Recensione su Il cigno nero

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Un film potente sulla riscoperta di sé / 27 Gennaio 2017 in Il cigno nero

Tra horror e thriller psicologico, Il cigno nero di Aranofsky sviscera in maniera precisa e potente la ricerca e riscoperta di sé della protagonista Nina, e la sua lotta interiore tra due anime opposte: fragile e insicura, da un parte, aggressiva e passionale, dall’altra. Due anime che albergano in un solo corpo, con la seconda messa a tacere e oppressa troppo a lungo dalla presenza ingombrante della madre. Per dar vita al cigno nero, alter ego e nemesi del cigno bianco, Nina dovrà ritrovare se stessa e riuscire a dare sfogo e piena espressione anche al suo lato più oscuro, attraverso una completa autodistruzione. Perché solo superando i propri limiti e le imposizioni del super-io, si può raggiungere l’estasi, arrivare a una ricostruzione di sé e ricongiungersi con se stessi.

La scissione dell’io e la doppia personalità viene espressa con grande efficacia dalla divina Natalie Portman e dalla grande maestria del regista, tra allucinazione, rimandi, metafore e allusioni.
Molte le polemiche seguite all’uscita del film da parte del mondo del balletto, che accusavano il regista di dare un’idea di quel mondo cinica e crudele. A ben vedere, l’obiettivo del regista non è raccontare la realtà, una fotografia del mondo del balletto, ma sviscerare una metamorfosi, narrare il percorso di una donna che scava dentro di sé per ritrovarsi.

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