Recensione su Le vite degli altri

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17 Ottobre 2012

1984 Berlino est …. E il film in effetti deve molto al libro di Orwell (la scelta dell’anno di ambientazione non è un caso), sia per l’impianto generale che per lo snodo della storia principale. IL film ci restituisce una ambientazione algida e grigia (quasi realisticamente futuribile, anzichè tristemente storica), il meccanismo perfetto del totalitarismo come piena appropriazione dello stato delle vite e dei pensieri dei suoi cittadini e su questo costruisce la figura dell’agente della stasi, zelante applicatore dei dettati del partito/stato, un esecutore che ricorda la figura di Eichmann inteso come burocrate perfetto. Proprio sulla contrapposizione della vita di chi spia e di chi è spiato si sviluppa la storia, sull’universo vuoto, piatto e impersonale in cui vive l’agente e che con il suo operato contribuisce a creare e sul mondo caldo, colorato e vitale della cerchia degli amici dell’intellettuale che deve distruggere. Ma l’uno è mosso all’inizio dal credo politico, diversamente da capi e capetti tutti tesi al tornaconto personale, l’altro è un piccolo pavido intelletuale allineato che non vede , o non ha il coraggio di vedere, le storture del sistema. La figura carismatica risulta essere la spia, affascinato dalla vita dell’altro e dalla sua donna, un cannibale di vita, perchè una sua vera non la possiede, attratto tra voyerismo e solitudine, da ciò che accade nell’appartamento che spia, fino a viverne gli accadimenti e a lavorare perchè non vengano interrotti, un uomo che finisce per vivere per interposta persona.
Il film è disseminato di piccolo avvenimenti quotidiani, assolutamente normali, che traducono l’assoluto nulla che il regime impone perfino a se stesso, nelle persone dei suoi agenti, con il divieto di tutto ciò che si stacchi dall’impersonalità più completa.
E il finale è pudico, coerentemente con tutta la storia così poco gridata.

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