Recensione su Il concerto

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25 Febbraio 2012

Certamente il doppiaggio in “simil-russo” all’inizio è sconcertante. Ma man mano che la trama si dipana, il contrasto, che all’inizio faceva quasi storcere il naso, non si nota più. A mio parere, poi, rivedere il film una seconda volta aiuta molto a comprendere a fondo il perchè della scelta di un doppiaggio così azzardato. Infatti il senso sta proprio nel tono che si è voluto dare all’intera storia: è una commedia, che distorce, aumenta, ingradisce difetti e limiti umani, ma non per questo risulta leggera o poco profonda. Infatti, si potrebbe affermare che è esagerata anche la tendenza dei due musicisti ebrei, padre e figlio, a cercare di vendere e guadagnare qualsiasi cosa; si potrebbe senz’altro sostenere che questa caratteristica è un pregiudizio bello e fatto portato all’esasperazione. Ma nell’insieme, il tutto, come anche la disperata ricerca di Filipov di suonare il Concerto, esemplifica perfettamente la vita umana: è come se tutti i personaggi fossero attanagliati da un’ansia latente, da una volontà di correre, scappare, fare, realizzare sogni e desideri; l’unica cosa che li fa fermare è la musica, questa breve realizzazione di un’armonia suprema. E tutto il film, rumoroso, pieno, allegro, scanzonato – in una sola parola, vitale- raggiunge l’apice nella scena finale del concerto e nella rarefazione della bellezza di Melanie Laurent mentre suona. Le lacrime, la felicità e la musica finali fanno pensare che forse un’armonia suprema, per un momento brevissimo, è davvero possibile.

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