Recensione su The Imitation Game

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Non basta una macchina per superare i limiti dell’uomo / 26 Gennaio 2015 in The Imitation Game

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

“Ispirato da una storia vera”, inizia con questo disclaimer la storia di Turing, del suo Frankenstein dedicato al suo amore d’infanzia e la sua voglia di sfidare i propri limiti raccontando a tutta l’europa quel genio capace di creare una macchina capace di fare calcoli in maniera più efficace della mente dell’uomo. Una sorta di intelligenza artificiale primordiale che pone le basi teoriche del calcolatore, oggi ben più noto con il nome di computer.

La narrazione viene accompagnata con la composizione magistrale di Alexandre Desplat, perfetta per introdurre il personaggio interpretato divinamente da Benedict Cumberbatch, talmente bravo nell’immedesimarsi in un genio talmente genio da risultare – e forse essere – autistico nelle sue conoscenze.

Gli ingredienti per un gran film ci sono tutti, Charles Dance teatrale nell’interpretazione di un colonnello legato più alle regole che alla mente, il team di scienziati capitanato da Matthew Goode conquistati nel tempo dal sogno di Turing, bellissimo – e ben interpretato da Keira Knightley – il personaggio di Joan Clarke, una sorta di suffragetta della matematica e della logica che riesce a rompere gli schemi di una mentalità retrograda che riconosce alla donna il solo ruolo massimo nel lavoro di segretaria.

Bravo Morten Tyldum dietro la cinepresa, capace di alternare il racconto della vita di Alan Turing, giovane omosessuale dalla mente troppo brillante per essere accettato dalla società. E’ proprio sul modo di raccontare la vicenda che giunge una nota dolente, il cinema ha dei canoni e “Imitation Game” colleziona troppe somiglianze con altre pellicole vogliose di raccontare storie di geni incompresi.

Durante i 114 minuti lo spettatore viene colto da frequenti déjà vu, non tanto perché si possa conoscere già l’operazione denominata Enigma o la vita di Alan – molto, forse troppo romanzata – ma si contano tanti cliché già visti.

La nota stonata è fortunatamente poco udibile dallo spettatore che si troverà a rivivere i panni di uno dei più grandi scienziati del nostro secolo capace di affrontare tante difficoltà grazie alla sua passione per la matematica, la semantica e la crittografia incapace, invece, di affrontare fino in fondo il suo personaggio troppo precoce per essere capito in tempi così lontani.

Voto: 7, da vedere con o senza popcorn.

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