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Tredici

/ 20176.7276 voti
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Dopo la prima un’incredibile discesa / 27 Novembre 2021 in Tredici

La prima stagione travolge, la storia appassiona, i personaggi piacciono, nonostante le tematiche siano molto forti la serie porta alla riflessione personale. Dalla seconda in poi un crollo. Sembra che in fondo la storia sia finita, non si ha più molto da dire ormai ma si vuole a tutti i costi andare avanti. Alla prima stagione avrei dato 8 ma con l’avvento delle altre il mio voto scende verso la sufficienza.

Voto 6,5

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Voto 5- / 12 Novembre 2020 in Tredici

Prima stagione: Bella
Seconda stagione: Noiosa:
Terza stagione: Brutta
Quarta stagione: Pessima
Ultima puntata: da guardare con il fast forward

prima serie interessante, le altri inutili… / 16 Ottobre 2019 in Tredici

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

interessante e originale la prima stagione; sulla scia del successo hanno voluto continuare e diciamo che la seconda stagione ha un suo perché, un po lenta, ma ci sta.
Assolutamente inutile e fine a se stessa la terza stagione, sembra voler e dover giustificare a tutti i costi Bryce, che “alla fine hai visto che è buono”.

Doveva finire con la prima / 8 Dicembre 2018 in Tredici

Prima stag. voto 7.

Un teen-mystery con tematiche importanti e attuali ma tirato fin troppo per le lunghe.
Seconda stag. voto 4.

Quando il successo è superiore alle aspettative e la seconda stagione diventa un obbligo, il risultato è spesso una stagione del tutto superflua. Scrittura ignobile, episodi tediosi.

Ignobile / 15 Ottobre 2018 in Tredici

Trovo questa serie (almeno la prima stagione, visto che mi sono fermata dopo quella) un insulto a coloro che purtroppo si scontrano con problemi come il suicidio. La protagonista non soffre per il bullismo (eccezion fatta per lo stupro, naturalmente), semmai soffre di un grave disturbo di personalità. Se la serie si fosse concentrata su quest’ultimo, sarebbe risultata più credibile.

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PRIMA STAG : Picchi alti e bassi SECONDA STAG : inutile e ruffiana / 3 Gennaio 2018 in Tredici

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

PRIMA STAGIONE

Serie estrema, grandi peculiarità e grandi difetti.
PREGI:
-recitazione sublime, più o meno di tutti. Ok Clay è monofacciale, ma regge alla grande. Lei, Hannah , strepitosa. Come anche gli altri.
-grandissima l”idea” di base, la ricostruzione tramite eventi raccontati in musicassetta.
-i momenti di tensione, seppur concentrati nelle puntate finali , sono veramente ben realizzati e comunicati allo spettatore.

DIFETTI:
– le prime 7-8 puntate sono troppo scollegate. Io avrei dimezzato la durata della serie.
-alcuni dei “motivi” sono veramente poco credibili: alla fine solo uno può comportare un giustificato crollo psico-fisico(lo stupro…, uno visto,uno subito), le altre sono vicende brufolose che abbiamo passato tutti,suvvia(la lista chi ha il sedere + bello…rubare i bigliettini di apprezzamento…rubare una poesia … le delusioni d’amore…la perdita di un’amicizia…ma dai, per favore). Stupri a parte, sembrano tutti espedienti “amplificati” per allungare il brodo.
-oltre ai motivi poco credibili, ci sono alcune forzature di sceneggiatura…
1-rapporto Hannah-Tony MAI spiegato, quando alla fine è praticamente uno dei punti di partenza della catena-musicassetta.
2-Hannah, si decide a chiedere aiuto…e anzichè dai genitori,va da uno psicologo scolastico???ma dai.

Insomma, serie “forte”con grande recitazione e regia… ma non so se la consiglierei a causa di una eccessiva lungaggine iniziale e per una sceneggiatura a volte davvero troppo forzata.
E qui , concludo il giudizio cinematografico.

Ora due righe sul “messaggio” della serie:qua secondo me si è ottenuto l’effetto opposto di quello che si voleva mandare… più che condannare e tentare di evitare il suicidio di adolescenti, la serie potrebbe invece persuadere qualche debole e labile mente , a spingersi verso questa soluzione…facendolo, la protagonista si vendica, sembra ottenere quella giustizia mai avuta…attenzione con questi messaggi.
Inoltre-come detto- sembra che un atto del genere sia giustificato da eventi invece del tutto innocui e che fanno parte della vita di tutti…
Non so, io ci andrei moooooolto piano a far vedere questa serie a un gruppo di ragazzini adolescenti.
Rischia veramente di avere un effetto boomerang e mettergli in testa l’idea opposta a quella voluta.

SECONDA STAGIONE:

Una ridicolaggine per sfruttare l’onda della prima stagione.
9 puntate una più inutile dell’altra , a ripetere cose già dette e stradette , aggiungendoci storie di personaggi ultra-secondari di cui a nessuno frega nulla. A cui si aggiungono una valanga di stereotipi, che diventano cosi tanti da far sembrare tutta la situazione grottesca , anzichè drammatica : praticamente ogni studente americano o è gay, o è uno stupratore , o è un malato di mente, o un è un suicida o è un pazzo maniaco o è un drogato.Nessuno è “normale”.
Ultime 3 puntate interessanti : c’è l’idea che possa almeno avvicinarsi un colpo di genio finale , per ripagare lo spettatore. Ebbene, il colpo di genio è mettere in mano un mitra a uno dei tanti disadattati secondari e spostare l’attenzione negli ultimi 10 minuti , dal bullismo istigatore di suicidi al problema delle armi facili nelle scuole. Da prendere il telecomando e scaraventarlo contro lo schermo….
Oscena. E peccato…perche la prima stagione è da vedere , per originalità e contenuti.

Mi fa davvero sorridere pensare a cosa metteranno nella terza…già ufficializzata.

