Trasposizione coerente e audace dell’opera ( inarrivabile ) di Go Nagai. / 13 Febbraio 2018 in Devilman Crybaby

Operazione complessa e alquanto rischiosa quella di adattare un manga come Devilman, che negli anni ‘70 ha riscontrato un notevole successo, tanto da essere annoverato tra le migliori opere del ‘’papà dei super robot’’ Go Nagai.
In realtà la prima serie animata non si può neanche considerare un adattamento, in quanto la storia è estremamente diversa, rabbonita e temperata per un pubblico più giovane. Nonostante ciò ha contributo a espatriare l’uomo diavolo in Occidente, rendendolo uno dei personaggi più famosi e raffigurativi del periodo d’oro dell’animazione giapponese.
I successivi OAV hanno cercato di tenere il passo del manga, ma nel complesso un’opera completa e fedele al fumetto, almeno fino ad oggi, latitava.
Ovviamente l’ultima trasposizione targata Netflix non regge lo spessore e la profondità del manga, ma la lambisce, raffigurandola in fattezze più modeste e misurate; da qui le critiche a uno stile un po’gradualista di Masaaki Yuasa, che l’ha diretta, ma che rientra perfettamente nel suo linguaggio, e che dona all’opera un aspetto ruvido e indefinito, ma efficace.
L’alternanza fra gradazioni accese e fredde, con una maggiore prevalenza di quest’ultime, unite a toni angoscianti e sensuali, riesce a imprimere all’azione un senso esoterico e misterioso, sebbene a tratti un po’ sconclusionato e confusionario.
Yuasa adatta e, complice un mondo quasi celato dietro il suo involucro tecnologico, reinventa, utilizzando tutti quegli espedienti in grado di veicolarne con maggiore velocità e sollecitudine il messaggio.
In definitiva, Devilman Crybaby si delinea come trasposizione coerente e audace dell’opera ( inarrivabile ) di Go Nagai.

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