Recensione su Agnus Dei

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Una sorella tira l’altra / 11 Dicembre 2016 in Agnus Dei

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Pertanto, è un film con le suore. Ci si immagini Whoopi Goldberg che canta Think (thinkthink), no ok, sto mescolando tutto; ecco, no. Tanto per iniziare non ci sono nigga ma solo polacchi diafani e tutt’al più francesi o russi sbronzi. Fine 1945, storia circa vera, nella Polonia da poco liberata si sta come si sta. E come vuoi che si stia, dimme**a, e fuori fa pure freddo ed è tutto bianco. Cielo, terra, tutto. Mathilde è medico in un ospedale francese, ricuciono la gente, cose così. Arriva una suora che la porta al suo convento. C’è una tizia da far partorire. Mathilde scopre così che in questo convento devono partorire tipo in 18 (no, ok, eran 7), perché durante la guerra ci passava chiunque e le stuprava tutte, repeatedly. Russi, tedeschi, Brunetta, saltimbanchi, chiunque. Ovviamente, le suore erano pronte a morire una per una, anzi, con quel che avevan dentro due per due, piuttosto che dirlo in giro. Per cui si avvicina a loro piano piano Mathilde, conquistando la loro fiducia e mentendo ai suoi superiori finché può, fedele all’ideale del salvare tutto/i. Forse un pelo eccessiva, perché è simpatica, intelligente, gnocca, imbronciata, salvagente, ganza, indipendente. E infatti pure finisce quasi a farsi stuprare dai russi, manca tanto così = poco. L’Agnus Dei del titolo, che in originale sarebbe una roba polon-franco-BELGA (allez les rouges) è riferito ai frugoletti nascituri, che appena nati vengono presi in consegna dalla badessa per portarli alle famiglie. Solo che, essendo una badessa very old style, li molla nella campagna, quella cosa bianca e informe e ghiacciata di cui si è detto su, a morire. E crede pure di aver fatto la cosa giusta! Ma intanto morirà di sifilide, e lo spettatore non può che concordare: “ben le sta”. Di debole ci sono il necessario trombamico medico jew della protagonista, che può fare battute da jew amaro tipo — no dai questa non la scrivo — e dire alle suore “Sì sono jew, embè? Posso salvarvi la vita o no?” e il finale allegrotto in cui tutto si risolve fin troppo per lo splendido, e sta pure arrivando la primavera. Di forte c’è Maria, la suora best friend di Mathilde, polacca all’inverosimile nei lineamenti e negli occhi, e finiscono le due per comprendersi e accettare le motivazioni, religiose anzichenò, l’una dell’altra. E la coralità di un film praticamente di solo donne (e anche fatto da sole donne), che nell’ambiente altero ed altro del convento, tra sempiterne zuppe di rapa e inni cantati, insieme percorrono un tunnel, che è una rinascita, e a volte riesce ma a volte no, per superare tutto questo dolore e schifo che la guerra mette quaggiù.

2 commenti

  1. Stefania / 11 Dicembre 2016

    Sono maliziosa: l’uso del termine “Brunetta” ha carattere, come dire, sostitutivo? :3

    • tragicomix / 11 Dicembre 2016

      @stefania, speravo che si notasse ma non troppo 😀 un po’ vedo non vedo – e mi fermo. Ho omesso un sacco di battute su nani ed ebrei qui, mi sono autocensurato :/

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