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. / 10 Giugno 2017 in Tredici

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

S1
Non vorrei entrare troppo nel merito dei temi affrontati e del messaggio che viene trasmesso dalla serie, tutti lodevoli e condivisibili, ben vengano questi fari proiettati sulla crudeltà gratuita, sull’indifferenza, sugli abusi fisici e psicologici, sulle miserie dei teenager che non sono poi così diversi dagli adulti, sullo scollamento tra ragazzini e genitori che ignorano del tutto quale sia la vita dei figli o per buonafede o per indifferenza, sull’aver mostrato come il bullismo non sia solo quello dei teppistelli che rapinano e pestano i coetanei ma anche quello più subdolo delle dicerie, del “character assassination” operato sia tramite le nuove tecnologie che l’antichissimo passaparola (perchè i socialnetwork e gli smartphone hanno solo esacerbato, non causato, tutto ciò; se prima lo sputtanamento era rionale ora è planetario e, peggio, istantaneo), sull’aver mostrato come le vittime più fragili possano deprimersi a tal punto da giungere sotto sotto a credere di meritarserlo, di essere colpevoli in qualche modo pure loro, e soprattutto sull’aver evidenziato come tutto questo sia un fenomeno che può attecchire sia tra i disagiati che tra i cosiddetti bravi ragazzi cresciuti nelle famiglie da MulinoBianco, e che quindi non sussistono (o almeno non sempre) i cosiddetti ‘fattori ambientali’. Tra l’altro è una serie di cui s’è dibattuto praticamente ovunque e moltissimi hanno espresso anche meglio e in modo più ragionato, magari, il senso e la validità di questa serie come rappresentazione cruda della società made in USA, aggiungere altre parole ancora sarebbe superfluo, eccetto per l’amara considerazione di come purtroppo oltre alle belle parole e alle frasi di circostanza pochissimi poi si lascino toccare più di tanto nel proprio quotidiano, e dunque anche iniziative come questo “13reasons” lascino il tempo che trovano. In questo la serie vince facile, perchè permette al pubblico di immedesimarsi nella vittima e di convincersi che, nossignori, i cattivi sono sempre “gli altri” e “povera Hannah”, così possiamo andarcene tutti a dormire con la coscienza a posto.
Mantenendomi allora un po’ di più nell’ambito della sceneggiatura e uscendo dai discorsi generici, fermo restando la straziante storia di questa ragazzina che (pur non essendo immacolata al 100%, come sappiamo, ma del resto è così per quasi tutti) ha “miglia e miglia di pelle morbida e fragile” come unica protezione a coprirle l’animo e che ha “sassi legati alle caviglie” che la tirano a fondo nonostante ogni sforzo di restare a galla, sola come non mai, bisognosa di sostegno ma terrorizzata dal chiederlo perchè non sa più a chi rivolgersi nel dubbio di beccarsi un’altra bastonata, non posso non fare alcune considerazioni. Non trovo del tutto giusto inserire, in primo luogo, Clay tra i “colpevoli” della morte di Hannah (la timidezza non può essere una colpa, la confusione adolescenziale non può essere una colpa, l’aver rispettato la richiesta di una ragazzina che ti manda via urlante e spaventata, senza avere la lucidità di provare a capire il perchè essendo legittimamente ferito e perplesso, non può essere una colpa), così come non condivido l’idea che tutti i ragazzini – pur nelle loro meschinità individuali – ne abbiano responsabilità quando invece è chiaro che ciò che l’ha portata al suicidio è stato lo stupro subìto, quello e solo quello è il punto di svolta (e se non fosse solo questo il motivo, allora aggiungerei anche il senso di colpa per non aver impedito lo stupro su Jessica), e voler addossare la colpa di quel terribile evento a tutta una catena di fatti e persone è ingiusto, perchè è vero che probabilmente la fama di ‘slut’ affibbiatagli dai coetanei ha avuto un ruolo ma è vero anche che Bryce è a prescindere un maledetto stupratore per il quale è normale agire così – come arriviamo facilmente ad intuire da quel che dice a Clay – ed etichettare il suo crimine come naturale conseguenza delle azioni altrui mi sembra riduttivo, ed un’esagerazione fuori luogo usare il cliché narrativo del ‘butterfly effect’ per collegare a cascata una casuale carognata tra teenager ad un delitto di violenza carnale perchè allora lo si potrebbe applicare ad ogni contesto. E’ Bryce colui che ha armato la mano di Hannah, punto, su questo sono convinto, e affiancargli dei corresponsabili significa ridurre le sue colpe. Piuttosto io insisterei su Mr Porter, lo psicologo (all’incirca) della scuola, che alla confessione e richiesta di aiuto da parte di Hannah non sa trovare altra soluzione – vuoi per pigrizia, vuoi per sin troppo distaccato realismo, vuoi per superficialità – se non quella di “andare avanti” e lasciarsi tutto alle spalle perchè ormai quel che è fatto è fatto (ci voleva un Ph.D. in psicologia dare questi consigli?). Della serie: cuciti la bocca per non inguaiare il nostro frontman supercampione sportivo che fa guadagnare alla scuola n-mila dollari in donazioni, e già che ci sei la prossima volta tieni chiuse le gambe. Questo il messaggio di chi avrebbe dovuto aiutare la poveretta, individuo la cui meschinità individuale traspare in modo palese da come la fifa di essere incriminato lo porti a voler nascondere anche stavolta tutta la polvere sotto il tappeto (chiaramente la sua soluzione ad ogni problema), peccato per lui che ormai l’ammasso di polvere abbia le dimensioni di un cadavere sotto quel tappeto…
Detto ciò mi vorrei concentrare su alcuni dei difetti che ho riscontrato (perchè ce ne sono, eh, dai cliché su personaggi e situazioni, ad alcune battute volutamente ad effetto, ad alcune svolte prevedibili e ad alcune scelte narrative che non condivido). Su dei buchi narrativi (li definisco così per comodità), in particolare, buchi che non si possono semplicemente scavalcare come niente fosse perchè mi hanno lasciato dei grossi punti interrogativi.
1. Tony: non ci è stato detto come mai sia amico di Hannah, perchè non venga mai menzionato nei nastri e perchè si impegni così tanto nello spingere Clay (e verosimilmente gli altri ragazzini, a questo punto) ad ascoltare tutti i nastri (a parte la scontata motivazione del tipo “Hannah voleva così”), dobbiamo prendere tutto per buono. Parla anche di segreti, segreti da mantenere, di promesse fatte…ma quali siano non lo sappiamo.
2. Clay e la confessione di Bryce: non si capisce il senso di registrare quella confessione (missione per cui Clay si becca perfino un mucchio di legnate) se poi non la si porta alla polizia per incriminare lo stupratore.
3. La notte dello stupro: è buio e Hannah esce di casa, cammina per miglia a quanto pare fino ai ‘quartieri alti’, si ritrova alla festa di Bryce (che sta per terminare, chiaro indizio che si sia fatto tardi, se consideriamo poi che quando Hannah si è avviata i suoi genitori si erano già addormentati sul divano), si trattiene lì, subisce la violenza e torna a casa sempre a piedi. Tutto questo richiede lo spazio temporale di diverse ore, per essere credibile, eppure non si capisce come abbia fatto Hannah a “farla franca” con i propri genitori visto che se non è tornata all’alba a casa poco ci manca, e i genitori per quanto estranei alla vita dei teenager (come la media USA del resto, stando alla vulgata comune) non mi sono parsi tipi indifferenti e distanti dalla figlia, anzi, e mi sembra inverosimile che non si sia accorti della sua assenza da casa e del suo successivo rientro.

