Recensione su Chernobyl

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L’orrore di Chernobyl / 28 Luglio 2019 in Chernobyl

La miniserie tv HBO e Sky Atlantic Chernobyl racconta il disastro avvenuto nella centrale nucleare V.I. Lenin, in Ucraina, nell’aprile 1986. Oltre che sulla cronaca dell’evento, si basa su testimonianze degli abitanti di Pripyat, la città abbandonata poco dopo l’esplosione, raccolti dalla scrittrice Svetlana Alexievich nel libro Preghiera per Černobyl (1997).
Ero una bambina, quando la centrale esplose, ma ricordo alcuni dettagli. In primis, il divieto di sostare a lungo fuori casa, di mangiare verdure fresche, di bagnarsi con la pioggia. Ma, all’epoca, non avevo chiara la portata del disastro e di come, per un certo lasso di tempo, l’umanità abbia rischiato di essere pesantemente decimata. Chernobyl riesce a trasmettere con lucida implacabilità e crescente terrore questa insopportabile sensazione di ecatombe imminente.

La miniserie è stata in grado di mettere in scena un dramma di portata incalcolabile, usando i codici del cinema horror ed è una scelta tecnico-narrativa che ho apprezzato moltissimo. Qui, i fatti di Chernobyl hanno l’aspetto di un disaster movie, in cui una pandemia strisciante, invisibile, veloce e subdola uccide migliaia di persone in maniera orribile e pregiudica la salute dei sopravvissuti e delle generazioni a venire. Ci sono tutti gli ingredienti di un film di genere: l’evento devastante e inaspettato, la malattia, la morte, l’inadeguatezza degli organi di Stato, il coraggio dei singoli.
L’orrore decuplica, quando lo spettatore realizza, dopo averla smarrita per un’istante, la consapevolezza che quello che viene raccontato è avvenuto realmente, che le ripercussioni dell’esplosione sono ancora in atto e che, se alcune persone non si fossero sacrificate (più o meno consapevolmente), oggi, forse, non sarebbe davanti a uno schermo a guardare questo prodotto di fiction.
Nell’apprendere la dinamica dei fatti che hanno portato all’esplosione e il comportamento dei responsabili durante e dopo il dramma, monta nell’animo una rabbia impotente.

Dal punto di vista televisivo, della miniserie ho apprezzato anche la scansione implicita in capitoli, grazie a cui, di episodio in episodio, viene raccontata la vicenda di uno o due personaggi in particolare, una scelta utile a mostrare aspetti diversi della stessa storia.
Molto bravi gli attori: nel cast, spiccano i più noti Jared Harris, Stellan Skarsgård ed Emily Watson, ma offrono una buona prestazione anche i comprimari, come Paul Ritter e Barry Keoghan.

Nota: benché i fatti si svolgano in Unione Sovietica, nella versione originale della miniserie, tutti i personaggi parlano in inglese. Pur avendo apprezzato la prova artistica del cast, penso che sarebbe stato necessario realizzare la fiction in lingua ucraina: l’effetto è straniante e, nel complesso, sottrae verosimiglianza al progetto.

2 commenti

  1. Catoblepa / 28 Luglio 2019

    Più in russo che in ucraino, in realtà. All’epoca le lingue regionali (che poi sarebbero diventate lingue nazionali dopo la dissoluzione dell’URSS) erano sopportate malvolentieri dallo stato e si portavano addosso uno stigma abbastanza pesante. Non c’erano divieti espliciti (che c’erano invece stati durante lo stalinismo) ma si parlavano praticamente solo in famiglia (e neanche sempre, perché nelle kommunalke la paura che qualche inquilino poco leale potesse fare la spia era abbastanza alta). Il 90% del tempo la gente parlava russo, sia che fosse in Ucraina, in Lituania o in Georgia.

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