Recensione su I Origins

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Perse nel dualismo anche le mie sensazioni… / 27 Marzo 2015 in I Origins

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

vOTO 7

Dalla profondità forzata probabilmente dalla tematica di spessore insormontabile, I origins (simpatico il gioco di parole per cui “I” si legge “Ai” come si pronuncia “eye”) è un film che senz’altro rivedrei, per smascherare possibili e sensibili particolari nascosti dalla cura del silmbolismo celato dietro un attenzione smaniosa ai colori, alle inquadrature, alle musiche, in una sinfonia armonica di una pellicola che avrebbe comunque potuto essere più raffinata. Traballanti dulismi si accoppiano e scoppiano in una danza di emozioni a tratti auliche, perfette, ma non mozzafiato per rapide discese che picchiano scontate per tutta la prima parte del film, L’amore per un altro essere umano e l’amore per il lavoro lottano nei dissapori di una coppia immatura e stranamente conciliata dal destino, un ambivalenza fra scienza e spiritualità (e non di religione poiche ad essa nel profondo non ci addentra) ovviamente confermate e confutate da inizio a fine, ma con una forza inesistente perchè poco coerente con l’atteggiamento dei personaggi stessi, uno scienziato cinico e introverso dal nome Ian Gray e la sua storia d’amore con l’evanescente e fatale, instabile Sofi la quale si insinua nella sua vita perchè portata a lui dagli “Occhi” oggetto di studio e ossessione infantile dell’uomo, fra la fantasia di scene in cui lo spazio e il tempo sembrano aggrovigliarsi al protagonista in un vortice di segnali casuali che lo stesso segue ciecamente, ma che poi freddo perpetra la sua ricerca per smascherare la non esistenza di un Dio ipotetico; ma come questi più palesi profonde e piccole incoerenze scoppiano come l’idea che lo spettatore si fa sulla scena successiva, che spesso prende vita con una cadenza prennuanciata alla quale esso infondo spera possa invece diramarsi in un bivio di novità e phatos… Come la morte stessa di Sofi preannunciata dalla lenta e altrimenti insificante scena a letto durante la quale lei dichiara il desiderio di essere cremata .
Interessante e coinvolgente tutta la seconda parte, più netta, più chiara, più scientifica, meno salti temportali lunghi e inspiegati, meno contraddizioni, probabilmente perchè giunti oramai dopo sette anni a dimostrazione che “Dio non esiste” e ciò che non conosciamo, la cui esistenza è messa a tacere, non può più creare dubbi.
Curiosa interpretazione del concetto che gli occhi riflettano l’anima di un essere, tramite svariati casi del destino, Ian si trova a girare il paese, prima per sfiduciosa casualità nei confronti di test a cui viene sottoposto il suo bambino, e poi spinto da quella che diviene sua moglie per scoperte, cinematograficamente parlando, fatte in una maniera frettolosa, che non incontra ostacoli, per cui gli indizi si manifestano a lui improvvisi e collettivi,in cui quel minimo di scintillio stimolante da 007 svanisce come un lampo in un cielo piovoso, per confutare la sua non-dottrina.
Nuovamente perso per il mondo è alla ricerca quasi impossibile, in un quartiere molto povero e popoloso Indiano, degli occhi di Sofi, o almeno dell’anima che le apparteneva rincarnata in una bambina che dovrebbe portare con se ricordi della vita passata, Ian riesce a ritrovare quello sguardo e a sposare la sua discutibile (a questo punto) scienza con una spiritualità a cui non aveva mai creduto, ma a cui egli è spinto a soggiacere dinanzi a dimostrazioni effettive del vero.
Finale poco curato nella trama, ma molto nel dettaglio dalla musica alle inquadrature lo scienziato e la sua scoperta si incamminano emozionati per mostrare al mondo una grandezza fino a quel momento celata.

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