C’è chi urla al capolavoro chi alla ciofeca. / 13 Settembre 2014 in The Leftovers
Ammetto di essermi ritrovata, dopo i primi tre episodi, nella seconda posizione. Dal Pilot The Leftovers non ha fatto altro che farti sorgere 80 domande, ma non si degna di rispondere neanche ad una. Visto che non ci trovo nulla di piacevole nel passare la vita ad arrabbiarmi, ho abbandonato la serie, fino a quando non mi sono imbattuta su una maratone delle ultime tre puntate della stagione su Sky Atlantic. Ed è a questo punto che ho capito due cose riguardo questo telefilm.
– E’ una serie da binge watching. Non c’è niente da interiorizzare, in quanto tutte le emozioni rappresentate da questo telefilm sono viscerali: perdita, rabbia, rancore, senso di colpa. Guardate tre episodi di seguito e poi crogiolatevi nel vostro dolore per ben benino.
– La “potenza” di The Leftovers risiede nel fatto che si troviamo nella stessa posizione dei protagonisti che in una giornata di autunno hanno visto scomparire davanti ai loro occhi famigliari e amici. Non hanno spiegazioni, non hanno più punti di riferimento, ma vogliono risposte. Risposte che non riescono a trovare se non nella religione, o meglio, nelle sette.
C’è “l’ennesimo cogli**e che si crede Dio”, il prete la cui fede è messa a dura prova, un gruppo di persone che hanno annullato loro stesse dopo il giorno della Dipartita.
E poi, improvvisamente, la rivelazione: non guardi The Leftovers per avere delle risposte, ma per seguire i protagonisti che cercano instancabilmente qualcosa a cui aggrapparsi, che sono alla ricerca della speranza e della forza per ricominciare. Ma probabilmente lo si capisce solo nel finale di stagione, quando per 50 minuti sei sull’orlo del crollo.

Anch’io ho apprezzato moltissimo il tentativo di rendere partecipi gli spettatori del dramma dei vari personaggi, suggerendo la domanda: “Tu cosa faresti?”.