Alla fine della visione sono rimasto con una domanda (che lascio qui come conclusione di questo mio intervento rivelatosi assai più lungo di quanto preventivato) : i nastri sono solo un rinfacciare le colpe di ognuno o piuttosto il modo (anche inconscio, non lo escludo) tramite cui Hannah ha voluto portare alla luce la violenza subita e spingere i coetanei a denunciare Bryce come lei stessa non è riuscita a fare?

Voto finale: 6.5

S2
Dritti al punto: grande delusione. Su tutti i fronti. Non ha niente a che vedere con S1 come tematica, come impatto, come messaggio. E’ un’altra roba, una roba che più apocrifa di così non si può.
Ma argomentiamo.

Il grande male che affligge questa S2 e che è causa di tutti i problemi è l’essere eccessivamente didascalica (che già l’essere didascalici non è bene nemmeno a piccole dosi, ma un certo livello di tossicità almeno è tollerabile). Di sicuro, questo, è successo per via delle fortissime polemiche seguite al rilascio della S1 (ossia della serie originale basata sul romanzo omonimo) sulla messa in piazza di tematiche scottanti quali i profondissimi disagi emotivi adolescenziali, il bullismo nelle sue sfaccettature, la pressione dei pari, il consumo di alcolici e stupefacenti tra minori, il suicidio, le violenze carnali, l’incomunicabilità intergenerazionale, la fallibilità del sistema scolastico e del modello famigliare USA (e non solo), l’indifferenza reciproca…insomma tutto il carrozzone che si vorrebbe tranquillamente spazzare sotto il tappeto e continuare, possibilmente, a tenerlo lì fingendo che non sia mai esistito (il problema, infatti, non è mai che qualcosa esista ma che se ne parli). Infatti un elemento su cui si insiste molto, stavolta, con enfasi, martellantemente, con più tenecia che non si può, è la de-mitizzazione di Hannah[1] e del suo gesto estremo; viene ripetuto più e più volte che quella non è la riposta ai problemi, che quello di Hannah non è stato un martirio ma un egoistico (questo sì, il suicidio lo è sempre a mio personalissimo avviso e si fa bene ad evidenziarlo fortemente ed è giustissimo) atto di cattiveria (da ricordare lo sfogo rabbioso di Clay, il discorsetto del preside sul timore degli ammiratori-emulatori, ecc), addirittura un modo per fare del male agli altri, con tutta la chiarissima intenzione di dare un colpo di timone alla barca, di far sentire a posto i benpensanti e lanciare un messaggio a quello che si immagina essere il pubblico più impressionabile e possibilmente allettato dalla prospettiva non solo di darci un taglio radicale con l’inferno quotidiano ma anche – e soprattutto – di condannare all’eterno rimorso e alla pubblica gogna i “colpevoli” come ha fatto Hannah con i nastri. Un enorme bollino rosso da “don’t try this at home” insomma. Bollino che lampeggia spesso e volentieri.
E’ tutto un parlare allo spettatore, un lanciare messaggi al pubblico, un rivolgerglisi in modo quasi diretto, proprio come lo psicologo Mr Porter che nel suo immaginario what if con Hannah dice di star facendo tutto per un’ipotetica e generica altra ragazza lì fuori da qualche parte nelle stesse condizioni. Ma il pentimento di Mr Porter è tardivo, le sue sono vere e proprie lacrime di coccodrillo, ritengo sgradevole questa sua conversione radicale da struzzo che nasconde la testa sotto la sabbia (e se ricordiamo sotto la sabbia ha provato a ficcarci di tutto in S1, in effetti perfino il cadavere di Hannah) a giustiziere interventista, una trovata molto paracula per indirizzare il pubblico adolescenziale a non diffidare di figure di questo tipo nelle scuole (perchè uno dei messaggi – intenzionali o no – della S1, alla fine, è che a nessuno frega una cippa dei guai degli altri e perfino quelli preparati e pagati per aiutarti ti lasciano ad affogare nella melma quando hai bisogno di loro). Ma Mr Porter, qui, è un altro simbolo, rappresenta il “sistema” e tramite lui si attua in S2 la difesa strenua del sistema scolastico americano e del punto di vista adulto, una sottolineatura marcata di come il vero problema in tutta questa storia non sia tanto l’indifferenza (se non addirittura connivenza, come vediamo dal comportamento del coach del baseball ben consapevole del marciume tra i suoi pupilli ma altrettanto ben disposto a tollerarlo se non, verosimilmente, ad incoraggiarlo) degli educatori e delle famiglie (improvvisamente vediamo genitori presenti, interessati, preoccupati, del tutto in contrasto con l’immagine di indifferenza vista in S1) e la società che non ammette debolezze emotive e voci fuori dal coro, quanto piuttosto la reticenza dei teenager ad aprirsi e la loro ipersensibilità tesa ad ingigantire i problemi. Un altro enorme segnale di warnig lampeggiante: “ragazzi/e se avete problemi parlate!”.
La de-eroicizzazione di Hannah va anche oltre, tramite le scene del processo a carico della scuola e i flashback dei testimoni. Veniamo a sapere che le mitragliate di bugie continuano a bersagliarla da morta come da viva, con la scuola[2] (e verosimilmente i suoi investitori finanziari preoccupati di possibili danni d’immagine e di sicuri danni al portafoglio) intenzionata a deresponsabilizzarsi del suo suicidio (e qui, in effetti, devo dire di non sentirmela di colpevolizzare solo l’istituzione scolastica e di salvare invece i coetanei o, se vogliamo, la sua stessa famiglia che come gli insegnanti non ha colto affatto i segni di disagio della ragazzina – la responsabilità è di tutti, collettiva, cosa che però non significa “non è di nessuno”), e i suoi compagni[3] che come al solito per ignavia, convenienza, convenzioni, paura, riversano la loro personale versione riveduta e corretta per mettersi il salvo il fondoschiena. E non sorprende, anche se disgusta, vedere i loro genitori più interessati a tenere a riparo sé stessi, la famiglia e la prole che aiutare la verità a venire a galla, perché chi se ne frega dei figli degli altri, i figli degli altri possono pure crepare basta solo che quelli miei stiano un centimetro avanti al resto della massa. Ennesimo avviso ai possibili emulatori, con tanto di sirena e lampeggiante: lasciate perdere le vendette post-mortem perchè tanto nessuno pagherà e sarete pure dipinti come perfidi psicotici invidiosi che vogliono rovinare la vita di persone innocenti.
E sempre sul tema didascalismo, ecco il #MeeToo che anche qui, invadente in questo caso. Dal bullismo di S1, infatti, il tema di S2 viene del tutto schiacciato sugli abusi e sulla violenza carnale verso le donne, sul consenso esplicito, sul diritto al ripensamento, sui maschi paragonabili ai lupi pronti a saltare sulle Cappuccetto Rosso (pesantissime quelle parole sui ragazzi che, sempre e solo loro, creano le brutte situazioni). Ora, giustissimo criminalizzare coloro che criminali sono davvero (e infatti continuo a ripetere come fatto per S1 che Bryce è qui il vero farabutto, il colpevole effettivo, lo stupratore di Hannah e la causa vera del suo suicidio – le altre robe subite da Hannah per mano dei coetanei sono bazzecole a confronto), e giustissimo difendere il legittimo diritto all’inviolabilità. Ma suonano eccessive le affermazioni esposte per bocca di Sheri (la ragazza che aiuta Clay&co. a scoprire la “baracca degli orrori” della squadra di baseball) sui maschi che, sempre e solo loro, rendono le situazioni brutte (“Girls don’t just get themselves into bad situations, guys make the situations bad” – questo arriva a dire, e viene preso come postulato di fede[4] quindi non contestato), così come appaiono gravi e pericolose (come tutte le estremizzazioni) anche le parole di Mrs Baker quando fuori dal tribunale afferma di non aver mai conosciuto in tutta la sua vita una sola donna che non abbia dovuto subire molestie, abusi o peggio almeno una volta. Paraculissima, in questo senso, la sequenza dell’ultimo episodio in cui sono montate insieme le rivelazioni di tutti i personaggi femminili del serial (ragazzine e adulte) sugli “abusi” da loro subiti nel corso della vita.
Meglio sarebbe stato approfondire a questo punto la condizione personale di Bryce e dei suoi sgherri. Sarebbe stato interessante e non scontato provare a mostrare il perchè lo eccitino i rapporti forzati (ha un’erezione al ricordo della violenza su Hannah, c’è da immaginare sia affetto una qualche devianza psicopatologica allora), provare a capire cosa ci sia che non va nei soggetti del genere, cosa scatti e perché. Si allude un po’ di sfuggita al suo voler possedere tutto e a prendersi sempre quello che vuole perché viziatissimo (ma allora che senso ha fare lo stesso con Cloe visto che è già “sua”? magari allora è perché considera tutti suoi servi che devono solo soddisfare le sue esigenze, volenti o nolenti), ma in fin dei conti la motivazione che viene data a intendere sic et simpliciter è che tutti i maschi fanno così, quindi cosa mai ci si può aspettare da lui che ne è un esemplare da esposizione; tutto ciò dimenticando, allora, che su questa base si fa svanire la responsabilità personale e quindi la criminosità (e gravità) del gesto visto che “così fan tutti” e non ci si può fare nulla. Alla faccia della contraddizione.

