4 Recensioni su

Cowboy Bebop

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serie tvCowboy Bebop

Capolavoro / 11 Giugno 2016 in Cowboy Bebop

Potrebbe ricordare Lupin se visto di sfuggita, ma ha dalla sua un’atmosfera malinconica verso il passato, verso il tempo che passa, personaggi caraterizzati in modo migliore, cambi di genere di episodio in episodio, passando dal noir all’horror, e continui rimandi al cinema e alla musica (in quest’ultimo caso non sempre di qualità ma vabe). Inoltre un’ottima regia ed animazioni che erano all’epoca il top. Capolavoro dell’animazione giapponese.

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Vivido squarcio di esistenza in bilico perenne fra pragmatismo e utopia. / 24 Luglio 2015 in Cowboy Bebop

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Non vi è alcun bisogno di scomodare la critica per poter definire Cowboy Bebop come una delle migliori opere di animazione giapponese di sempre. Questo lo si può evincere sin dalle prime scene, attraverso le quali lo spettatore è proiettato in una sorta di futuro fantascientifico, dove le atmosfere Hard boiled e i richiami di una certa ambientazione Jazz fungono da sfondo a una storia e a un intreccio di personaggi dall’anima tipicamente Blues.
Tutti questi riferimenti a generi letterari e musicali sono dovuti, in quanto l’opera di Watanabe è un coacervo di tali influenze, pur conservando una sua peculiare identità. Come quella dei suoi caratteristi, la cui psicologia è curata nei minimi dettagli, a tal punto da delinearne le sfumature.
Dal punto di vista della storia, Cowboy Bebop segue una trama verticale, dove la maggior parte degli episodi si figurano come autoconclusivi, e per quanto paradossale possa sembrare, tale scelta risulta anche quella più consona, in quanto fornisce uno spaccato di vita quotidiana atto a far comprendere agli spettatori la natura dei diversi personaggi. Difatti, è in questi che si cela la chiave di lettura dell’intera serie, la sua drammatica e spietata bellezza.
E così abbiamo Spike Spiegel: apatico, taciturno e tristemente ancorato al suo passato. Un cowboy spaziale che si cimenta in ardue imprese solo per provare l’ebbrezza di essere vivo. Jet Black: ex poliziotto, figura ”quasi” paterna del gruppo. Pragmatico, realista, cela dietro il suo aspetto burbero un’indole pacifica e tollerante.
Con questa amara visione del mondo si entra in contatto con la serie, con i due caratteristi che si guadagnano la giornata lavorando come cacciatori di taglie, sfamando così la loro coscienza con il pane della sopravvivenza.
A rompere tale equilibrio vi è l’entrata in scena di vari personaggi, tra cui un cane Welsh Corgi Pembroke geneticamente alterato e incredibilmente intelligente, di nome Ein ; una donna affascinante, dedita alle scommesse e al gioco d’azzardo, Faye Valentine, che cela anch’essa un passato e una psicologia più complessa, ed Ed, ragazzina hacker, geniale quanto stramba. Sono proprio le due ragazze ( anche coadiuvate dall’affabile cagnolino) a far risaltare la speranza e la sete di futuro in un contesto dove vigeva solo malinconia e cementificazione del passato.
Tutto questo però non basta, soprattutto a un personaggio come Spike, che sin dall’inizio mostra una totale coerenza con il suo modo di vedere le cose, anche rapportandole a eventi e a situazioni impreviste. Una coerenza che sperimenta anche nell’ultimo episodio, dove intraprende un percorso già segnato dalla sua indole. Episodio ricco di citazioni, sulle quali spicca quella di Hemingway , e di allegorie, come quella dell’ultima cena con Jet. Ma la migliore scena rimane quella del dialogo finale fra l’apatico cowboy e Faye Valentine, che assume il classico sapore del confronto. In quei pochi minuti si raggiunge la perfezione, perché in essa si può riscontrare il paradigma passato presente. Faye è quella che ne esce vincitrice, in quanto anch’essa legata a memorie perse, ma attraverso le quali raggiungere un presente, e soprattutto una casa dove rifugiarsi. Spike è forse il vero antieroe per eccellenza, e ciò rende la sua figura unica e intramontabile. Per questo fa storcere il naso l’approssimazione legata agli eventi narranti il suo passato. Difatti, Cowboy Bebop, non eccelle dal punto di vista della sceneggiatura, ma forse è proprio questa imperfezione a rendere l’anime una pietra miliare nel suo genere. Da essa si può ricavare una profonda e concreta analisi della vita, nelle sue più arcane sfaccettature.

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See you, Space Cowboy! / 1 Novembre 2013 in Cowboy Bebop

Cowboy Bebop può essere meritatamente considerato uno dei pilastri dell’animazione anni ’90 senza andare ad indispettire nessuno. Shinichirou Watanabe è magistrale nel mescolare una pluralità impressionante di generi cinematografici, a cui i vari episodi (dotati quasi tutti di una struttura autoconclusiva) si appellano. Le puntate infatti si presentano come storie miste a fantascienza, pulp, noir, azione, western e molte altre. A braccetto con questo armonioso poutpourri filmico, abbiamo una colonna sonora davvero lodevole, che spazia allegramente tra tutti i generi musicali possibili. Proprio la musica è una delle colonne portanti dell’opera, al punto che ogni puntata prende proprio il titolo di un famoso brano o di un noto genere musicale.
Traboccanti di carisma e per nulla stancanti poi i personaggi. L’intera ciurma del Bebop è costituita da un quintetto di eroi perfettamente costruito su dei background forse un po’ semplici, ma fortemente convincenti e dotati anche di un certo alone di mistero. Tutti i passati dei protagonisti, infatti, sono intriganti e da scoprire lentamente durante il corso della serie.
Un’opera che vale davvero la pena vedere.

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14 Luglio 2013 in Cowboy Bebop

Una delle migliori serie animate degli ultimi quindici (per non dire venti) anni: di difficile catalogazione, perché la cornice futuristica e fantascientifica è un (solido) pretesto per delineare il ritratto di un protagonista intrigante che, soprattutto esteticamente, tanto deve al Lupin di Monkey Punch.
Personaggi ben delineati, animazione sopraffina, studio delle scenografie di altissimo livello e, poi, ca va sans dire, bella storia.

Una delle mie puntate preferite è la Session 18, Speak like a Child, in cui si accenna, precorrendo di molto i tempi, della scomparsa dei videoregistratori e delle vhs: ora che ciò si sta compiendo sul serio, mi capita spesso di ripensare alle ricerche di Spike sull’argomento.

Piccolo particolare che ho sempre apprezzato: ogni puntata (dell’unica, sniff!, serie) fa esplicito riferimento ad un brano famoso della storia della musica contemporanea (come se non bastasse il richiamo al jazz contenuto nel titolo).
E anche la sigla di apertura è una piccola chicca (funky) con un’estetica 70’s da fare invidia a quelle dell’epoca:

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