L’illusione della rosea vita del campus / 15 Giugno 2016 in The Tatami Galaxy

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Narrativamente e visivamente folle, questo anime della Fuji Tv (ispirato ad un romanzo di Tomihiko Morimi) è un’epopea psichedelica incentrata su un concetto tanto semplice nella forma quanto complicato nella concretizzazione: godere ogni momento della propria vita, senza affannarsi a cercare di esaudire fallaci desideri.

Il protagonista della vicenda (innominato, chiamato perlopiù senpai) è uno studente universitario di stanza a Kyoto alla ricerca di una meta denominata “la rosea vita del campus”: il suo obiettivo è principalmente quello di conoscere una dolce ragazza dai capelli corvini di cui innamorarsi perdutamente, per cui ridursi sul lastrico al fine di accontentare ogni suo desiderio materiale e con cui trascorrere infiniti giorni di estasi amorosa. Per far ciò, ha elaborato una strategia: iscriversi alle attività extra-universitarie del campus, per avere maggiori possibilità di incontrare questa fantomatica ragazza.

La struttura dell’anime consente al protagonista di vivere più vite parallele, grazie alle attività scelte di volta in volta (circolo del tennis, del cinema, della bicicletta, ecc.) : ogni episodio presenta numerosi elementi ricorrenti (la presenza di taluni personaggi, l’incontro con la vecchia cartomante che aumenta le proprie tariffe in base al numero della puntata, la torta di pan di spagna, il ramen del gatto, ecc.) e un climax drammatico e irresolutivo che, però, permette al protagonista di ricominciare la propria avventura con l’inizio dell’episodio successivo.
Le invenzioni grafiche e cromatiche sono eccellenti (prospettive arditissime, sovrabbondanza di oggetti, caratterizzazioni e dettagli, l’uso di pattern provenienti dalla tradizione iconografica nipponica per sostituire superfici o elementi naturali, ecc.) e il character design affascina perché ambivalente, una sorta di rilettura della calligrafia tradizionale (non mi stupirei nello scoprire che le “forme” dei corpi dei protagonisti richiamano qualche ideogramma specifico).

Superata la cosiddetta mid season dell’unica stagione, però, il meccanismo ilare e apparentemente ripetitivo del racconto subisce uno scarto e il protagonista sembra prendere coscienza del fatto che la sua vita, in bilico tra tre amori fittizi (rappresentati da una corrispondenza epistolare con una sconosciuta, una real doll e un’igienista dentale matura e impelagata in relazioni complicate), non sta andando da nessuna parte: gli ultimi due episodi risolvono i nodi della vicenda con una metafora particolarmente efficace esplicitamente kafkiana.
Il protagonista ha confinato la propria vita e i propri desideri entro una stanza di quattro tatami e mezzo, illudendosi che quel microcosmo fatto di inedia e sogni inespressi potesse davvero soddisfarlo, perché i propri desideri non erano in grado di avverarsi nel mondo posto al di fuori della sua porta.
Tutte le persone incontrate durante le sue strambe avventure, considerate alla stregua di demoni (Ozu) o di personaggi naif (Higuchi), diventano improvvisamente i pilastri di una vita degna di essere vissuta in ogni suo più piccolo dettaglio.
Non è vietato correre dietro ai sogni, certo, ma vivere con la consapevolezza che ciò che incrocia quotidianamente la nostra strada è degno di essere preso in considerazione e soppesato come merita permette di far sentire davvero il gusto delle cose (sia esso buono o cattivo, non importa).

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