Una nota sul finale, che sposta l’attenzione dei vari warning alert su di un altro tema evergreen: la diffusione troppo facile di armi negli USA e le sparatorie all’interno di scuole/campus universitari per mano di chi, giunto oltre il livello di sbrocco, mette in scena la propria personale versione di “Un giorno di ordinaria follia”. Una buona occasione per un possibile finale ad effetto, peccato che venga sprecata dall’autocensura preventiva[5].

Scarsissima fiducia nella già annunciata S3. Se queste sono le premesse…

Voto finale: 3

[1]: Una Hannah del tutto out of character se la confrontiamo con quella di S1, irriconoscibile, così come ooc sono anche altri personaggi: Zach, in particolare, il cui intensissimo legame segreto con Hannah è del tutto inspiegabile e fuori luogo, e se ci fosse stato un fondamento anche minimo Hannah nei nastri avrebbe sicuramente rinfacciato a Zach di averla scaricata per vergogna di sfigurare con gli amici, e lo stesso avrebbe fatto con Bryce e la baracca degli orrori per inchiodare tutti se fosse stata vera la sua relazione segreta con lui.
L’immagine pura, innocente, idealizzata, verginale di Hannah viene infranta dalle rivelazioni durante il processo, dai flashback, perchè come dice la stessa Hannah-allucinazione a Clay, c’è più di una versione della verità (espressione che non mi piace, la verità è per definizione unica, meglio dire allora “più pezzi del puzzle della verità”). In tutto questo, però, non si capisce perchè in S1 Hannah abbia insistito così tanto su Clay, Clay unica persona che contasse davvero per lei, unico punto di riferimento, l’unico da cui volesse essere notata, capita e quindi di fatto sull’essersi innamorata di lui al punto tale da, delusa, scaricare anche su di lui la responsabilità del suicidio, e su tutto questo Clay ha tutto il diritto e la giustificazione a sentirsi preso per i fondelli in questa storia). Ok che S1 appartiene ad un concept ben diverso da questa S2 del tutto originale, ma il precedente dovrebbe essere rispettato e tutto ciò non ha senso.

[2:] Resta anche da capire come abbiano fatto gli avvocati della scuola a sapere tanti dettagli anche confidenziali sui rapporti di Hannah con i compagni, roba che verosimilmente sapevano solo gli interessati, considerando che i nastri sono stati giudicati inammissibili come prove (e che molta roba nei nastri nemmeno c’è).

[3]: Scopriamo anche l’acqua calda, tra l’altro, ossia che dietro la maschera di convenzioni, di ipocrisia, di appartenenza imbelle al gruppo per timore di restare isolati, di repressione della propria individualità in forza del conformismo omologante, tutti (beh, quasi tutti) hanno una propria personalità che solo nel privato sono in grado di mostrare, solo quando si sentono al sicuro, quando non possono temere nulla poiché a guardarli ci sono solo altri isolati, altri reietti. Infatti cosa vediamo, che al di là delle meschinità compiute molti della cricca hanno avuto dei legami con Hannah. Ryan, Zach, Justin, Alex, Jessica, tutti amichevoli, comprensivi, nel privato, salvo poi tornare sghignazzare con gli altri per paura di finire anche loro nel tritacarne, per paura di dover ammettere in pubblico che quella Hannah non è affatto l’etichetta che le hanno assegnato ma una persona con cui condividono molto, per paura di dover ammettere di avere un po’ di Hannah anche dentro loro stessi.

[4]: L’assioma “tutti i maschi sono porci” è vergognoso tanto quanto “tutte le donne sono t***e tranne mia madre e mia sorella”. Così non si risolve nessun problema, non si previene nulla, non si sensibilizza, si punta solo il dito verso un nemico che è tale per l’unico motivo di esistere, una vera a propria guerra dei sessi in senso letterale in cui sono già stati stabiliti dicotomicamente i “buoni” (le buone) e i “cattivi” su basi prettamente genetiche: il cromosoma Y come marchio di infamia, garanzia di malvagità.

