ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama
Prima stagione
L’anno zero delle serie tv crime/drama contemporanee è Breaking Bad. Punto.
Ma la prima stagione di True Detective ha raccolto e rielaborato l’eredità con modalità di tutto rispetto: si tratta, letteralmente, di un film diviso in otto puntate in cui la materia narrativa viene proposta con scarti pressoché sconosciuti alla serialità televisiva.
Il plot, diciamolo subito, ha i suoi difetti: c’è uno strano scollamento tra le prime cinque puntate, più o meno, ed i restanti episodi. La filosofia ossessivamente nichilista di Cohle (McConaughey è entrato in dimensioni interpretative pressoché sconosciute, una specie di iperuranio attoriale, il suo) perde parte della propria aura oscura ed il lato prettamente speculativo del racconto scema: quel che mi aveva colpito inizialmente, infatti, era il ribaltamento della normale prospettiva offerta dalle serie tv e dai film di genere.
La serie di delitti che sorregge la storia, infatti, pareva una specie di pretesto per indagare la faccia sporca della luna: così è, appunto, fino alla prima metà della stagione. Poi, assodate le posizioni dei protagonisti, l’inviluppo noir prende il sopravvento.
Nel complesso, questa scelta, benché un po’ stridente, non mi è dispiaciuta del tutto: i delitti che coinvolgono la coppia di detective in questione, infatti, è così intrigante, nonostante la sua natura profondamente malsana, da non poter essere sottovalutata. Sud remoto degli States, riti voodoo, sacrifici umani, religione deviata… ed un sottotesto letterario (The King in Yellow di Robert W. Chambers, considerato un “cult” perfino da Lovecraft) che, non foss’altro che per la curiosità generata da True Detective, meriterebbe di essere tradotto anche in italiano, per poter apprezzare completamente la deriva morbosa degli eventi.
Fotografia da manuale, interpretazioni tra le migliori della carriera, sia per Harrelson che per il già citato McConaughey, senza dimenticare l’apporto discreto ma fondamentale di Michelle Monaghan.
Il piano sequenza messo a bella posta sul finale della quarta puntata è una delle cose tecnicamente meglio girate che ho visto negli ultimi tempi: chapeu a Fukunaga che, lungo tutta la stagione, si è dimostrato un regista elegante ed estremamente capace.
Imperdibile.
Voto prima stagione: 9 stelline
Seconda stagione
Tutto quello che avevo da dire su questa seconda stagione antologica di True Detective l’ho riversato qui: https://www.nientepopcorn.it/notizie/serie-tv/prime-opinioni-serie-tv-true-detective-2-30685/
Certo è che True Detective 2 è stata una delusione gigantesca.
Nota: alla luce di successive esperienze seriali, mi sento di dover rettificare quanto detto in apertura. L’anno zero delle crime series è I Soprano, da cui Breaking Bad ha imparato tanto (e benissimo).
Voto seconda stagione: 4 stelline
Terza stagione
Episodio per episodio, ecco cosa penso della terza stagione di True Detective: https://www.nientepopcorn.it/notizie/serie-tv/true-detective-3-recensioni-68479/
Voto seconda stagione: 5 stelline
Aggiornamento 20 febbraio 2024
Quarta stagione
Aspettavo questo nuovo ciclo di episodi come il Natale.
Prima di tutto, per la presenza di Jodie Foster. Poi, perché erano trascorsi troppi anni dalla (miseranda) stagione precedente e confidavo che, avendo avuto un po’ di tempo per pensarci, gli sceneggiatori di turno avrebbero potuto sfornare qualcosa degno di essere visto.
Non posso dire di essere rimasta completamente delusa, però Night Country non mi ha entusiasmata come speravo.
Sei episodi non sono tanti, è vero, però la “ciccia” non mi è sembrata tale da giustificare una intera stagione: secondo me, un film di un paio d’ore sarebbe stato più che sufficiente.
L’ultimo episodio, per fortuna, tira (quasi) tutte le fila della storia e mitiga con mestiere la deriva paranormale che, nel resto delle puntate, rischia di dominare il racconto.
Ho trovato abbastanza superflua la storia del giovane poliziotto e di suo padre: ha qualche implicazione narrativa, ma penso che l’intreccio avrebbe funzionato anche senza aggiungere rimorsi e demoni (anche) alla vita del ragazzo.
La coppia Danvers (Foster) – Navarro (Kali Reis) funziona, ma -più che altro nei primi episodi- mi sono sembrati personaggi troppo connotati e, per eccesso, stereotipati (donne fortissime, lontane da tutte le convenzioni, versate al comando/a prendere in mano qualsiasi gioco, ecc.).
Vista anche la sua conclusione, la quarta stagione di True Detective, per la prima volta scritta e diretta da una donna, Issa López, è “dalla parte delle femmine”, però riesce a farlo senza essere retorica o scontata. Punto a favore.
Della lingua dell’attivista, non m’interessa molto.
Della storia di Navarro, invece, mi preme di più. López ha detto che la fine di Navarro è lasciata all’interpretazione del pubblico. A me piace propendere per: “Navarro sta lavorando per fare pace con le proprie ossessioni ed è partita, non è morta”.
Solo alla fine, ho colto una precisa connessione con la prima, mitica stagione (“Il tempo è un cerchio piatto”), ma pare che ce ne siano altre e sono di quelle cose per le persone che hanno una memoria di ferro (cosa che io non ho).
Insomma, nel complesso, per me, raggiunge la sufficienza e un po’ di polvere di stelle in più.
Non ho idea se sia in cantiere una quinta stagione, ma, per quel che mi riguarda, spero che non sia così.
Il format (che non avrebbe mai dovuto essere tale, perché reggere il confronto con la prima stagione è sempre stato improponibile) è stato spremuto (male) in più direzioni, senza convincere (me) mai.
Voto quarta stagione: 6 stelline.
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