Recensione su La forma dell'acqua - The Shape of Water

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Lirismo fiabesco / 17 Febbraio 2018 in La forma dell'acqua - The Shape of Water

Con ridondanze estetiche degne dei migliori libri illustrati, Del Toro mi ha messo nelle condizioni di fare temporaneamente pace con il romanticismo tout court.
Attingendo non solo iconograficamente a più generi cinematografici, dal noir, al sci-fi di vecchio stampo, il regista messicano ha messo in piedi una storia narrativamente ed emotivamente semplice, però capace di appassionare ed emozionare, due compiti che, secondo me, il cinema sta dimenticando troppo spesso di assolvere.

Non è un lavoro perfetto, questo. Sbava nelle semplificazioni e in certe ingenue soluzioni narrative (pur giustificate dal contesto fiabesco della storia) e, sicuramente, abbonda un po’ sterilmente nel ribadire il tema che sottende la vicenda, cioè il peso sociale delle diversità.
Oltre alla creatura palesemente mostruosa dal punto di vista fisico, ci sono l’handicap della protagonista, la sua scarsa avvenenza che non rispetta i canoni tradizionali di bellezza, la comprimaria di colore, l’omosessualità.
Al personaggio di Michael Shannon, poi, è toccato di incarnare tutte le pulsioni negative: ira, ossessione religiosa, misoginia, razzismo, sadismo e devianze psicologiche e sessuali (la scoperta che il mutismo di Elisa lo eccita mi ha tanto ricordato La scala a chiocciola di Siodmak). Per quanto necessario al racconto, mi è sembrato un surplus eccessivo.

Al di là di tutto questo, però, il film mi è piaciuto molto, a partire dalle interpretazioni di tutto il cast principale, con una Hawkins deliziosa (ma io ho un debole per lei e la sua capacità di rendere umani e accessibili i suoi personaggi, quindi forse non sono molto obiettiva).
Ho trovato il lavoro di del Toro fascinosamente curato nello studio delle scenografie tanto quanto lo era stato Crimson Peak (e, qui, ci sono ancora begli echi preraffaelliti e liberty nelle carte da parati, nelle boiserie e in quei finestroni dalle forme circolari che tanto mi ricordano le Lady of Shalott di Hunt e Waterhouse).

Inutile insistere sul palese ma gradevole citazionismo cinefilo, esplicito o meno, di questo film.
Dopo The Artist e La La Land, c’è un nuovo (riuscito) caso di revisionismo postmoderno dei classici (cosa che, a parer mio, non è riuscita con Ave, Cesare! ai Fratelli Coen, citati nei ringraziamenti insieme a Cuarón e a James Cameron).
Si tratta davvero di un canto d’amore al cinema, dall’epoca del muto (non è un caso, in questo senso, che la protagonista non parli) al kolossal in Technicolor. Fondendo toni e contesti, senza tradire mai la sua passione per la fiaba oscura, del Toro ha declinato in modo nuovo e lirico la classica storia d’amore fra la bella e la bestia, usando consapevolmente (e furbescamente) cliché e stereotipi, mostrando una decisa padronanza di qualsiasi mezzo tecnico, dalla sceneggiatura, al laboratorio scenografico (per ricchezza visiva e gusto per la produzione artigianale, lo ritengo un degno erede di Terry Gilliam e sodale di Jeunet), fino agli effetti visivi.
La sequenza acquatica finale, poi, è davvero palpitante, degna conclusione di un così buon racconto.

2 commenti

  1. angeloa / 18 Marzo 2018

    Che dire, condivido ogni parola. Tuttavia non avrei scritto questo inutile commento, se non fossi rimasto ammirato dall’accenno agli “echi preraffaelliti e liberty nelle carte da parati, nelle boiserie e in quei finestroni dalle forme circolari che tanto mi ricordano le Lady of Shalott di Hunt e Waterhouse).” Un colpo di classe!
    E’ noto che Del Toro ha dichiarato di aver preso le mosse da un film popolare del 54, “Il mostro della laguna nera”, Ho avuto la fortuna di vederlo e mi sento di dire che il lucertolone è stato vendicato a puntino.
    Tra le opere fiabesche che sono imbevute di amore per la storia del cinema esprimo la mia preferenza per “Hugo Cabret” di Scorsese; di sicuro “La forma dell’acqua” merita di entrare in questa tradizione.

    • Stefania / 19 Marzo 2018

      @angeloa: Del Toro non ha mai fatto mistero della sua passione per determinati film e per una certa iconografia e, personalmente, rispetto decisamente questa sua propensione imitativa e citazionistica così esplicita 🙂
      Purtroppo, non abbiamo idee concordi su “Hugo Cabret”: ricchezza manifatturiera e omaggio a Méliès a parte, non mi piacque molto, la storia non mi colpì in maniera particolare. Credo anche che gran parte del dolo sia dovuto al fatto che lo vidi in 3D e la visione del film, in qualche maniera, mi pesò. Dovrei rivederlo nelle condizioni giuste, credo.
      Tra i film “artigianali” degli ultimi 30 anni che mi piacciono di più, c’è il pazzesco “Le avventure del Barone di Munchausen” di Terry Gilliam 🙂

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