I Mestieri del Cinema – La sceneggiatrice: Francesca Serafini

Con Francesca Serafini, scrittrice e sceneggiatrice, NientePopcorn.it parla dell'esperienza con Claudio Caligari e del film 'Non essere cattivo'.

I Mestieri del Cinema – La sceneggiatrice: Francesca Serafini

NientePopcorn.it continua ad aggirarsi tra gli ingranaggi della grande macchina della Settima Arte, alla scoperta de I Mestieri del Cinema.
Questa volta, ci immergiamo nel lavoro di Francesca Serafini, scrittrice e sceneggiatrice romana che, insieme a Giordano Meacci e Claudio Caligari, ha sviluppato e dato corpo alla sceneggiatura di NON ESSERE CATTIVO (2015), film diretto dallo stesso Caligari che, uscito postumo dopo la scomparsa del regista, ha raccolto grandi consensi da parte di critica e pubblico, a partire dalla sua partecipazione a Venezia 2015, fino all’edizione dei Nastri d’Argento 2016.
Il film candidato a 4 premi, è già stato insignito dei Nastri per i suoi attori protagonisti, Luca Marinelli e Alessandro Borghi, e per il suo produttore, Valerio Mastandrea. NON ESSERE CATTIVO ha ricevuto anche una menzione collettiva all’intera produzione, alla sceneggiatura e alle attrici, per aver dato vita ad un set “speciale” che è stato in grado di portare a termine il progetto di Caligari anche dopo la sua morte, avvenuta nel maggio 2015.
Il film ha ricevuto anche un altro importantissimo riconoscimento da parte del Sindacato nazionale giornalisti cinematografici italiani (SNGCI): infatti, NON ESSERE CATTIVO è stato eletto “film dell’anno”.

La Banda Caligari riceve gli speciali Nastri d'Argento 2016 assegnati all'intera produzione di "Non essere cattivo", eletto film dell'anno (courtesy Francesca Serafini)

La Banda Caligari riceve gli speciali Nastri d’Argento 2016 assegnati all’intera produzione di “Non essere cattivo”, eletto film dell’anno (courtesy Francesca Serafini).

NP: Francesca, la tua passione per la scrittura ti ha portato a esplorare diversi ambiti del mondo della letteratura e, in generale, della parola scritta. Sei saggista, hai scritto opere di narrativa, ti occupi di serie tv e cinema. La tua formazione accademica ha contribuito a foraggiare questa poliedricità?
Francesca Serafini: Mi sono laureata in storia della lingua italiana e, con il trascorrere del tempo, le conoscenze linguistiche che ho acquisito si sono riversate nel mio lavoro in forme diverse. Diciamo che gli studi accademici hanno rappresentato una sorta di fase propedeutica alla scrittura creativa a cui mi sono dedicata in tutte le sue forme, fino ad arrivare alla drammaturgia, con la scrittura per il cinema e la televisione. A partire dal 2001, per esempio, ho pubblicato un paio di libri dedicati all’uso della punteggiatura. Il secondo, edito da Laterza nel 2012, si intitola Questo è il punto e, attraverso esempi tratti da cinema e televisione, si propone di illustrare il corretto uso della punteggiatura nella produzione dei testi. Ho scritto libri sulla storia della nostra lingua e sulla canzone italiana, ma ora mi sto occupando un po’ più di narrativa. Nel 2014, con Rizzoli, ho pubblicato Di calcio non si parla, un testo che rappresenta una sorta di summa della mia precedente produzione letteraria sia dal punto di vista della forma che dei contenuti, a metà strada tra la saggistica e la narrativa pura. Mi piace il calcio e ho approfittato di questa passione per fare una riflessione sull’abuso della terminologia calcistica nel parlato e nello scritto comune, inserendo nell’opera anche elementi autobiografici legati a me e alla mia famiglia. La prosa è la forma narrativa che preferisco, mentre non mi sento portata per il verso: è una misura che mi va stretta e che non mi permette di dare pienamente voce alla mole di personaggi che affolla la mia testa.

NP: Negli ultimi dieci anni, ti sei dedicata intensamente alla scrittura per la tv. Oltre che con la Rai, per la quale hai lavorato a diverse fiction, come LA SQUADRA e MEDICINA GENERALE, collabori anche con la RSI, la radiotelevisione svizzera. E, come abbiamo visto, non disdegni affatto il cinema.
Francesca Serafini: Esatto. Ho appena terminato di lavorare a due miniserie per la televisione, una realizzata in collaborazione con Giordano Meacci e l’altra con Fabio Paladini. Caso vuole che entrambe siano ambientate a Genova, perché una è incentrata su Fabrizio De André e sulla sua vicenda umana ancor prima che artistica e l’altra sul serial killer Donato Bilancia. In realtà, ho firmato molti altri progetti, anche da sola, ma molti di questi, finora, non hanno visto la luce, per via di percorsi produttivi difficili. Il problema che si è presentato anche con NON ESSERE CATTIVO, ovvero difficoltà di produzione spesso insormontabili, è più diffuso di quel che sembra. Tra le ultime esperienze, ho collaborato al nuovo film di Wilma Labate, un’occasione lavorativa molto piacevole, perché Wilma è davvero una “maestra”, nel senso extra-scolastico del termine. A proposito: vedi com’è maschilista la lingua italiana? Se dico di Caligari che è stato un maestro, ci capiamo subito. Se dico che Wilma è una maestra (e ti assicuro che lo è) si pensa a quella delle elementari. Che va anche bene, perché una maestra è una maestra sempre, se è una brava maestra. Però, non possiamo non tener conto dei sottintesi di cui spesso la lingua si carica suo malgrado.