[5]: Non sarebbe stata una brutta idea quanto meno far entrare Tyler armato al prom, mandare a nero e lasciar sentire al pubblico solo degli spari e delle grida.

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Quando popolarità e qualità si incontrano / 12 Maggio 2017 in Tredici

È vero si, la nuova serie Netflix calca il solco dell’interesse contemporaneo per le “nuove” manifestazioni di violenza quali il bullismo, lo stupro, il cyberbullismo, lo stigma, e molto dell’interesse suscitato deriva dalla diffusione comunicativa di blog e testate giornalistiche, che molto spesso banalizzano i concetti ponendoli sotto la luce del male assoluto, epurandoli di contesto e spessore.
E subito va detto che Tredici no, non banalizza niente e affronta le tematiche di petto, sbattendocele in faccia nella loro complessità. Questa è la sua indiscussa forza, oltre ad una narrazione studiata ad arte per evolvere man mano con lo sviluppo della trama, nella logica del “seminare per poi raccogliere” frammenti di accaduto che non sembra spiegare immediatamente, ma con cui poi riesce a fare i conti con sapienza. Molto in Tredici è esagerato ma plausibile, conseguenza di una approfondita consultazione di specialisti (psicologi, sociologi ed esperti) a stretto contatto con il lavoro filmico: attori e scrittori in primis. Vediamo in breve alcuni punti salienti.
1) Lo scollamento e l’empatia con la protagonista Hannah Baker. Il collegamento tra la protagonista e lo spettatore della serie è tutt’altro che univoco, ma anzi è frammentato e va dalla condanna dell’esasperazione della condizione di Hannah, con la quale spesso non si condividono i troppi disagi, all’immedesimazione totale nel suo dolore progressivo. Hannah ci racconta le sue tredici ragioni del suicidio, e così facendo ci chiama inevitabilmente (e paradossalmente, data la sua morte esplicitata sin dall’inizio) ad un giudizio continuo del suo comportamento, delle sue reazioni alle vicende che la circondano. E questo giudizio, come detto prima, è in continua evoluzione durante il percorso seriale fino a sfociare, nell’ultima puntata, in un climax dall’impatto devastante, scansando il ragionamento razionale per incidere sull’empatia emotiva.
2) Clay e i personaggi di contorno: la comprensione delle loro azioni. Tutti i personaggi principali che interagiscono con Hannah, e che poi andranno a costituire le ragioni del suo suicidio, non sono mai costruiti con banalità, ed è forte l’immedesimazione che lo spettatore può provare nei loro confronti. La comprensione delle logiche dei “carnefici” è un altro dei punti stupefacenti della messinscena, e il motivo per cui la narrazione si fa multisfaccettata, reale. Se riusciamo a capire le ragioni di chi sta dall’altra parte il nostro giudizio è messo a dura prova, e lo stimolo alla comprensione diventa profondo. Un esempio: Zach, uno dei personaggi meno approfonditi, subisce nel suo percorso narrativo almeno tre o quattro sviluppi psicologici, passando da essere lo stupido complice al sensibile, poi vendicativo e ancora il ragionevole. Tutto con estrema cognizione di causa, mai forzando senza una valida giustificazione psicologico-sociale e di contesto.
3) Oltre i personaggi: la costruzione dei contesti familiari e sociali. Non meno importanza acquisiscono le famiglie dei personaggi della serie, molto spesso presentate con dovizia di particolari o accennate il tanto che basta per sottoscrivere livelli più profondi di comprensione dei ragazzi e delle loro azioni. È un intreccio articolato che da loro muove verso il contesto familiare e si allarga in quello sociale: ruoli, aspettative e aspirazioni per il futuro che collidono creando gap emotivi e incomprensioni, alla base di malesseri sia individuali che generazionali. La famiglia è, in taluni casi, incubatrice delle peggiori patologie o ansie sociali (è il caso di Justin, Alex, Zach o Courtney) o luogo di conforto e di ascolto (in modi diversi nei casi di Clay, Jessica e la stessa Hannah). È un approccio particolaristico al problema che evita di fare di tutta l’erba un fascio, pericolose generalizzazioni che ancora una volta avrebbero negato la complessità della tematica.
“Tredici” è forse il tentativo più riuscito di regalarci con una serie tv una lettura comprensiva profonda di certe tematiche, scansando una volta per tutte la divisione netta tra bene e male, vittime e carnefici, per sbatterci in faccia la complessità dell’intelaiatura sociale su cui tali problematiche attecchiscono, ricordandoci la responsabilità che tutti noi abbiamo nella creazione della vita sociale nella quale siamo immersi.

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Soggettivamente parlando / 1 Maggio 2017 in Tredici

Partiamo dal presupposto che 13 reason why ha molti difetti dal punto di vista magari prettamente tecnico e non può magari competere con serie come Breaking bad o Got ecc.
Ma ha un pregio che si mangia tutto il resto: ti colpisce al cuore.
Chi di voi non ha pianto almeno una volta in tutta la serie? I personaggi ti entrano dentro, sono così reali, dei veri adolescenti, l’atmosfera teen non è pesante e non si riduce a quelle versione stereotipate e moraliste scritte da adulti che credono di sapere che significa essere adolescenti.
I problemi, le cattiverie sono cose reali che noi stessi abbiamo fatto e subito, chi di noi non si è sentito preso in giro almeno una volta, e a sua volta ha fatto lo stesso?
Questa serie ti porta a fare un mea culpa, su quegli anni (che per sono oggi avendo 20 anni) e farci riflettere sul nostro menefreghismo ed egoismo che a volte ci portano a escludere il diverso per emergere.
Questa serie è altamente disturbante e non la consiglierei ad un ragazzo o persona con problemi di depressione perché potrebbe essere fatale (ha la capacitò di deprimerti assurda)
Le atmosfere di questa serie mi hanno ricordato film come “noi siamo Infinito” e “donnie darko” dalla colonna sonora, al protagonista (tutti e tre con problemi ” mentali”)
Con lo stesso modo di trattare l’adolescenza, in maniera cruda, non edulcorata ma con una certa sensibilità.
In fondo siamo stati e siamo tutti a nostra volta Clay, Hannah o Alex, abbiamo indugiati, siamo stati feriti, e abbiamo ferito per magari codardia. Ci sono molte banalità, buchi di trama e il tutto risuona molto americano (mi ha ricordato diario di una nerd super star in alcuni momenti) ma questa serie colpisce, poi a volte si perde in sotto trame inutili, in una regia non ha il top, ma ti prende il cuore e per un fattore personale, per quanto questa serie mi è penetrata sotto la pelle, non posso che giudicarla positivamente e darle un bel 7,5
*la seconda stagione sarebbe da 2, metto come voto complessivo 6 perchè sono molto generosa

