Recensione su MINDHUNTER

/ 20177.8182 voti
serie tvMINDHUNTER
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Pionieri / 23 Ottobre 2017 in MINDHUNTER

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Prima stagione
Fincher torna sulla scena del crimine e, dopo aver battuto spesso il tema dei killer seriali, dal video Bad Girl di Madonna in poi, ha deciso di dedicarsi all’argomento con un’intera serie tv, co-producendola e alternandosi alla regia con i pur bravi Andrew Douglas, Asif Kapadia e Tobias Lindholm.
Ispirandosi al libro omonimo dell’agente federale John Douglas, uno dei primi profiler della storia, MINDHUNTER racconta per sommi ma affascinanti capi la fase pionieristica della criminologia impegnata nell’analisi e nella prevenzione dei delitti seriali compiuti da singoli individui. Concetti che, oggi, riteniamo comuni (come lo stesso termine, serial killer), solo una quarantina di anni fa erano praticamente sconosciuti e affatto “codificati”.

Nel corso di questi primi 10 episodi, la serie tv Netflix mostra una coppia di agenti dell’FBI e una consulente del Bureau (alla luce della sua filmografia, è chiaro che Fincher ama decisamente i film basati su una struttura “2+1”) impegnati a scoprire e teorizzare per la prima volta nella storia dell’investigazione quali impulsi e motivazioni spingano un individuo a uccidere più persone, arrivando al punto da poter teorizzare una serie di profili-tipo degli assassini.

L’atmosfera generale è morbosa e disturbante, ma è stata calata in contesti freddi ed “eleganti”, come da tradizione fincheriana.
La ricostruzione d’ambiente è curiosa: i personaggi potrebbero muoversi e agire ai giorni nostri, ma poi, in scena, ci sono specifici anacronismi a ricordare allo spettatore che sta assistendo a una storia ambientata alla fine degli anni Settanta (non solo i vestiti o la tecnologia, ma proprio la scarsa familiarità con metodi e terminologia legati al mondo investigativo oggi diffusi e noti al grande pubblico grazie a letteratura, cinema e tv).

Fra gli elementi più azzeccati della serie, ci sono almeno due ingredienti: la rappresentazione del modo in cui il Male compiuto dagli assassini con cui entrano in contatto agisce sulla psiche degli agenti protagonisti e la caratterizzazione dei killer stessi, di cui la prova d’attore di Cameron Britton (il pluriomicida Ed Kemper) costituisce l’apice. L’alienazione e la violenza vengono sublimati da un paio di baffi e occhiali in bachelite, la normalità assoluta: è allora che la serie colpisce nel segno, mostrando l’orrore che striscia nel quotidiano e che si appresta a cambiare la vita e la percezione delle cose degli agenti coinvolti nelle analisi.
In questo senso, la figura dell’agente Ford (Jonathan Groff) è emblematica: quest’uomo è predisposto alla violenza? “Prova gusto” a studiarla? In lui, c’è qualcosa di latente che potrebbe accomunarlo ai soggetti delle sue speculazioni? La prima stagione suggerisce prepotentemente che, nell’accecante luminosità della follia umana, esistono molti chiaroscuri.

Bella la colonna sonora, bravi gli attori, anche se su Groff nutro delle perplessità. Ha la presenza scenica giusta per interpretare il bravo ragazzo, ma la sua aria da bietolone e una certa monoespressività mi ha lasciato perplessa in più occasioni: è probabile che anche la sua rigidità sia funzionale al personaggio, ma…

Voto prima stagione: 8

Seconda stagione
[Aggiornamento del 19 agosto 2019]
Dopo aver visto d’un fiato la seconda stagione, confermo tutto, in toto. Serie di grande qualità, molto intrigante per temi e ricostruzione d’ambiente.
Si conferma preponderante l’elemento pionieristico che mi piace tanto, la rappresentazione del tentativo di questi agenti di dare dignità e credibilità a una nuova branca della speculazione, aggirando interessi politici e di potere e la morbosità gratuita delle persone (è emblematico che Tench riesca a coinvolgere gli auditori raccontando i dettagli di colore delle interviste ai criminali e Ford, specularmente, li allontani quando descrive le tecniche usate per queste interviste).
A pensarci bene, il metodo di profilazione dei criminali concepito come uno strumento per prevenire nuovi crimini ha un che di fantascientifico: Philip K. Dick lo sapeva bene e, infatti, nel 1956, ne ha parlato nel racconto Rapporto di minoranza (da cui Spielberg ha tratto il film Minority Report).

