Centrato e verticale / 7 Gennaio 2018 in La linea verticale

Ormai, c’è un pregiudizio generalizzato verso la Rai e i suoi prodotti , anche giustificato e giusto, per cui se da un lato ci si aspetta sempre il peggio all’uscita di ogni nuova fiction dall’altro si esalta, anche eccessivamente, qualunque cosa si dimostri anche solo minimamente sopra il livello Don Matteo et similia.
Ecco, con questo prodotto, del tutto inaspettato, finalmente, ci si può incominciare a tirare fuori da questo meccanismo perverso. La Linea Verticale fa lo strano effetto di somigliare a tante cose rimanendo, allo stesso tempo, qualcosa di mai visto. Somiglia a Scrubs ma, rispetto a quest’ultimo, tratta la vita ospedaliera dal punto di vista di un paziente e, soprattutto, calca di più sul lato drama; somiglia a Boris (il creatore, Mattia Torre, è uno dei 3 sceneggiatori Borisiani) ma dalla serie con Renè Ferretti prende soprattutto il lato più surrealista, oltre che molti interpreti. Si ride e si piange in La Linea Verticale. E si vive la degenza ospedaliera come se fossimo catapultati in Le Ali Della Libertà: con l’ospedale visto come una prigione da cui può essere, però, difficile staccarsi.
Un piccolo appunto va fatto per la confezione, non sempre impeccabile, e per la voce fuori campo di Mastrandrea che, se nella recitazione classica è centrato come sempre ultimamente, non dà il meglio di sé nel voiceover.

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