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Oltre le tredici ragioni … / 29 Aprile 2017 in Tredici

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Devo ammetterlo. Forse avrei dovuto scrivere la recensione di Tredici un po’ prima, prima che finisse anche questa serie tv nel fiume del virale, prima del delirio di massa sui social e prima che si riducesse tutto a un meme al limite del trash. Ma del resto non staremmo parlando di 13 Reason Why se non ci fossero di mezzo dei rimpianti di qualche tipo. E, se Clay, il protagonista della serie, si è preso così tanto tempo per ascoltare le cassette di Hannah, posso permettermi anch’io un piccolo ritardo. Si, avete letto correttamente, Clay. So bene che il personaggio principale è Hannah, la sua storia travolgente è sicuramente al centro della trama, ma è di Clay che vorrei parlare.

Su di Hannah si sono già spese molte parole. Basta digitare il numero 13 su Google ed è un attimo trovare vita, morte – soprattutto – e miracoli della nostra amata beniamina: è stata eccessiva? Poteva resistere? C’erano altre strade prima di percorrere quella senza ritorno? Le risposte a tutte queste domande le potete trovare altrove. Ma Clay? Non è facile capire il giovane Jensen. A metà tra il ragazzino sfigato e un moderno eroe al contrario, in realtà Clay è tutti noi. Non serve trascorrere le proprie giornate in bici o tra i corridoi della Liberty High con un paio di cuffie Beats in testa per sentirci come lui. Magari non abbiamo mai trovato cassette di qualche tipo davanti alla porta di casa ma abbiamo tutti dei rimorsi come i suoi, ci sono cose che avremmo voluto dire o fare e ora è troppo tardi: avremmo voluto parlare con quella ragazza ma non lo abbiamo fatto, dovevamo dire così ma abbiamo detto cosà, dovamo fare di più ma non lo abbiamo fatto. E se l’unica via è guardare avanti, tuttavia non sappiamo come procedere e siamo bloccati.

È tutta qui la spada di Damocle del nostro eroe solitario Clay Jensen: sarebbe andato tutto diversamente se fossi rimasto in quella stanza con Hannah? Nessuno stop sarebbe caduto? Nessun incidente, nessun senso di colpa, nessuno stupro, nessun suicidio? È quello che “Casco” probabilmente continuerà a chiedersi per sempre, e non ci sono perle di saggezza da parte dell’”inutile Yoda” Tony che potranno mai reggere. Ed è quello che non fa dormire la notte anche noi, mentre tra le coperte ci interroghiamo sugli “E se?” E allora che fare? Clay prova con la vendetta, indossa un maglietta con la scritta “hero” – la avete notatata? – e va a casa di Bryce. Farla pagare ai protagonisti delle famose cassette per quello che hanno fatto ad Hannah sembra una soluzione, ma non è chiudere con il passato.

E poi prova con un lavoro su stesso. So che molti non avranno gradito il misterioso avvicinamento di Clay alla chiromante e dark “bruja” Skye al termine dell’ultimo episodio. Perché non la cheerleader Sheri? Molti non avranno gradito nemmeno il finale. Ma un significato c’è: si può imparare dai propri errori per il futuro, essere più presenti, più attenti, più vicini alle persone giuste, fare di più, avere meno paura di aprire la bocca quando serve. Avere meno paura. Possiamo dormire più sereni sapendo questo? Forse no, non è il solo messaggio che si può trarre da una serie così ben fatta. 13 Reason Why è uno show che colpisce prima allo stomaco e poi al cuore e serve andare molto oltre le tredici cassette per capirla davvero.

Ora sembra che di cassette ce ne saranno di nuove. Il rinnovo della serie per una seconda stagione è alle porte. Resta da vedere se sarà all’altezza della prima – difficile – e quali conigli gli autori dello show di Netflix saranno in grado di tirare fuori dai loro cilindri. È chiaro che resuscitare Hannah sarà dura – alle resurrezioni ci pensano già altre serie, come Prison Break e la sua folle stagione cinque – ma anche solo la possibilità di ritrovare il nostro Clay ci stuzzica la curiosità.

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Superficialità disarmante. / 28 Aprile 2017 in Tredici

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Forse sono stato poco poco generoso con il voto, ma a me questa serie ha lasciato davvero una cattiva sensazione.
Iniziamo da ciò che mi è piaciuto: l’importanza che viene data a quanto sia difficile essere una ragazza vittima di molestie sessuali in un liceo, a quanto faccia male essere oggettivati e ricevere continue attenzioni sessuali non richieste. Trovo sia un tema di fondamentale importanza sul quale c’è bisogno ancora di molta sensibilizzazione, e questa serie TV l’ha affrontato in maniera esaustiva e completa. Altro più della serie è sicuramente la scena del suicidio, descritto in maniera cruda, dolorosa, realistica. Violenta. Devo dire che da una serie del genere non me l’aspettavo. Per quanto mi riguarda i lati positivi finiscono qui.
Una scena chiave è rappresentata dal momento in cui Clay, il protagonista della storia che ha in custodia le cassette con i segreti del suicidio di Hannah decide, in pieno spirito da giustiziere, di bullizzare a sua volta Tyler, fotografo stalker, per paura di cosa arriverà a scoprire su se stesso prima che per vendicare la sua amica. Trovo che sia una scena significativa dal momento che fa capire, per un solo istante, che i “bravi ragazzi” (categoria proposta e riproposta nella serie fino alla nausea) non esistono, e che chiunque può diventare bullo a seconda delle situazioni in cui si trova per quanto le proprie intenzioni siano candide. Avrei voluto che si parlasse di più di questo in “tredici”, ma invece no. L’attenzione è focalizzata sul quanto dei ragazzi stronzi possano condurre una ragazza al suicidio.
La cosa che mi ha dato più fastidio in assoluto (a livello di messaggio e di concetto) è che vengano messe sullo stesso piano questioni totalmente differenti tra loro: problemi che fanno parte (e che DEVONO far parte) della vita di ogni adolescente come tradimenti, amicizie finite, rifiuti (Jessica, Zach, Courtney, Marcus – molestia sessuale a parte-), errori che portano conseguenze su altre persone (Sheri, seconda cassetta di Justin) e con i quali i “carnefici” saranno già costretti a convivere per sempre, e nel caso di Sheri la redenzione era iniziata quando Hannah era ancora in vita, ed episodi invece completamente umilianti che davvero possono sconvolgerti la vita, come la pubblica umiliazione (prima cassetta di Justin, Tyler, Ryan, pur essendo quest’ultimo inconsapevole, e Alex, pur essendo abbastanza incolpevole) o, decisamente il più significativo, lo stupro di Bryce. Se questa serie TV diventasse un monito per gli studenti di liceo, c’è il rischio che si possa gridare all’istigazione il suicidio perché la tua amica ti ha tagliata dal giro o perché qualcuno ti ha rifiutata.
Ma nel mio modo di vedere l’arte, deve essere il messaggio ad adeguarsi alla forma e non viceversa, quindi parliamo della forma.
Forse sono stato condizionato dalla persona che mi ha consigliato questa serie, la quale mi aveva detto “è bella perché non ci sono i soliti cliché”. Sarà stata sicuramente colpa sua se io ci ho visto solo ed esclusivamente cliché, in ogni secondo di ogni puntata. I personaggi sono stereotipati, c’è una continua divisione in squadre tra “bravi ragazzi” e “bulli”, e la maggior parte dei personaggi è completamente statica e senza personalità. Ci sono alcuni episodi che sono completamente telefonati (io ad esempio avevo già intuito la morte di Jeff al secondo/terzo episodio), puoi intuire cosa succederà puntate intere prima che succeda. E questo non è un gran punto di forza in una serie TV, o sbaglio?
Per concludere, e forse sarò ridicolo ma è il motivo principale per cui questo è un 4 e non un 5, la colonna sonora è TOTALMENTE inadeguata.

