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Tiger King

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serie tvTiger King

Roarrr! / 11 Aprile 2020 in Tiger King

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Un sacco di persone, al di là (e al di qua!) dell’Oceano, parla di Tiger King, il nuovo telefilm originale Netflix. Sui social, personcine come Sylvester Stallone, Ryan Murphy (che ne vorrebbe fare un film con Rob Lowe) e Jared Leto si sono dichiarate fan di Tiger King, facendo da testimonial (non so quanto involontari) a questa serie tv. Non adducono motivazioni plausibili (cit.), ma il loro entusiasmo e il look sfoggiato da alcuni di loro per promuovere questo guilty pleasure incuriosisce, non lo nego.
Così, alla ricerca di un intrattenimento non troppo impegnativo, mi sono detta: eddai, diamola un’occhiata a questo Tiger King, togliamoci lo sfizio, roarrr.

Prima di tutto, cos’è e di cosa parla Tiger King?
È una docu-serie (anzi, una docu-miniserie di 7 episodi di durata variabile, circa 42-45 min./cad.) ambientata nel pazzo pazzo pazzo mondo dei monomaniaci statunitensi appassionati di grandi felini (Big Cats, per gli anglofoni): soprattutto tigri, ma anche leoni, puma, linci, leopardi, pantere… E annessi e connessi da libro della giungla, come elefanti, coccodrilli, serpenti sia constrictor che molto velenosi, uccelli e primati vari.

Il Tiger King del titolo è un quasi sessantenne dell’Oklahoma, tale Joseph Schreibvogel, meglio noto come Joe Exotic, una specie di redneck senza sedia a dondolo sul patio di casa (ma col mallet, of course), che gira armato come se vivesse ai tempi della Frontiera, poligamo (ha due mariti, sposati contemporaneamente, nel corso di un’unica cerimonia), sciancato (un brutto incidente di gioventù gli ha frantumato il bacino e, nel corso della serie tv, un tutore alla gamba e una stampella appaiono e scompaiono), dotato di un ego smisurato.
Oltre ad aver fondato (in memoria del fratello) un parco con animali esotici, il Greater Wynnewood Exotic Animal Park, che costituisce il più grande allevamento di tigri degli Stati Uniti, Joe ha una web tv, un’etichetta discografica per cui incide dischi di musica country, linee di prodotti di bellezza e abbigliamento, anche intimo, prevalentemente con fantasie animalier, ça va sans dire.

Acconciature appariscenti, personalità strabordante, capacità di plagiare la gente, misteri limacciosi e stili di vita borderline sono gli elementi che accomunano tutti gli appassionati di Big Cats che fanno parte di questa storia. Joe è uno dei vertici di un poligono dai molti angoli costituito dagli altri personaggi di Tiger King.
I principali sono:
– Carole Baskin, una (presunta) animalista della Florida proprietaria di un santuario per gli animali esotici sottratti a circhi et similia (Big Cat Rescue), nemica giurata di Joe (i due non si risparmiano vicendevoli colpi bassissimi e Joe non evita raccapriccianti allusioni ultraviolente, quando parla di lei… E, aiuto, parla sempre di lei, ne è ossessionato);
– Bhagavan Antle, un Joe Exotic un po’ più raffinato (ma non meno egocentrico e inquietante), proprietario di un altro parco a tema esotico, il Myrtle Beach Safari, nella Carolina del Sud, che, oltre agli animali, ama collezionare anche le donne.
Intorno a loro, gravitano a velocità impazzita mariti, mogli, schiav* (umani e animali), turisti, web, soldi, armi, carne, truffe, plagi, miseria, dipendenze, avvocati, violenza, sesso e morte.

La storia di Tiger King, che “inizia” nel 2015 (ma la data è relativa, dato che molti fatti pubblici e privati che la compongono risalgono agli anni giovanili dei protagonisti) è talmente oltre da fare due o tre volte il giro su se stessa, fino a ritornare sempre al punto di partenza: l’ossessione.
Mi pare di capire che, per alcune persone, non dico possedere, ma anche solo farsi fotografare insieme a un animale esotico, sia esso cucciolo che adulto, sembra essere uno status symbol imprescindibile. I bracconieri si vantano delle foto che li ritraggono in posa accanto ai corpi degli animali abbattuti. Qui, invece, il senso di potere egoriferito sembra alimentarsi nel (di)mostrare che l’uomo può imporsi, anche a mani nude, su animali vivi notoriamente molto forti e pericolosi. Non gli interessa uccidere, ma controllare.
Dal controllo della fiera, deriva la convinzione che è possibile dominare chiunque e qualsiasi cosa.

Nel quarto episodio di Tiger King, per esempio, entra in scena un altro individuo ben poco rassicurante, un certo Jeff Lowe, un playboy dichiarato che compra cuccioli di tigre per attrarre scambisti (e che tirerà una fregatura epocale a Joe Exotic).
A un certo punto, Lowe è dentro una gabbia del parco di Joe insieme a un giovane leone. L’animale gioca pancia all’aria. Come accade spesso con i grossi felini, sembra nient’altro che un gatto fuori scala: tira zampate, accenna morsi, come un micio domestico. Improvvisamente, però, sembra innervosirsi, forse è solo sovraeccitato. Jeff prova a bloccare testa e zampe del leone a mani nude, come Ercole. O un uomo delle caverne. O Nando Orfei, non so, fate voi. La scena è concitata, per una frazione di secondo, Lowe rischia di avere la peggio, ma continua a lottare con l’animale. Qualcuno, all’esterno della gabbia, usa dell’acqua a forte pressione, per colpire e distrarre il leone, che lascia perdere lo scontro. Jeff ha una ferita su un braccio, ma scosta rudemente chi gli domanda come sta, da very brave man.
Questo tizio credeva di poter controllare un leone, giovane e nervoso, a mani nude. Rendiamoci conto.

Quello che emerge da Tiger King è il grosso scollamento tra realtà e rappresentazione che affligge tutte, ma proprio tutte, le persone coinvolte nella storia. La monomania sviluppata nei confronti di un tema (in questo caso, i grandi felini), in quanto ossessione, non lascia trasparire mai sentimenti e atteggiamenti positivi.
Immancabimente, si tratta di individui che hanno subito forti traumi, spesso legati alla sfera sessuale, o che intendono il sesso come forma di controllo e prevaricazione.
Forse, non era l’intenzione dei suoi creatori, ma credo che Tiger King sia un allarmante compendio di temi di psicanalisi.

Nel complesso, Tiger King ha suscitato in me reazioni contrastanti: divertimento, allarme, noia, stupore. Ho visto la serie un episodio per volta: è difficile sostenere a lungo questa spirale di violenza nonsense. La storia è assurda e, guardandola, non si sa se ridere o restarne nauseati.
Spesso, mi sono domandata se tutto quello che viene mostrato sullo schermo sia accaduto davvero (pare di sì).
I registi della serie, Rebecca Chaiklin ed Eric Goode, hanno fatto un incredibile lavoro di “ricostruzione”. Il montaggio è sicuramente uno dei punti di forza di Tiger King e il risultato è un ibrido tecnicamente esaltante. Roarrr.

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self made man with gun / 6 Aprile 2020 in Tiger King

incredibile e folle documentario che solo l’america poteva produrre.

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