando la serie tv Watchmen, ho amato subito e tanto la folle lucidità di questo nuovo lavoro di Lindelof. Ho trovato incredibilmente originale e divertente lo stravolgimento e la riscrittura del mito narrativo creato da Alan Moore e Dave Gibbons. Damon Lindelof ha affrontato la materia immensa del graphic novel del 1986-1987 per creare un sequel… anzi, no, semplicemente un racconto compiuto, potente, colmo di sollecitazioni visive e filosofiche.

Tra i pregi maggiori di Watchmen, che avevo già apprezzato in un altro telefilm di Lindelof, The Leftovers, i personaggi sono puri archetipi (intesi come primi e autonomi esemplari di una “specie”) e -deo gratia- prescindono in maniera assoluta dalla propria connotazione sessuale, agendo nel racconto indipendentemente dal genere biologico di appartenenza. Ogni personaggio di Watchmen ha peculiarità assolute legate alla propria storia personale: non ci sono azioni e pensieri femminili o maschili. Ciò che i personaggi fanno è legato al loro vissuto, non alla loro apparenza fisica. Angela Abar/Sister Night (Regina King) è un solidissimo esempio di questo taglio asessuale scelto per la caratterizzazione dei personaggi. Non compie atti legati per convenzione alla sfera femminile e, contemporaneamente, non è neppure accostabile a un maschio “puro”. Angela (visto il finale, potremmo parlare di nomen omen?) è “solo” un soggetto cosciente, che agisce e reagisce in funzione di ciò che le accade intorno.
Mi sono divertita molto con Jeremy Irons: le situazioni tragicomiche dai risvolti etici che coinvolgono il suo personaggio sono uno degli elementi narrativi che ho prediletto.
Mi è piaciuta anche la scansione implicita della serie in capitoli, per cui ogni episodio, fino all’ottavo, direi, scandaglia la biografia dei vari protagonisti, illustrando come e perché sono arrivati a questo punto della storia (personale e collettiva).
Spero vivamente che Lindelof non smentisca quanto dichiarato finora e che la serie tv Watchmen si fermi qui, tanto è ben sviluppata e matura.
Ottimo anche il lavoro di Trent Reznor e Atticus Ross alle musiche, in cui mi pare di aver colto opportuni echi di certe colonne sonore degli anni Ottanta.

Prima di vedere Watchmen, non conoscevo affatto l’esistenza del Massacro di Tulsa raccontato nella serie tv e, informandomi un po’ in Rete, ho scoperto che, anche negli Stati Uniti, la drammatica vicenda è rimasta sconosciuta a molti per lungo tempo, anche perché chi era sopravvissuto all’eccidio pare abbia preferito non parlarne mai. Insomma, il fatto di aver portato all’attenzione internazionale un evento del genere, se possibile, reitera la ovvia ma non scontata constatazione che la cosiddetta società civile (non solo quella americana, ma fa specie che gli Stati Uniti, nonostante tutto e nonostante quel che accade oggi, proclami ancora di essere la culla della libertà) non è altro che l’esito di indicibili violenze: Watchmen è un racconto cinico, che, nonostante il finale, non dà molte speranze alla sopravvivenza del genere umano.

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Game Changer / 16 Dicembre 2019 in Watchmen

Il Watchmen di Damon Lindelof ha superato le mie aspettative sia nel riferirsi all’opera originale sia nell’inventare una storia nuova. Non avevo alcuna idea di come avrebbe potuto procedere, ma mi accorgo che ha compiuto una scelta quasi inevitabile, indirizzata già dallo spirito del fumetto di Alan Moore:
1) la retorica supereroistica (con la minaccia apocalittica sia realistica sia fantascientifica)
2) la spietata satira contemporanea (persino “divisiva”, qualcuno oserà dire), partendo persino da basi ottimistiche (la vittoria in Vietnam, nel fumetto; la “fine” del razzismo, nel telefilm)
3) il cast corale e la sua storia di miseria mondana (e riscatto ultramondano).
Eccelle e sorprende in tutti e tre i punti, anche e soprattutto grazie alla lezione di Lost (i flashback, i punti di vista, le connessioni).

Il finale, come già l’episodio 7, è sacrificato agli spiegoni e alle risoluzioni, ma si prende anche la briga di ricreare in una scena le atmosfere del finale del fumetto e seminare cliffhanger, buoni piú come finale aperto che come invito a una seconda stagione: ne avrei volute dieci di stagioni, se fossero servite a posticipare la risoluzione; cosí, invece, c’è il rischio di ripetersi e vanificare lo sforzo creativo e socialmente utile della prima stagione.

Bellissime le operazioni musicali, sia nelle canzoni di repertorio sia nella colonna sonora metal (a volte vintage) dei geniali Trent Reznor e Atticus Ross, disponibile su tre album.

Questo Watchmen conquista primati che sognavo ma non speravo: è la miglior derivazione possibile del capolavoro di Moore in termini di rispetto, creatività e coscienza sociale; è una nuova vetta nella carriera di Lindelof, sopraffino interprete dello zeitgeist e destreggiatore della tecnica narrativa, allievo riconoscente di maestri e, con discrezione rara, maestro lui stesso; è uno dei migliori telefilm dell’anno (forse il migliore, devo ancora riflettere sul resto) e fra i migliori di sempre, lí, vicino a Lost e a pochi altri game changer.

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