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Quando Cresci il Tuo Cuore Muore / 26 Aprile 2017 in Tredici

PRIMA STAGIONE
Prima di iniziare devo fare un appunto su questa serie: l’ho presa molto sul personale. Come credo ognuno di noi. Perché ci siamo passati tutti, attraverso l’adolescenza, e tutti, chi più chi meno, sappiamo come realmente sia a discapito degli innumerevoli, inutili teen movie che non fanno che proporci un adolescenza americana stereotipata e edulcorata.
Invece qui no, qui non si parla di stereotipi, qui si parla di gente vera, gente reale, gente che ferisce altra gente, gente che soffre, gente che si fa del male, gente indiifferente… Si parla di mostri che distruggono la vita di qualcuno senza neanche rendersene conto. E la cosa assurda è che tutti coloro che distruggono la vita di Hanna Baker, non sembrano mostri, sembrano reali. Sembrano gente che noi tutti abbiamo conosciuto, gente che si poteva benissimo trovare tra i corridoi delle nostre scuole, gente con cui abbiamo parlato, che abbiamo affrontato o ignorato, gente che abbiamo conosciuto.
La cosa assurda è che Hanna Baker è una ragazza come tante altre, né più né meno. Eppure tutto il mondo se la prende con lei. Perché lei? Perché proprio lei? Con che criterio il mondo sceglie le sue vittime? Non lo so. Ma so perché tutti si divertano a ferirla. Perché siamo egoisti, perché siamo soli, perché siamo deboli fuori di testa dalla disperazione. Perché gli adulti ci propongono un modello di società che dovrebbe funzionare come una perfetta macchina, quando in realtà è solo la versione aggiornata della catena alimentare. Egoismo, indifferenza, chiacchiere, sostituiscono il pesce grosso che mangia quello piccolo. Gli adulti si limitano a seguire le prassi, non sono in grado di proteggerci perché un mondo in cui noi siamo protetti non potrebbe mai essere il loro, e loro non hanno intenzione di cambiarlo. Allora si limitano a idealizzare i propri figli, a credere che siano migliori di quello che sono. Dimenticando che gli adolescenti non sono più inconsapevoli come i bambini, ma ancora così insensibili. Gli adulti preferiscono ignorare, non ha caso a loro è imputata la vera responsabilità dell’accaduto. E gli adolescenti si adattano a tutto questo, nascondendosi dietro a una maschera, a una reputazione, imparando a fare il doppio gioco, imparando a fingere di essere qualcun’altro. Dimenticando chi sono. E diventando insensibili, narcisisti, egoisti, agendo contro un singolo individuo con un cinismo impressionante. Piccoli adulti che non hanno un né un codice morale né delle facoltà cognitive totalmente sviluppate.
Lo so, tutto questo sembrerà più un commento che una recensione. del resto l’ho già detto, questa serie tv l’ho presa molto sul personale.
E perché tutti pensino che se te la prendi, sei troppo sensibile, quando in realtà è il mondo che è troppo insensibile. Dopotutto credo che la sensibilità verso gli altri muoia con l’infanzia. Ma forse Allison in Breakfast Club, mi aveva già dato una risposta : “Quando cresci il tuo cuore muore” , aveva detto nel lontano 1985
E’ proprio vero.
Voto: 8

SECONDA STAGIONE
Oh santo cielo.
Come cavolo ha fatto a crollare così tanto di qualità?
E non parlo solo della trama, che è un collage di roba messa lì a caso giusto per riempire i minuti…
Il problema sono i personaggi, che se erano ben caratterizzati nella prima stagione, qui nella seconda rivelano dei lati che non stanno né in cielo né in terra.
Da segnalare la deriva mentale di Clay che è diventato schizofrenico poraccio, e vede Hannah che gli parla tipo Humprey Bogart in Provaci ancora Sam, ma perchè? Ma che senso ha?
E anche Hannah, rivela di aver combinato un mucchio di cose in più di quelle che racconta, e inizio a sospettare che avesse anche lei qualche problema mentale. Per aggiungere dettagli nella storia hanno inserito dei fatti che non c’azzeccano nulla con quello che è accaduto in precedenza.
Per non parlare del numero di scene superflue. Ma perchè? Tutta la serie è un grande: perchè?
Poteva essere interessante sentire la storia raccontata da altri punti di vista.
Se lo avessero fatto con grazia.
Da segnalare anche l’improvvisa conversione al bene di alcuni dei personaggi più odiosi (vedi Courtney e Justin). La Liberty High è passata da essere una scuola superiore normale a essere peggio di Gotham City, e Bryce Walker è passato da essere un ragazzo benestante a un membro della famiglia Kennedy che ha agganci ovunque. Non lo so credo si sia perso il senso del limite, oltre ad aver sacrificato il semplice e per questo efficace “realismo” della prima stagione in nome di non si sa bene cosa. Cosa mi denuncia questa stagione? In cosa mi può far riflettere che è tutto esagerato? Perchè dovrebbe emozionarmi, che è tutto troppo esagerato e patetico?
Mi lascia solo questa sensazione di inutilità che proprio non riesce a scollarsi di dosso.
Il salto dello squalo è l’episodio 6, che appiccica alla storia di Hannah una protesi inutile, incoerente e agghiacciante per come è girata. Mah mi deve essere sfuggito qualcosa…
Voto: 4

