Dexter Morgan, esperto degli schizzi di sangue presso la polizia di Miami, in realtà è un serial killer, educato dal padre per far fronte ai suoi istinti omicidi, che gli ha insegnato un codice secondo il quale può uccidere solo quelli che meritano di morire, tipo assassini e stupratori. Con l’aiuto dei fascicoli della polizia, inizia una serie infinita di caccia all’uomo, e di conseguenti omicidi che seguono un preciso modus operandi, in modo che nessuna traccia venga lasciata, per poi gettare in mare i cadaveri mutilati delle sue vittime.
In ogni serie c’è un serial killer ricercato dalla polizia, con delle particolarità nel modo di uccidere, di lasciare indizi che stimola la curiosità e la sete di vendetta di Dexter, che inizia una ricerca parallela, in modo da poter arrivare prima dei suoi colleghi e fare giustizia a modo suo, quindi man mano che la storia avanza, diventa per lui complicato nascondersi, soprattutto dalla sorella Debra, sua collega.
Man mano che le serie passano, si viene a delineare un Dexter diverso, che conosciamo inizialmente come quasi un automa, con le sue abitudini e le sue manie, per poi mano a mano rivelarsi umano e debole.
Nel complesso la serie televisiva è avvincente, alcune annate risultano forse un pò troppo ostentate per volere essere “sempre meglio”, ripetitive e scontate, per arrivare all’ultima e attesissima conclusione dell’epopea dexteriana.
L’ottava serie si discosta totalmente dalle precedenti sette, è più narrativa, non c’è azione, c’è una mutazione totale del personaggio di Dexter, qualche personaggio inserito al suo interno che appare e scompare senza lasciare nulla (SPOILER: il figlio della dottoressa Vogel evitabilissimo), per poi concludersi forse nel modo più banale e scontato che ci si potesse aspettare, senza enfasi e patos, che ti lascia con l’amaro in bocca e chiedendoti “ehmbè, tutto qui?!?”. Peccato, forse si poteva osare di più, ma probabilmente gli sceneggiatori, dopo otto anni, hanno perso la loro inventiva.
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