Critica di rara potenza / 12 Dicembre 2022 in Esterno notte

(Riflessioni sparse)

Bellocchio continua a stupirmi: a 83 anni, si produce in una serie tv caratterizzata da una forza critica di rara potenza, incentrata su uno degli episodi più nefandi della storia della Repubblica.

Idealmente e narrativamente, Esterno notte riparte dalla conclusione del film Buongiorno, notte (2003), con un Aldo Moro (qui, Gifuni; là, Herlitzka) sopravvissuto alle BR e pronto a condannare, con la propria presenza, l’inadempienza (se non, addirittura, la connivenza criminale) -nei suoi confronti e in quelli dei cittadini- dei compagni di partito e dello Stato.
Bellocchio sa benissimo che, a dispetto dei decenni trascorsi dai fatti, il rapimento e la morte di Moro sono materia ancora incandescente che ha bisogno di essere trattata, analizzata, discussa, per capire l’Italia di questi tempi, certe sue derive, alcuni suoi orridi senza fondo in cui rischiamo perennemente di cadere.
L’incipit, con il “sogno” di Moro, è una grottesca e centrata dichiarazione d’intenti.

Nei 6 episodi/capitoli in cui si articola, la miniserie Rai (presentata nelle sale anche come film diviso in due parti) affronta il rapimento Moro (marzo-maggio 1978) da vari punti di vista: quello della moglie del Presidente della DC, Eleonora (Margherita Buy); quello del Ministro dell’Interno Francesco Cossiga (Fausto Russo Alesi); quello del Papa Paolo VI (Toni Servillo); quello dei brigatisti; ovviamente, quello di Moro, concentrato nella premessa e nell’epilogo.

Gifuni, che già aveva interpretato Moro a teatro e nel film Romanzo di una strage (2012) di Marco Tullio Giordana, è monumentale: ispira pienamente l’umanità (intesa anche come fallacia) di Aldo Moro, un uomo, prima che un politico, diventato il capro espiatorio di un Paese diviso e di una politica ipocrita.

Alla fine dei titoli di coda di ogni episodio, la produzione ribadisce con un cartello che la serie si basa su libere ricostruzioni di fatti conosciuti.
Non sappiamo, quindi, se, alla notizia del rapimento di Moro, Andreotti (Fabrizio Contri) sia corso davvero a vomitare in bagno e se il Papa si sia fatto legare un cilicio in vita. Non sappiamo se Cossiga non parlasse davvero con la moglie, se, al momento della nomina del nuovo governo, i politici di turno si siano spartiti le poltrone come una svendita al mercato rionale, se Eleonora Moro abbia congedato freddamente chi si presentava da lei piangendo lacrime non richieste e cercando una insensata consolazione.
Certo è che, in generale, Bellocchio ha saputo trattare i risvolti oggettivamente più goffi della vicenda, criticando aspramente, con sdegno palese, l’ignavia di una intera generazione di politici che, a dispetto delle mani sporche di sangue, ha continuato a governare il Paese negli anni a venire, impunita, con le stesse mani lorde alzate.

Ho trovato molto efficace il brano che accompagna i titoli di testa, firmato da Fabio Massimo Capogrosso, autore della colonna sonora, che, con quel mandolino ossessivo, riassume l’aria da operetta macabra e sinistra che doveva avere l’Italia del tempo.

Mi ha incuriosito l’uso del font Clarendon, per i testi che accompagnano i vari episodi (il nome della serie nei titoli di testa, il numero della puntata, le date, i luoghi, ecc.): è un carattere tipografico di uso abbastanza comune (per esempio, è quello che identifica il logo storico del quotidiano il Giornale), ma è anche lo stesso font che, da anni, viene usato nel programma Blob di Rai 3. Non so se esistano delle connessioni, ma, al di là di un possibile riferimento al quotidiano fondato da Montanelli (che, peraltro, fu sempre molto critico nei confronti di Moro, anche nel corso del rapimento), potrebbe non essere del tutto peregrina l’idea che, come Blob ricompone e rilegge la realtà (mediata dalla televisione e altri medium visivi), anche la serie di Bellocchio, per via del citato libero adattamento dei fatti documentati, si proponga come un punto di vista “altro”, alternativo, rispetto a quello ufficiale.
Molto probabilmente, questo parallelo non è stato cercato e non esiste assolutamente e il font Clarendon è stato scelto solo per la sua estetica solida e rigorosa, ma mi è piaciuto immaginare l’intento “ribaltatore” e disvelatore del programma Rai applicato alla miniserie di Bellocchio.

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