Recensione su 10 Cloverfield Lane

/ 20166.5190 voti

Ma che, scherziamo? / 29 Aprile 2016 in 10 Cloverfield Lane

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Del sequel non ha l’intenzione, né di fatto le fattezze finali. Il legame con quel “Cloverfield” del 2008, esperimento cinematografico nel suo complesso riuscito, firmato Reeves (regia) e J.J Abrams (in veste di produttore), resta tutto nel titolo, e nel lancio pubblicitario: “10 Cloverfield Lane” vuole essere un’altra cosa. O almeno tenta di essere altro. E prima di arrivare ad un finale posticcio e sbagliato ci riesce in maniera degna e con egregi risultati.
L’opera prima di Dan Trachtenberg di fatto percorre i sentieri narrativi del cinema claustrofobico e costruendosi su dinamiche strutturali proprie del genere thriller: avvalorandosi dell’apporto in sede di sceneggiatura tra gli altri di Damien Chazelle (“Whiplash”) l’operazione, così pensata, riesce con estrema lucidità, instaurando anche con lo spettatore un rapporto di tensioni e distensioni, che mantiene il livello di interessamento e coinvolgimento sempre alto. Se porti la tua macchina da presa dentro un bunker sotto terra, e hai la possibilità di inquadrare location limitate e dentro queste “raccontare” tre soli personaggi, va da sé che questi debbano avere caratteristi forti, e dominanti: il “buon” John Goodman, dal fiato pesante, e dai movimenti lenti ed impacciati, impersona perfettamente Howard, il creatore del bunker, il personaggio plasmato a partire dall’ambiguità delle proprie azioni e con il materiale della bugia, che è insita nelle sue parole. Fuori è in atto un’apocalisse aliena, così lui afferma: ma la giovane Michelle fa fatica a credergli, convinta che il vero mostro e l’alieno sia proprio lì in quel bunker con lei, e non fuori; cerca perciò di scorgere in ogni momento l’occasione per poter evadere da quella che percepisce come prigione e “privazione”. È lei, in quanto incarnazione del senso di salvezza, ad essere l’ingranaggio che mette in moto i vari snodi narrativi del film, interpreta il senso di curiosità dello spettatore e l’istinto di sopravvivenza in questo schema dei personaggi. Ha le sembianze di Mary Elizabeth Winstead, e non sembrano fuori luogo. Nemmeno Emmet, che pare ininfluente, come colui che media, ma che per buona parte del film assume invece la stessa posizione dello spettatore, incerto su chi e cosa credere. E ci porta dentro quel bunker.
La scoperta costante di nuovi elementi e pezzi del puzzle (immagine metaforicamente rappresentata proprio da un puzzle composto dai tre, a cui mancano alcuni pezzi), condurrà il caso verso la sua soluzione, e le varie “parti” a mostrarsi realmente per quello che sono, ed infine, inevitabilmente, a giocare il loro ruolo nella vicenda. Il tutto regge, perché non è lasciato al caso, ed anzi fonda la propria forza sui dettagli, su sequenze di pura sceneggiatura giocate (letteralmente) sull’equivoco, che porta alla partecipazione attiva dello spettatore: ma, a fronte di quanto possa sembrare se lo si guarda superficialmente, il film si indirizza verso una direzione precisa, e dipana il groviglio a svelare il filo conduttore, che lo spettatore inizia a scorgere in modo graduale, fino a vederlo chiaramente. In modo logico e razionale. Il finale, fuori dal bunker, pertanto è ristabilire la matassa, ingannare l’interlocutore, sbeffeggiare la sua intelligenza, e quindi svalutare e rendere incoerente, sia da un punto di vista della storia, sia del racconto, tutto quello mostrato in precedenza. E la battuta della protagonista “Ma che, scherziamo?” intercetta, purtroppo, lo stesso stupefatto disappunto dello spettatore.

2 commenti

  1. Stefania / 2 Maggio 2016

    Non avrei dato nessuna chance a questo film, se non avessi letto (parzialmente, visto l’avviso di spoiler) la tua recensione.
    L’ho visto al cinema un paio di giorni fa e devo dire che mi è piaciuto parecchio (nonostante il finale): mi ha fatto saltare sulla poltrona, mettere una mano sugli occhi e stringere i pugni in più di un’occasione. Perciò, grazie! 🙂

  2. Simone Santi Amantini / 4 Maggio 2016

    Grazie a te.
    Condivido la tua analisi

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