Francesca Serafini insieme a Claudio Caligari, Giordano Meacci e Valerio Mastandrea sul set di "Non essere cattivo" (courtesy Francesca Serafini)

Francesca Serafini insieme a Claudio Caligari, Giordano Meacci e Valerio Mastandrea sul set di “Non essere cattivo” (courtesy Francesca Serafini).

NP: Come sei entrata nel cast tecnico di NON ESSERE CATTIVO e, quindi, come sei diventata membro di quella che è l’ormai famosa “Banda Caligari”?
Francesca Serafini: Valerio Mastandrea e Claudio Caligari si conoscevano da tempo, da quando, nel ’98, realizzarono L’ODORE DELLA NOTTE. Tra i due, è nato e si è consolidato un rapporto di profonda stima reciproca. È stato Valerio a esprimere l’esigenza artistica di riportare Caligari su un set, ma, a differenza dei suoi precedenti lavori, Claudio non voleva scrivere questo film da solo: aveva l’intenzione di lavorare con autori più giovani di lui che fossero coetanei dei protagonisti all’epoca dei fatti raccontati, che, insomma, fossero ventenni negli anni Novanta. Quindi, ha fatto un vero e proprio casting, come per gli attori, e, per fortuna nostra, ha scelto me e Meacci. Questa collaborazione ha dato vita ad un film che amiamo davvero molto e che ci ha segnati intimamente. Sopraggiunte durante la lavorazione, la malattia e la morte ci hanno tolto Caligari, ma ci hanno regalato una famiglia. Dalla Mostra del Cinema di Venezia in poi, abbiamo continuato il più possibile ad andare in giro tutti insieme per presentare questa esperienza che ci ha fatto crescere e che ci ha permesso di intercettare altri grandi artisti. Nel mio caso, la Labate, per esempio. Claudio ci ha fatto molti regali, non solo insegnandoci tutto quello che aveva imparato lui dal cinema, ma lasciandoci una vera e propria eredità umana. Gli saremo sempre grati: ci ha cambiato la vita e lo ringraziamo.

Claudio Caligari sul set di "Non essere cattivo" © Matteo Graia

Claudio Caligari sul set di “Non essere cattivo” © Matteo Graia.

NP: Ritieni che l’attività di documentarista di Caligari abbia influito sul taglio estremamente realistico dato al film?
Francesca Serafini: Più che la sua esperienza come regista di documentari, ha pesato molto la documentazione vera e propria. Caligari è stato molto meticoloso nella ricostruzione d’ambiente, non solo per quel che riguarda la scenografia e i costumi, ma soprattutto in ambito linguistico. A ciò ha certamente contribuito la lunga frequentazione di quelle realtà. Emanuel Bevilacqua, il Rozzo de L’ODORE DELLA NOTTE, ha contribuito molto. Come una sorta di Virgilio, ha condotto Claudio nei luoghi del film, tra le storie da intercettare e innestare nella sceneggiatura. Una grossa parte del lavoro di sceneggiatura di NON ESSERE CATTIVO è basata sull’uso della lingua parlata e la mia esperienza di linguista e di saggista in materia si è dimostrata particolarmente utile. Infatti, per quanto paiano particolarmente naturali e spontanei, i dialoghi sono molto scritti, le battute affidate ai vari personaggi sono molto precise: ci siamo divertiti a lavorare sull’esercizio del parlato. Certo, l’improvvisazione non è stata bandita del tutto, ma la grandezza del lavoro di Caligari sta proprio lì, nell’aver reso autentica la finzione. Guardare gli attori recitare i nostri dialoghi corrisponde a essere lì, ad assistere, dal vero, a quella precisa situazione, pur sapendo che si tratta di una messinscena. Molto del merito va anche agli interpreti, tutti, da Marinelli e Borghi, da Roberta Mattei a Silvia D’Amico, capaci di mettere in scena una spontaneità straordinaria: a farti sentire la scrittura è anche l’interpretazione. Se, tramite la giusta interpretazione, arriva intatta la forza del dialogo e non si sente la mano dello sceneggiatore, allora vuol dire che qualcosa è andato nel verso giusto. Tutti gli attori, anche chi pronunciava mezza battuta, hanno dato il 200%. Ciascuno aveva la piena consapevolezza che la vita di Claudio stava finendo e anche questo impegno sul set mostra una speciale generosità, una grande capacità di ascolto.

Gli attori e Mastandrea al lavoro sul set © Matteo Graia

Gli attori e Mastandrea al lavoro sul set © Matteo Graia.

