4 Recensioni su

MINDHUNTER

/ 20177.8182 voti
serie tvMINDHUNTER
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Bellissima! / 28 Settembre 2023 in MINDHUNTER

Una serie davvero accattivante, ben fatta, ben diretta, ottima fotografia e stupende recitazioni.
La regia di Fincher si vede e la tensione si palpa: mi ri orda le arie cupe di Seven…
Peccato che Netflix faccia sempre di queste caz**te: perpetra serie davvero stupide, stagione dopo stagione, e merce di qualità come questa ne risente e viene cancellata.
Ormai conta più la quantità che la qualità. E prodotti come questi se ne vedranno sempre meno per seguire la moda, come accaduto con Mercoledi e tanti altri .
Tutto rispetto per chi ama quel tipo di spettacolo, alcune le vedo anche io, ma pensassero a migliorare la qualità, non la quantità.
Per chi non l’avesse ancora vista, recuperatela…
7/10

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Nuovo True detective / 28 Ottobre 2017 in MINDHUNTER

Nella ricerca della psicologia dei “serial killer”, lo spettatore assiste allo sviluppo della personalità dei protagonisti. Le loro paure sono spesso le stesse degli uomini a cui si ritrovano a dare la caccia. Ottima la regia che indugia e torna scorrevole nei punti giusti. Le sensazioni che ho provato vedendo Mindhunter sono le stesse che provai quando finii la prima stagione di True detective. E’ una serie davvero curata e piacevole, e mi sento di consigliarla anche a chi non apprezza il genere. Non ho letto il libro a cui è ispirata la serie, ma mi auguro che ci sia il materiale necessario a produrre una seconda stagione.

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Pionieri / 23 Ottobre 2017 in MINDHUNTER

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Prima stagione
Fincher torna sulla scena del crimine e, dopo aver battuto spesso il tema dei killer seriali, dal video Bad Girl di Madonna in poi, ha deciso di dedicarsi all’argomento con un’intera serie tv, co-producendola e alternandosi alla regia con i pur bravi Andrew Douglas, Asif Kapadia e Tobias Lindholm.
Ispirandosi al libro omonimo dell’agente federale John Douglas, uno dei primi profiler della storia, MINDHUNTER racconta per sommi ma affascinanti capi la fase pionieristica della criminologia impegnata nell’analisi e nella prevenzione dei delitti seriali compiuti da singoli individui. Concetti che, oggi, riteniamo comuni (come lo stesso termine, serial killer), solo una quarantina di anni fa erano praticamente sconosciuti e affatto “codificati”.

Nel corso di questi primi 10 episodi, la serie tv Netflix mostra una coppia di agenti dell’FBI e una consulente del Bureau (alla luce della sua filmografia, è chiaro che Fincher ama decisamente i film basati su una struttura “2+1”) impegnati a scoprire e teorizzare per la prima volta nella storia dell’investigazione quali impulsi e motivazioni spingano un individuo a uccidere più persone, arrivando al punto da poter teorizzare una serie di profili-tipo degli assassini.

L’atmosfera generale è morbosa e disturbante, ma è stata calata in contesti freddi ed “eleganti”, come da tradizione fincheriana.
La ricostruzione d’ambiente è curiosa: i personaggi potrebbero muoversi e agire ai giorni nostri, ma poi, in scena, ci sono specifici anacronismi a ricordare allo spettatore che sta assistendo a una storia ambientata alla fine degli anni Settanta (non solo i vestiti o la tecnologia, ma proprio la scarsa familiarità con metodi e terminologia legati al mondo investigativo oggi diffusi e noti al grande pubblico grazie a letteratura, cinema e tv).

Fra gli elementi più azzeccati della serie, ci sono almeno due ingredienti: la rappresentazione del modo in cui il Male compiuto dagli assassini con cui entrano in contatto agisce sulla psiche degli agenti protagonisti e la caratterizzazione dei killer stessi, di cui la prova d’attore di Cameron Britton (il pluriomicida Ed Kemper) costituisce l’apice. L’alienazione e la violenza vengono sublimati da un paio di baffi e occhiali in bachelite, la normalità assoluta: è allora che la serie colpisce nel segno, mostrando l’orrore che striscia nel quotidiano e che si appresta a cambiare la vita e la percezione delle cose degli agenti coinvolti nelle analisi.
In questo senso, la figura dell’agente Ford (Jonathan Groff) è emblematica: quest’uomo è predisposto alla violenza? “Prova gusto” a studiarla? In lui, c’è qualcosa di latente che potrebbe accomunarlo ai soggetti delle sue speculazioni? La prima stagione suggerisce prepotentemente che, nell’accecante luminosità della follia umana, esistono molti chiaroscuri.