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Un pugno nello stomaco / 24 Aprile 2017 in Tredici

Prima stagione
Tralasciando ciò che ritengo il maggior difetto della storia, e cioè i tempi di ascolto delle cassette da parte di Clay (chiunque le avrebbe ascoltate senza alcuna pausa), probabilmente questa è tra le serie che più mi hanno coinvolto emotivamente.
Non c’è stato episodio durante il quale non abbia urlato “c***o Hannah, reagisci”, anche se ero cosciente dell’inevitabile epilogo. E’ una storia che fa riflettere, ed è proprio Hannah a mostrarcelo, a spiegarci come una frase, uno sguardo, un atteggiamento possono far male al pari della pura violenza fisica; e se l’oggetto di questi comportamenti dovesse essere una persona fragile, allora l’esito potrebbe essere tragico.
Non posso che chiudere con una citazione di Clay nel tredicesimo episodio (sicuramente il più “forte”): “Deve migliorare, il modo in cui ci trattiamo e ci diamo una mano, deve migliorare per forza.”
Seconda stagione
Abbandonata al secondo episodio, veramente noiosa!

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Gutta cavat lapidem / 23 Aprile 2017 in Tredici

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Prima stagione
Tredici (13 Reasons Why) mi ha dilaniata.
Se, da un lato, non vedevo l’ora di terminarne la visione perché stufa di una insistita prolissità, dall’altro, vittima di un cortocircuito tra i piani del racconto e la realtà al di fuori dello schermo, mi spiaceva pensare di dover abbandonare alcuni dei suoi personaggi, Hannah Baker in primis.
Ultimamente (penso ad alcuni programmi del servizio pubblico, come Mai più bullismo), i medium della comunicazione si stanno occupando con sempre maggiore attenzione del problema del bullismo e delle sue conseguenze sugli individui che ne sono vittima.
Paradossalmente, però, ho l’impressione (probabilmente la mia è una percezione errata, intendiamoci) che le formule televisive basate sulla forma “reality”, per quanto indispensabili e meritevoli, non abbiano avuto, finora, la stessa risonanza di specifici prodotti documentari o di fiction. In questo caso, rifletto sugli effetti positivi, perlomeno in termini di discussione, di film come Bowling a Columbine di Moore ed Elephant di Van Sant (da cui Tredici, forse non a caso, riprende la formula à la Rashomon, con l’adozione dei molteplici punti di vista).
Non so se verranno ascoltati gli appelli di chi chiede che questa serie tv venga mostrata nelle scuole e diventi uno strumento didattico contro il bullismo: certo è che un prodotto seriale di questo tipo propone con sufficiente lucidità e varietà di prospettive ciò che, altrove (es. servizi giornalistici), viene perlopiù suggerito per motivi di format o di tempo. In questo senso, le lungaggini di Tredici potrebbero trovare una giustificazione: la reiterazione di precisi concetti potrebbe essere stata pensata per evitare di sorvolare con ulteriore noncuranza sulla questione.

A fronte di alcuni difetti in fase di script, in conclusione, Tredici propone più che esaurientemente le numerose possibilità attraverso cui si può portare un individuo all’esasperazione e a scelte fatali. Gutta cavat lapidem.
La protagonista, Hannah, è un’adolescente bella e intelligente che soccombe allo sconforto più nero, fomentato da comportamenti deprecabili e da “disattenzioni” di varia natura.
A un certo punto, a fronte della spaventosa e dolorosa lucidità con cui mette in atto il suo piano, ciò che le accade sembra evitabile, ma, come dimostra la sequenza di audiocassette da lei creata, molte delle persone che l’hanno ferita o non l’hanno aiutata non immaginavano (o preferivano non immaginare) di averla ignorata o ferita irrimediabilmente.
In maniera molto intelligente, Tredici insiste su questo aspetto della questione: agendo e parlando, bisogna essere in grado di prendersi cura degli altri, ponderando la potenza delle proprie esternazioni, perché azioni e parole hanno inevitabilmente degli effetti sulle persone a cui sono dirette e possono segnarle in maniera indelebile.
Come Clay, il ragazzo innamorato di Hannah che vuole scoperchiare il vaso di Pandora all’interno del quale sono nascosti i motivi del suicidio della ragazza (ma che, a un certo punto, accanendosi su Tyler, il fotografo, usa mezzi violenti e discriminatori per punirlo), tutti siamo potenzialmente bulli, a prescindere dall’età, dall’estrazione sociale e dallo “stile di vita” consueto.
Tredici si propone come un monito e sarebbe bene ascoltarlo, per applicarlo in qualsiasi contesto.

Voto prima stagione: 8 stelline.

Seconda stagione
[Aggiornamento del 25 maggio 2018]
Ussignur, che noia. Non riesco a superare lo scoglio del terzo episodio. I nodi della prima stagione sono venuti inesorabilmente al pettine, con tutte le loro leziosità.
Abbandono e ridimensiono il mio voto generale a una sufficienza.

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Una serie necessaria / 13 Aprile 2017 in Tredici

Ho deciso di scrivere questa recensione per il semplice fatto che occupandomi di sensibilizzazione e contrasto al bullismo nelle scuole l’ho sentito come un dovere. E un dovere dovrebbe essere quello di proiettare questa serie in tutti gli istituti superiori di secondo grado, perché facendo tanto male, fa del bene. Fa male perché è un pugno diretto allo stomaco, in quanto narra le motivazioni che hanno spinto una giovane adolescente a togliersi la vita e le narra dal punto di vista della vittima, per una volta, in una sorta di Rashomon contemporaneo. Fa bene perché nessuno merita di vivere quello che ha vissuto la protagonista della serie e che vivono centinaia di migliaia di adolescenti ogni giorno. Fa bene perché parlando di bullismo, sessismo, violenza sessuale e slut shaming parla della società che ci circonda, spingendoci ad agire, a smettere di ignorare voltandoci dall’altra parte.
Oltre che dal punto di vista contenutistico, la serie è ben riuscita anche dal punto di vista tecnico: la colonna sonora è spaziale e azzeccata, così come la scelta degli attori principali, soprattutto Hannah, la ragazza suicida. Mai si scade nel melodramma facile o nella (auto)commiserazione, ma, al contrario, il tutto pare abbastanza equilibrato, fatta eccezione per qualche pecca nella sceneggiatura e nella presenza di alcuni personaggi poco o mal motivati all’interno del racconto. Il mio invito, dunque, è quello di non lasciarsi scappare 13 Reasons Why, ma soprattutto di non lasciarsi mai scappare chi ci viene incontro gridando “aiutami.”

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