NP: Non a caso, gli attori sono uno dei punti di forza del film. Mentre tu, Meacci e Caligari eravate al lavoro sulla sceneggiatura, avevate già in mente chi avrebbe potuto interpretare Cesare, Vittorio e gli altri personaggi del film?
Francesca Serafini: Per niente. Abbiamo iniziato a elaborare la sceneggiatura alla fine del 2012, terminando il lavoro quasi un anno dopo, e, all’epoca, non eravamo neppure certi del fatto che il film sarebbe stato realizzato. C’erano pochissime possibilità, in questo senso, quindi era praticamente inutile pensare ad attori e volti specifici. Questo dimostra che il nostro lavoro di scrittura è stato valido, efficace: la sceneggiatura costituisce la base di un film, perché se non funziona lei non si può arrivare in fondo. Posto che un soggetto come quello di NON ESSERE CATTIVO ha poco appeal dal punto di vista commerciale, la scrittura deve funzionare, deve mostrare tutto il suo potere autorale e consentire al progetto di farsi notare ed affermarsi. Del casting si è occupato Mastandrea e, visti i risultati, le sue scelte non possono essere definite in altra maniera se non molto sagge. Inizialmente, per esempio, Marinelli era stato scelto per interpretare Vittorio, ma presto ci si è accorti che lui era ottimo per il ruolo di Cesare. È stato emozionante vedere le prime foto e video dal set: gli attori erano incredibilmente perfetti nei rispettivi ruoli. In quelle immagini, noi sceneggiatori abbiamo ritrovato subito il sapore della scrittura, non abbiamo affatto sentito e visto stravolto o deturpato il nostro lavoro.

"Amore tossico" (1983)

“Amore tossico” (1983).

NP: Caligari ha scelto di ambientare NON ESSERE CATTIVO nella Ostia degli anni Novanta. Anche per questo motivo, il film mostra una certa continuità con il suo primo lungometraggio, AMORE TOSSICO. Oltre che dal punto di vista del contesto, sembra una sua naturale prosecuzione anche a livello narrativo.
Francesca Serafini: Claudio aveva un’idea precisa: verificare e rappresentare come fosse cambiata l’Italia tra gli anni Ottanta e Novanta del Novecento, mettendo in scena una struttura narrativa basata su tre elementi, vita-borgata-amicizia. Caligari intendeva tratteggiare l’ultimo atto, quello definitivo, della borgata pasoliniana, che ha trovato la sua fine nel berlusconismo di plastica, nell’omologazione televisiva. Il passaggio dall’eroina alle droghe eccitanti è un cambiamento evidente, si tratta di sostanze in grado di procurare effetti sensibilmente diversi. Si può dire che il film si basa più su questa idea che su un soggetto propriamente detto. La continuità con AMORE TOSSICO è esplicita e dichiarata. Basti pensare alla scena iniziale del gelato di NON ESSERE CATTIVO, che riprende una sequenza pressoché identica del film dell’83, e al fatto che due protagonisti di entrambi i film abbiano lo stesso nome, Cesare. Ma anche la continuità con l’opera di Pasolini è voluta e mostrata. Sempre a proposito di onomastica, il secondo protagonista di NON ESSERE CATTIVO si chiama Vittorio, come Franco Citti in ACCATTONE.

I Nastri d'Argento 2016 già assegnati al film (courtesy Francesca Serafini)

I Nastri d’Argento 2016 già assegnati al film (courtesy Francesca Serafini).

NP: I riconoscimenti collettivi ai Nastri d’Argento 2016 sono una ricompensa concreta per il vostro grande lavoro di squadra, un progetto nel quale il protagonismo pare assente e in cui ogni professionalità sembra essersi messa al servizio dell’arte di Caligari.
Francesca Serafini: Inevitabilmente, quello del cinema è un ambiente di narcisismi che non lascia immune nessuno. Il miracolo di NON ESSERE CATTIVOè il senso di comunione che ha unito tutti per tutto il tempo della produzione. Ciascuno lo sente come qualcosa di proprio: è stata una produzione speciale, perché è stata segnata dalla tragedia e dal coinvolgimento emotivo. Questa di Caligari è un’opera cinematografica che è diventata una vera opera collettiva. Chi vi ha partecipato, non può non sentirsi orgoglioso di avervi preso parte, perché, come dicono Boris Pasternak ne Il dottor Zivago e Alex Supertramp in INTO THE WILD, la felicità è vera solo se condivisa e la felicità condivisa è davvero qualcosa di speciale. Non so se questo senso di condivisione, di comunione, appunto, durerà, ma ora è bello. Fino a questo momento, il sacrificio di Claudio, che non ha saltato un solo giorno di set, non è stato vano. Noi ci stiamo impegnando per portare in giro questo film il più possibile, per farlo arrivare soprattutto ai giovani. Non lo facciamo per i premi, ma perché speriamo di emozionare altre persone. Se questo accade e l’emozione torna indietro, vuol dire che abbiamo lavorato bene.

[Nella foto principale: un’immagine tratta dal film NON ESSERE CATTIVO]

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