Recensione su Escape at Dannemora

/ 20186.512 voti

Patricia Arquette superstar / 17 Gennaio 2019 in Escape at Dannemora

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Escape at Dannemora è una miniserie Showtime in 7 episodi (circa 60 min./cad.) ispirata a fatti realmente accaduti nel 2015 nello Stato di New York, all’interno e nei dintorni del carcere di massima sicurezza Clinton Correctional Facility.
La miniserie è diretta da un capacissimo Ben Stiller che, per la prima volta, si cimenta in una serie tv drammatica (in passato, Stiller ha già curato prodotti seriali, ma di ben altro tenore narrativo).

Tecnicamente ineccepibile, ben fotografato e ben montato (bella la scena -peraltro lunghissima- in cui viene mostrato tutto il percorso nel “sottosuolo” per raggiungere la tubazione che fungerà da via di fuga), Escape at Dannemora è un racconto d’evasione abbastanza convenzionale e, a tratti, oso dire perfino soporifero, inutilmente dilatato (forse, sarebbero bastati 4 episodi, se non un singolo film, per raccontare tutto).
Ha un grosso pregio: ha dei buoni personaggi, nerissimi e bestiali, interpretati da attori molto validi, come Benicio Del Toro e Paul Dano. È Patricia Arquette nei panni di Joyce/Tilly a dominare la scena, però. L’attrice, che, finora, per questa parte, ha vinto un Golden Globe 2019 e un Critics’ Choice Award 2019, ha accettato un ruolo disturbante come quello di una donna emotivamente instabile, depressa, votata a una visione distorta del romanticismo che la rende una specie di ninfomane, lasciando che i truccatori e i costumisti facessero scempio del suo aspetto, esasperandolo in maniera inclemente per renderlo praticamente identico a quello della reale protagonista della vicenda (che, da quel che ho letto in Rete, pare si sia lamentata della messinscena dei fatti, a dimostrazione ulteriore della sua instabilità. Occhio a ulteriori spoiler: https://bit.ly/2QUI7RC).

Insomma, in termini di narrazione, Escape at Dannemora non mi pare aggiunga molto alla narrazione cinetelevisiva legata alle storie ambientate in carcere e a quelle che raccontano spettacolari evasioni da una prigione.

Sei stelline per un soffio (al voto sufficiente, concorre anche la bella selezione di blani classic rock inserita nella colonna sonora).

2 commenti

  1. lithium / 18 Gennaio 2019

    Concordo con la recensione, proprio per gli stessi motivi per me non riesce a strappare la sufficienza. Tra l’altro mi ha infastidito [SPOILER ALERT] il personaggio di Del Toro che dentro la prigione sembra un dritto, uno in grado di pianificare tutta la fuga, uno capace di rimanere concentrato sull’obiettivo anche mentre gli fanno un pompino (ricordi lo sguardo fisso fuori dalla finestra?) e poi invece una volta fuori diventa Ciccio Pasticcio??? Potrebbe essere anche una valida scelta di scrittura ma allora fai che tutti i personaggi fuori dalla prigione divengono persone completamente diverse, non solo lui! Ma perchè?? 😀

    • Stefania / 19 Gennaio 2019

      @lithium: hai ragione, la differenza tra il personaggio dentro e fuori il carcere è abissale (la scena che citi suggerisce la precisa misura del suo sangue freddo e della sua determinazione) e concordo sul fatto che, per giustificarlo, avrebbero dovuto motivare in qualche modo il mutamento, invece il cambiamento sembra “casuale”, dettato da un improvviso rimbambimento e dalla passione per l’alcool (ma quella l’ha sempre avuta, anche in galera, infatti il secondino gli passava occasionalmente da bere, eppure sembrava sempre estremamente consapevole di cosa stava facendo).

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