Bella la colonna sonora, bravi gli attori, anche se su Groff nutro delle perplessità. Ha la presenza scenica giusta per interpretare il bravo ragazzo, ma la sua aria da bietolone e una certa monoespressività mi ha lasciato perplessa in più occasioni: è probabile che anche la sua rigidità sia funzionale al personaggio, ma…

Voto prima stagione: 8

Seconda stagione
[Aggiornamento del 19 agosto 2019]
Dopo aver visto d’un fiato la seconda stagione, confermo tutto, in toto. Serie di grande qualità, molto intrigante per temi e ricostruzione d’ambiente.
Si conferma preponderante l’elemento pionieristico che mi piace tanto, la rappresentazione del tentativo di questi agenti di dare dignità e credibilità a una nuova branca della speculazione, aggirando interessi politici e di potere e la morbosità gratuita delle persone (è emblematico che Tench riesca a coinvolgere gli auditori raccontando i dettagli di colore delle interviste ai criminali e Ford, specularmente, li allontani quando descrive le tecniche usate per queste interviste).
A pensarci bene, il metodo di profilazione dei criminali concepito come uno strumento per prevenire nuovi crimini ha un che di fantascientifico: Philip K. Dick lo sapeva bene e, infatti, nel 1956, ne ha parlato nel racconto Rapporto di minoranza (da cui Spielberg ha tratto il film Minority Report).

Per questi 9 episodi, la regia è stata affidata di nuovo a Fincher e, poi, a Andrew Dominik e Carl Franklin. Se qualcuno dovesse chiedermi se ho riscontrato qualche differenza, ammetterei di non averne notate. Tutto sembra guidato dallo stile di Fincher, montaggio compreso.

Però, confesso di essere rimasta delusa dalla presenza di alcuni inserti superflui tirati a forza nelle storyline principali.
Mi riferisco, per esempio, alla relazione della Dottoressa Carr con Kay (Lauren Glazier): a differenza del dramma che colpisce Bill Tench, i suoi tira e molla con la tipa lasciano il tempo che trovano e, se pure affrontano i temi dell’indipendenza femminile e della discriminazione in base all’orientamento sessuale, non hanno nessun peso sull’economia del racconto e rischiano di allungarlo senza utilità narrativa. Insomma, qui Kay ha lo stesso peso del gatto invisibile nella prima stagione. E mi spiace, perché quello della Carr è un personaggio fortissimo, in potenza.
Mi piace molto (anche se la sua pazienza è ultra-umana) il personaggio di Tench. Continuo a non digerire quello di Ford.

Parlando di cose belle, invece, come restare impassibili a In every dream home a heartache dei Roxy Music abbinata alla scena di apertura del primo episodio (diretto da Fincher)?
(video con descrizione spoiler-osa, occhio)

Voto seconda stagione: 8

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Psicologa criminale / 16 Ottobre 2017 in MINDHUNTER

Diciamolo subito, Mindhunter non è un thriller, ma di “orrore” ce n’è tanto. La serie racconta la nascita dell’Unità di analisi comportamentale dell’FBI ad opera di due agenti, Holden Ford (Jonathan Groff) e Bill Tench (Holt McCallany), aiutati dalla Dott.ssa Wendy Carr (Anna Torv), che negli anni settanta cercano di introdurre una nuova metodologia di indagine, studiando, incontrando e profilando i peggiori assassini detenuti nelle carceri americane in quel momento (Dennis Rader, Edmund Kemper, Monte Rissell, Jerry Brudos, Richard Speck).
La serie è un lento racconto degli orrori commessi da questi personaggi (reali), e tra tutti spicca Ed Kemper (Cameron Britton), serial killer dei più efferati della storia americana. Tra un’intervista e l’altra, i due agenti sperimentano questo nuovo approccio alla soluzione di crimini efferati, aiutando le polizie locali a risolvere casi che rientrano nelle tipologie studiate.
L’obiettivo è identificare l’omicida studiando la scena del crimine e valutandone il comportamento per incasellarlo in una tipologia conosciuta, quello che oggi fanno i profiler. Assistiamo, quindi, alla nascita di termini e concetti quali “serial killer”, “omicidi sequenziali”, “omicida organizzato” e “causa scatenante”.
Non aspettatevi colpi di scena eclatanti, ma piuttosto un compendio sulla psicologia criminale, in ogni caso, il racconto degli orrori commessi dai vari serial killer intervistati, arriva come una doccia fredda. La lucida follia di Ed Kemper è quasi ammirevole!
Ho apprezzato molto l’uso dei colori tenui e la colonna sonora, e tra gli attori, mi ha colpito moltissimo Cameron Britton.
Naturalmente ne consiglio la visione 🙂

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