L’assenza è presenza / 10 Febbraio 2020 in The New Pope

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Ci sarebbero troppe cose da dire su questa che è una delle serie più pregne che abbia mai visto in vita mia; e – siccome so che quando le cose da dire sono troppe si finirà per dire tutto eccetto che il necessario – mi limiterò a indicare due/tre punti che per me sono l’apice e che si pongono tra i momenti più belli della serialità degli ultimi anni.
1. Il finale della quinta puntata, in cui ci si accorge che ogni tot di respiri Lenny emette un sospiro, credo sia una delle vette maggiori di come sia stata raccontata per immagini la frase “l’assenza è presenza”. Quindi, di come siano stati raccontati il potere e la venerazione, cioè la religione e la fede.
2. Il settimo episodio si inserisce in quel filone (di cui, per me, un maestro, per esempio, è Damon Lindelof) di grandi episodi “estemporanei”, cioè ambientati in un mondo diverso da quello solito della serie riuscendo comunque, pur raccontando qualcosa a sé stante, a portare la storia e i personaggi un pochino più in là. Avvolgente, incredibilmente non slabbrato (per essere di Sorrentino), emotivamente una bomba.
3. La morte finale di Lenny, per come è costruita, è magnifica. Al netto di un’ultima puntata che, forse, può dare la sensazione che certe scelte e certe svolte siano eccessivamente veloci, quel finale riappacifica da un lato e sconvolge dall’altro, con la chiusa perfetta sul vero New Pope.

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