Per questi 9 episodi, la regia è stata affidata di nuovo a Fincher e, poi, a Andrew Dominik e Carl Franklin. Se qualcuno dovesse chiedermi se ho riscontrato qualche differenza, ammetterei di non averne notate. Tutto sembra guidato dallo stile di Fincher, montaggio compreso.

Però, confesso di essere rimasta delusa dalla presenza di alcuni inserti superflui tirati a forza nelle storyline principali.
Mi riferisco, per esempio, alla relazione della Dottoressa Carr con Kay (Lauren Glazier): a differenza del dramma che colpisce Bill Tench, i suoi tira e molla con la tipa lasciano il tempo che trovano e, se pure affrontano i temi dell’indipendenza femminile e della discriminazione in base all’orientamento sessuale, non hanno nessun peso sull’economia del racconto e rischiano di allungarlo senza utilità narrativa. Insomma, qui Kay ha lo stesso peso del gatto invisibile nella prima stagione. E mi spiace, perché quello della Carr è un personaggio fortissimo, in potenza.
Mi piace molto (anche se la sua pazienza è ultra-umana) il personaggio di Tench. Continuo a non digerire quello di Ford.

Parlando di cose belle, invece, come restare impassibili a In every dream home a heartache dei Roxy Music abbinata alla scena di apertura del primo episodio (diretto da Fincher)?
(video con descrizione spoiler-osa, occhio)

Voto seconda stagione: 8

6 commenti

  1. Federico66 / 23 Ottobre 2017

    Bene, adesso che hai finito posso chiederti se anche tu hai notato almeno un errore narrativo. Tanto per non svelare molto, ti dico solo che riguarda Debbie e Bill nelle puntate 4 e 6:-)

    • Stefania / 23 Ottobre 2017

      @federico66: ah, non so proprio! Oimemì… Anche guardando le tracce narrative di quegli episodi, non mi viene in mente niente (magari, scrivimi in privato: ora sono curiosa!).

      Piuttosto… Cosa ne dici della parentesi di Debbie con le scatolette di tonno? Non credo di aver capito bene l’utilità di quei passaggi: ho pensato un sacco di cose (tipo che non si trattava di un gatto, ma di una persona reclusa in un’intercapedine! 😀 ). Alla mal parata, mi aspettavo che da un momento all’altro sarebbe stata aggredita da qualcuno. “Non scendere scalza nella lavanderia”, le dicevo. “Non scendere scalza e con le mani occupate”, le ripetevo. Mi sono preoccupata per niente (per ora: magari, è un dettaglio che tornerà nella seconda stagione, chi lo sa?).

  2. Federico66 / 23 Ottobre 2017

    @stefania: non era Debbie, ma Wendy, con le scatolette, ho aspettato quel gattino per tutta la stagione, forse arriverà … :-), comunque hai ragione, neanche io ho capito l’utilità di quelle scene!
    Riguardo l’errore, ripensandoci, visto che non spoilera nulla:
    4 puntata, nel bar dopo l’incidente, Bill dice a Holden che Debbie puo’ venirli a prendere il mattino dopo, quindi presumibilmente Debbie è andata a prenderli;
    6 puntata, cena a casa di Bill, Debbie si presenta a Bill dicendo che è un piacere conoscerlo e che ha tanto sentito parlare di lui, quindi sembra che non si siano mai incontrati.
    Devo ancora rivedere le scene, ma sono abbastanza sicuro dell’errore, perchè mi ha colpito subito. E’ chiaramente una piccolezza, ma pur sempre un errore.
    Dimenticavo, l’ho visto in italiano, appena riesco lo controllo in lingua originale.

    • Stefania / 24 Ottobre 2017

      @federico66: ricordo Debbie che conosce Bill e la moglie, ma non il dettaglio della puntata 4 di cui parli. Quindi, non so proprio. Dovrei rivederle anch’io.

      • Federico66 / 24 Ottobre 2017

        @stefania: confermo 4 puntata, 18/19 minuto: “Chiama Debbie. Dille che può venire domattina.”

        • Stefania / 24 Ottobre 2017

          @federico66: o manca qualcosa nel montaggio finale dell’episodio (es. Bill che, per qualche motivo va via per conto suo), o c’è una falletta nella sceneggiatura. Comunque, c’è qualcosa che non torna. Grazie!

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