Recensione su Captain America: Civil War

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Film in scatola. / 10 Maggio 2016 in Captain America: Civil War

In un orgiastico gusto puramente nerdiano c’è chi, dopo la visione di “Captain America: Civil War”, si è schierato o per l’uno o per l’altro schieramento. Ora io tra lo Steve Rogers freak e il Tony super intelligente (ma neanche tanto in questo film) non mi schiero con nessuno dei due: e siccome vorrei schierarmi con convinzione dalla parte del cinema, sempre più invaso da questa onda barbarica di serialità cinecomics, pongo un legittimo paragone, e prendo le difese dell’altro importante film su supereroi uscito qualche settimana prima. Quindi viva Snyder, viva “Batman vs Superman”, con tutti i suoi enormi difetti. E questo già la dice lunga su quanta pochezza si nasconda dietro l’ultimo prodotto Marvel.
È vero la domanda è lecita: cosa ti aspettavi? Il capolavoro? Effettivamente no, lungi da me. Ma quanto meno di essere un tantino sorpreso, o smentito, o deluso per le basse aspettative riposte. Come è riuscito a fare, in fin dei conti, il film di Snyder. Nel caso di “Civil War”, che in sostanza mette al centro la stessa tematica e dinamica narrativa dello scontro tra eroi, cioè una guerra civile tra buoni, assistiamo all’ennesimo prodotto identico ai suoi predecessori. L’assurdità è che stanno facendo lo stesso film in serie, e non se ne rendono conto: dopo Whedon e il suo primo “Avengers”, il cervello Marvel ha fatto segnare encefalogramma piatto. Non ci sono slanci, non c’è personalità, non c’è coraggio, non c’è visionarietà. È un cinema in scatola: se apri una scatoletta di tonno non ti aspetti di trovare salmone, allo stesso modo aprendo la scatoletta del cinecomic Marvel trovi sempre la stessa pappa: può piacere, ma a lungo andare provoca nausea, e appiattisce l’esistenza, che è peggio.
Il film comincia e fin da subito denuncia la sua frammentarietà di luogo (e tempo). Si rimbalza a destra e sinistra, sopra e sotto, in giro per il Mondo: Nigeria, città degli Stati Uniti, città europee, cambia solo il cartello con il nome della città in sovraimpressione all’inquadratura, posto centrale e di formato più grande. Questa composizione globale sfilaccia a non finire l’intreccio, e di fatto lo rende già debole. Non a caso le vicende del “Batman” di Nolan (o anche quello di Burton, fa lo stesso insomma), aiutate da una matrice fumettistica sicuramente più consapevole e portante, sono contenute dentro una sola location, che è Gotham (a parte una/due brevi e rapide uscite), una città che respira, che si muove, che è presenza viva, che si fa perciò personaggio e si incardina nella struttura sintattica dell’opera, rendendola già di per sé solida, imponente. Il “fin da subito” non si esaurisce qui, perché nell’incipit vediamo un camion, abbandonato alla guida dall’autista che si ribalta in modo perfettamente simmetrico distruggendo un architrave portante dell’ingresso esterno di un laboratorio che conteneva l’arma biologica (davvero?) da rubare, e nella ricaduta si scansa a sinistra, insieme a tutte le macerie, e i ladri con due camionette entrano in modo liscio e perfetto. E allora lo spettatore un tantino acuto già vorrebbe abbandonare la sala, perché si sente preso in giro. È solo una delle stravaganze interne alla storia che il film ha, sintomi della sufficienza della più comune sceneggiatura da “compitino”. Riportiamo allora alla mente l’incipit di “Batman vs Superman”, niente di trascendentale sicuramente, ma almeno verosimilmente coerente ed equilibrato.
Mantenendo la linea del paragone, anche in “Civil War” c’è il personaggio “umano”, cioè privo di super poteri, che con malizia ed astuzia gioca a mettere contro gli eroi, per una vendetta (cosa sennò?) personale. Ma il personaggio cucito per Daniel Brühl non ha lo spessore, la sottile attenzione psicologica, la dettagliata cura in fatto di personalità e carattere, del Lex Luthor di Eisenberg, che assomiglierà anche al Joker di Ledger, ma assomiglia al Joker di Ledger, per l’appunto, ecco basterebbe a cifrarne la differenza.
Il cinema non abita in casa Russo: i due fratelli provengono dalla televisione e spesso si vede. “Winter Soldier” seppur con le stesse problematiche di piattezza generale, concentrandosi solo su pochi personaggi, riusciva a costruire quantomeno un senso. Qui si fa fatica a trovarlo: fanno fatica gli stessi personaggi, che non trovano un punto d’incontro nella loro diatriba nemmeno quando gli viene palesata la realtà dei fatti. “Civil War” si barcamena nelle scene d’azione, ma la coralità si consuma velocemente in controsensi narrativi, e in ridondanze visive; l’adrenalina manca, perché manca il pathos, e la drammaticità, che invece “Batman vs Superman” era riuscito quantomeno ad abbozzare, o provare a rendere, pur anche qui con una base di substrati d’immaginario culturale, sociale e polito mancante. I Russo non hanno, in sintesi, l’approccio visivo di Snyder, la sua audacia, la sua coerenza stilistica, di toni, di graduazioni. Basterebbero le sole inquadrature concesse a Superman, che palesano il senso di divinità, di onnipotenza, e gli annessi dubbi che affliggono il protagonista su necessità e dimensione divina in un mondo umano, senza tante e troppe parole, per evidenziare nettamente lo scarto tra un cinema di qualità, o meglio, di personalità, e uno di ordinaria amministrazione.
“Capitan America: Civil War” stanca. Stanca nel suo incedere, tanto prevedibile, quanto privo di suggestioni, narrative e stilistiche; e non basta un nuovo Spider Man a risollevarne l’originalità, anche se resta l’elemento distorto di fatto più interessante. Stanca vedere un cinema che si sta incartando in questo mondo, che si sta snaturando, un cinema che non si serve più di nuove possibilità per rinnovarsi, ma ne diventa schiavo, assoggettato a questi meccanismi (seriali, di marketing) stranianti e deleteri. Perché il lavoro di Nolan resta ancora inarrivabile? O quello di Snyder, proseguendo il paragone che questa recensione ha messo in atto, a tratti superiore? Perché il cinema aveva la priorità, su fumetti e derivazioni contigue. Il cinema modellava la materia supereroi a sue sembianze, dentro le sue coordinate, semantiche e sintattiche. Il cinema posto al centro, per fare arte, o semplicemente spettacolo vero, quello che non può prescindere dalla componente dello stupore, della meraviglia. E non quello che si abbandona a menate da nerd.

1 commento

  1. Joel / 11 Maggio 2016

    Bella analisi, solida e fondata. Non condivido molto della critica che hai fatto, ho trovato la sceneggiatura ben imperniata su dinamiche psicologiche, e in più considero queste menate da nerd un valore aggiunto (penso che la Marvel sia cresciuta in mezzo ai suoi lettori-nerd e pur non essendolo, e non avendo mai letto un suo fumetto, sento una sorta di eccitazione quando annuso odore di autoreferenza da maniaci). Potrebbe essere una questione di aspettative, e di certo hai detto una cosa preziosissima quando parli della città come elemento di caratterizzazione, ma penso che lo sviluppo del conflitto tra gli Avengers sia stato meglio studiato che in Batman vs Superman, a tratti nemmeno spiegato.

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