Pietro Castellitto superstar / 21 Marzo 2021 in Speravo de morì prima

Primi due episodi
A ‘sta serie Sky, je davo du’ sordi. Poi, dopo che il compagno di divano ha lasciato libera la piattaforma, alla fine della partita Parma-Genoa, ho approfittato della prima replica dei primi due episodi e, anvedi, me sò detta, ecco una strada per la televisione italiana : pop, (auto)ironia… e pure l’elegia si fa digerire.

Pietro Castellitto superstar. Non è Francesco Totti, non gli somiglia per niente, manco di spalle, ma l’espressione degli occhi, il tono della voce sono i suoi. Quel che conta è che ha imbroccato lo spirito, quella specie d’indolenza che c’ha.

Qui, mi piace pure Greta Scarano, penza’n’po’. La sua Ilary Blasi è onnisciente, intuitiva e paziente: mi piace pensare che sia così, ma, a tratti, il ritratto rischia di essere pure troppo, quello di Donna Ilary che tutto sa.
Bravi anche Monica Guerritore e Giorgio Colangeli, nei panni dei genitori di Totti.
Gianmarco Tognazzi/Luciano Spalletti è un po’ isterico (e, finora, il personaggio non ci fa una bella figura: io, basandomi blandamente sulle cronache dell’epoca, ai tempi della rottura con spogliatoio e tifoseria avevo pure “parteggiato” per lui), però va bene così, a suo modo è un ritratto interessante.

Bella confezione (non ho visto neppure una delle serie tv dirette finora da Luca Ribuoli, specializzato in fiction Rai di successo, come Don Matteo e L’allieva), belle scelte musicali.
Spero che la qualità generale si mantenga anche nei prossimi 4 episodi, ma confesso di avere pochi dubbi a riguardo (alla sceneggiatura, dopotutto, ci sono almeno un paio di firme che apprezzo: Michele Astori, Stefano Bises – vedi, Il miracolo).

Voto primi 2 episodi: 8 (ahò!).

Voto episodi 3 e 4: 8.

Voto episodi 5 e 6: 6.

Pur confermando la qualità delle prime 4 puntate, gli ultimi due episodi della miniserie dilatano a dismisura il concetto che, a lungo, Totti ha considerato l’addio al calcio come la fine della propria identità, umana molto prima che sportiva. In questo senso, il telefilm subisce un arresto e si congela, ruotando sempre e solo intorno a un (legittimo) tormento. Purtroppo, esacerba le qualità di alcuni personaggi e i difetti di altri, spegnendo progressivamente le buone trovate in favore di una mesta agiografia.
Per carità, mi sono emozionata pur’io (che romanista non sono), negli ultimi tre quarti della puntata finale. Ma, a quel punto, parlando di fantasia cinematografica/televisiva, non c’era più niente da apprezzare e l’ultima sequenza, proiettata nel futuro, non mi è piaciuta granché.

A proposito di drammaturgia: in questi giorni, ho incrociato sul web qualche articolo che riporta le reazioni alla serie del pubblico/dei tifosi della Roma e di persone dell’ambiente, tipo Antonio Cassano. In generale, le critiche che vengono mosse alla serie sono:
– Castellitto non sembra Totti ma Perin;
– alcuni fatti sono stati cambiati/le cose non sono andate così.
C’è anche chi se l’è presa con Gianmarco Tognazzi come se fosse il vero Spalletti.
Ecco. Davanti a una serie che, a suo modo, ha provato a (r)innovare il linguaggio del racconto seriale biografico italiano, questo, secondo me, televisivamente parlando, è il risultato (negativo) di anni di fiction drammaturgicamente ripetitive, rassicuranti nei toni e nei modi e prive di ogni invenzione formale.
Per quel che mi riguarda, Speravo de morì prima ha rappresentato una bella novità, nel panorama seriale italiano, e quasi quasi la infilo nel paniere di The Young Pope, Boris e Il miracolo.

Voto complessivo: 7.

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