Recensione su The Place

/ 20176.7229 voti

Suggestivo / 13 Novembre 2017 in The Place

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

(Sei stelline e mezza)

Sono combattuta. Il soggetto è intrigante, ma alcune forzature narrative mi hanno fatto storcere il naso. In particolare, la voluta “incertezza” tra realismo e metafora non mi ha convinta granché.

Il concetto di libero arbitrio viene presentato qui in una confezione decisamente originale. Gli argomenti affrontati sono battuti dalla notte dei tempi, ma non per questo girano a vuoto: ciascuno è artefice del proprio destino, a ogni azione corrisponde una reazione e la ricerca di una giustificazione o di un capro espiatorio a cui addossare l’esito delle proprie scelte è una inutile scappatoia che mette a tacere la propria coscienza in maniera vanamente gratuita.

Il film di Genovese, quindi, solleva questioni decisamente stimolanti, ma, a parer mio, si risolve in un gioco narrativo un po’ annacquato e, soprattutto, già visto.
Il debito di contenuti e di natura dell’intreccio nei confronti del primo Iñárritu (Amores perros, 21 grammi, soprattutto Babel, ma pure Biutiful, va…), di Crash di Paul Haggis e perfino di 6 gradi di separazione di Schepisi mi è parso abbastanza evidente. Di parzialmente inedito c’è il fatto che il “deus ex machina” si palesa da subito (nel personaggio di Mastandrea, un po’ cristologico, nel suo reiterato “Non l’hai fatto per me, ma per te” che suona come “Tu l’hai detto”, e un po’ luciferino, à la Louis Cyphre del De Niro di Angel Heart, insomma), mostrando l’umanità e la possibilità di cadere in fallo di chi accetta il ruolo di giudice super partes delle tenzoni terrene.

Per il resto, le connessioni fra alcuni personaggi volutamente forzose (però, ho trovato bella e “naturale” quella fra Giallini e la Puccini) e il finale aperto non mi hanno soddisfatta. Ecco, per quanto riguarda il finale, io, il mio compagno di poltrona e una signora seduta qualche poltrona più in là con cui abbiamo parlato a fine film ne abbiamo formulate almeno tre, tutte plausibili: non è un po’ eccessivo lasciare tante incognite inespresse? Probabilmente no, però a me la cosa non è piaciuta molto (e torno alla labilità fra realismo e metafora di cui accennavo all’inizio).

Buona la prova del gruppone di attori, azzeccata la scelta di articolare la vicenda in un solo ambiente (quasi un “film da camera”), lasciando alla fantasia dello spettatore la possibilità di creare il resto dei contesti, buona la resa tecnica generale (anche se non ho apprezzato la prevedibilità di certe musiche cariche di pathos piazzate in maniera didascalica in due-tre momenti del film).

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