Prima stagione
Dietro una facciata caustica e ironica, The End of the F***ing World nasconde drammi grandi e profondi.
L’effetto complessivo è straniante e il risultato è un ottimo dramedy nero on the road.
I due giovani protagonisti sono un compendio di disadattamento e psicolabilità, che, se da una parte li rende potenzialmente stereotipati, dall’altro ne esalta in maniera estremamente originale la fragilità e la sensibilità, come se essi fossero creature senza pelle, esposte a qualsiasi agente fisico e psicologico esterno, con il cuore e i sentimenti ben visibili, a dispetto dei loro atteggiamenti alienati e affatto concilianti.
Dopotutto, in un mondo terribile come quello in cui si muovono, popolato da maniaci, pedofili, bugiardi e indifferenti, che altro potrebbero fare, se non mordere e cercare scampo?
La gentilezza e la speranza sembrano sconosciute a questo contesto, eppure, all’improvviso, alla fine di questo mondo schifoso da cui desiderano evadere, brilla sempre qualcosa: una persona gentile, un genitore sinceramente preoccupato, un tutore dell’ordine cortese. Tanto basta, però, per smettere di sentirsi male?
L’annoso contrasto fra pensiero e parola, esacerbato soprattutto dal personaggio di Alyssa, per cui si dice o si fa l’opposto di ciò che si pensa e si è più duri e spigolosi di quanto si vorrebbe, è uno degli elementi più sinceri e dolorosi della messinscena.
La confezione è molto buona, la sceneggiatura fila benissimo e fotografia e montaggio sono estremamente efficaci.
In particolare, mi ha stupito la capacità di rendere praticamente irriconoscibile (a uno spettatore poco pratico dei luoghi come me, s’intende) il Kent: se non avessi notato la guida a destra e le targhe gialle degli autoveicoli, non avrei mai creduto che la storia si stesse svolgendo in Gran Bretagna e non negli Stati Uniti. In questo senso, anche la (bella) colonna sonora, curata da Graham Coxon dei Blur e dominata da brani indie, country e rockabilly, depista (felicemente).
Decisamente bravi i giovani attori, che mi era capitato di vedere in altre due serie tv: Jessica Barden in Penny Dreadful e Alex Lawther nel noto episodio Shut Up and Dance della terza stagione di Black Mirror.
Non (mi) è chiaro se ci sarà una seconda stagione. Intanto, questa -tratta da un graphic novel di Charles S. Forsman e composta da soli 8 episodi della durata di circa 20 minuti ciascuno- si guarda tutta d’un fiato e, alla fine, si resta impigliati nella grande disperazione degli innocenti protagonisti, davvero difficili da dimenticare.
Voto prima stagione: 8
Seconda stagione
[Aggiornamento del 28 febbraio 2020]
Per fortuna, The End Of The F****in’ World 2 ha confermato tutte le buone impressioni che avevo maturato durante la visione della prima stagione.
La vicenda si sposta pressoché completamente in un altro luogo immerso nei boschi (che sembra, non so, il Montana, altroché UK) e introduce qualche nuovo e azzeccato personaggio, mantenendo la malinconia di fondo e mostrando altre facce della tristezza e della miseria umana, ma anche un piccolo lumicino di speranza, un barlume di umanità che si affaccia in una selva popolata da individui violenti, perversi e profittatori. Con molto cinismo, la serie tv ci tiene a ribadire che il mondo non è un posto idilliaco e che serve tanto tanto tanto amore (da dare e da ricevere) per sopravvivere. Chi non conosce l’affetto scambia per tale anche il Male, proprio come la new entry Bonnie (Naomi Ackie), e rischia di soccombere, producendo altro dolore.
Si conferma ottima la caratterizzazione dei personaggi: ho ritrovato con piacere l’ambivalenza di Alyssa (la Barden), che pensa una cosa e ne dice/ne fa un’altra, e la tenacia imbranata di James (Lawther).
Rinnovato plauso alla durata degli episodi (con una media di 20 minuti) e alla colonna sonora selezionata da Coxon.
Voto seconda stagione: 8
Voto complessivo: 8.
Leggi tutto