Recensione su Stranger Things

/ 20168.1645 voti

La terra di Mezzo di Stranger Things / 12 Agosto 2016 in Stranger Things

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Arrivo un po’ in ritardo a parlare di Stranger Things: tutti hanno detto tutto, o forse troppo. Questa non è la recensione di un esperto di serie televisive, ma di chi ne ha viste abbastanza e alcune anche di buon livello, tanto da permettersi di esprimere quanto meno un commento. I giudizi su Stranger Things si dividono tra chi ne ha sbrodolato le lodi a non finire, sbavando in modo eccessivo come il “demorgogone” presente nelle trama, e chi invece si erge ormai a “bastian contrario” per partito preso, stroncando come non ci fosse un domani, attraverso argomentazioni spesso poco valide o comunque oggettivamente false e distorte, non attinenti. Come spesso capita però la verità sta nel mezzo. Viviamo in un periodo in cui la critica cinematografica in primis e, quasi di conseguenza quella televisiva, perché spesso rappresentata dalle stesse teste, ha perso i confini nella terra del giudizio, perciò ponendosi ad un estremo, o a quello opposto: ergo per cui un’opera o è un capolavoro, o se non lo è, vale 0. Non c’è più la bellissima e necessaria terra di mezzo dei 7 e dei 8, del prodotto buono o ottimo, di quelle opere “non sbagliate”, e già non è poco, impegnate, che nascondono (o dimostrano) quantità importanti di lavoro alle loro spalle, perciò impegnative per lo spettatore ed apprezzabili per il critico (in linea teorica) e che raggiungono un livello di qualità valido, da renderle interessanti, fruibili, e capaci di lasciare un segno. Ecco, il fatto che di Stranger Things se ne sia parlato così tanto è perché un segno l’ha in qualche modo lasciato. Possiamo essere tranquilli allora: la terra di mezzo esiste ancora, si può ancora parlare di un’opera senza osannarla ed incensarla, o senza infangarla a priori.

Superato questo scoglio, possiamo dirlo subito chiaramente: l’ultimo capolavoro seriale sfornato dalla televisione, a mio modesto parere (ma anche quello meno modesto di molti), è stato Breaking Bad (di cui ne scrivevo qualcosa qui); prima di Breaking Bad bisognerebbe risalire fino alle prime tre stagioni di Lost (stendendo un velo pietoso verso le ultime 3): lì c’è stata una rivoluzione, un cambiamento storico nel panorama televisivo, Lost ha stabilito un prima e un dopo, ha inaugurato la serialità moderna, quella tanto vicina al cinema, al suo linguaggio, alle sue attenzioni stilistiche e sintattiche. Tutto quello che vediamo oggi in Tv, in termini di serie televisive, deriva da Lost, è partito con Lost: la cosa paradossale è che a distanza di più 10 anni non si riesce ancora a raggiungere i livelli di Lost, perché non si riesce a seguirne o coglierne l’insegnamento, e la direzione che l’opera di Abrams ha saggiamente tracciato, diventando il metro di paragone fondamentale. Quindi tra Lost e Breaking Bad, e da Breaking Bad ad oggi (considerando quindi solo i post anni 2000) si può parlare di buone o ottime serie Tv ma non di capolavori. La conclusione e la prima asserzione sono pertanto abbastanza semplici: Stranger Things non è un capolavoro, basta accostarlo a queste due sopracitate per rendersene facilmente conto.

Però, detto questo, Stranger Things ha il pregio di riportare alla ribalta tutto un immaginario, quasi abbandonato (anche se il cinema negli ultimi anni, specificamente anche nell’ultimo, con qualche esempio, ha provato a riportare in voga), che ha segnato anche il cinema e la televisione: sono gli anni ’80. Dentro Stranger Things c’è Stephen King (che viene anche citato), e c’è tutto il cinema di quegli anni: Spielberg, Zemeckis, Lucas, Carpenter; ci sono le biciclette alla ET, e c’è la bambina con superpoteri vestita ed arleccata per essere portata nel mondo normale; c’è il gruppo di amici e il viaggio alla ricerca dello “scomparso” alla Stand by me, c’è la “cosa” animalesca tra Jurassic Park e Alien; c’è la scienza che apre a nuovi mondi, che lavora il tempo e lo spazio a suo piacimento, che per raggiungere obiettivi egoistici e malsani fa “danni” irreparabili; c’è il sound elettronico tipico anni ’80, ci sono i giochi di ruolo. Come tuffo in quegli anni allora Stranger Things funziona benissimo, e per i nostalgici appassionati, cresciuti con quelle avventure (come il sottoscritto) non poteva essere più appagante e riuscito. I fratelli Duffer, creatori dell’opera, dimostrano di conoscere la materia in modo impeccabile, ci sono dettagli che solo chi conosce alla perfezione quell’immaginario, chi è cresciuto con quei generi e quei film lì, riesce a cogliere o individuare, altrimenti non si notano. I due non dimostrano questa conoscenza su un piano esclusivamente di contenuti, ma anche, e ben più importante, per quanto riguarda l’approccio stilistico e visivo, di linguaggio: Stranger Things prende in prestito la tecnica e lo stile proprio di quegli anni di cinema e lo fa suo, è un bacino che contiene insieme le attenzioni narrative e la cura della messa in scena spielberghiana, le atmosfere slasher e horror di Carpenter, i movimenti di macchina di Ridley Scott, la commedia strutturata ad hoc di Zemeckis. Se da un lato tutto questo è un pregio, dall’altro lato costituisce anche il maggior difetto di Stranger Things: la serie Tv dei Duffer non riesce a svincolarsi in modo autonomo dall’operazione nostalgica, risultando un po’ fine a se stessa, e priva di originalità e personalità. Ne rimane troppo coinvolta ed invischiata, risultando a volte posticcia e sagomata: quasi come una cover di un pezzo musicale famoso, ben riuscita ma priva di interpretazione artistica e di coraggio, componenti fondamentali per conferirle un taglio suo, unico. Questa personalità si nota a sprazzi, in momenti, in inquadrature, ma non nel suo senso complessivo, e nella sua interezza. Stranger Things ha sequenze esilaranti, e commoventi, altre di impatto emotivo e visivo forte, giocate soprattutto con il montaggio alternato; ha dialoghi acuti e incisivi. È diretta bene, con un ottimo lavoro fotografico, ottima attenzione agli attori, soprattutto nella gestione dei più giovani. Soffre però di quello che soffrono un po’ tutte le serie televisive di questi anni, cioè di una scrittura forte, che sia innanzitutto televisiva e non è una cosa scontata, purtroppo, perché deficitarie di sospensioni narrative ragguardevoli, di suspense, e attesa: sceneggiature piuttosto lineari, non strutturate su più livelli, su più puntate, o più stagioni;scrittura quindi a breve raggio, timorosa, che non osa guardare più avanti, guardare oltre, come dovrebbe fare, o anche, ed ancora meglio, spostarsi in verticale: scavare nelle profondità, o cercare certe altezze di messaggio o contenuto. Insomma fare come la pulce in bilico nella fune, per scoprire un “sottosopra” che avrebbe conferito all’operazione nostalgia un tono diverso, più cupo e misterioso.

1 commento

  1. TraianosLive / 21 Agosto 2016

    “Poltergeist” non viene mai menzionato ma secondo me questa serie attinge a piene mani dal film di Tobe Hooper.

Lascia un commento