Anarchia sugli schermi: Goffredo Fofi e “Il cinema del no”

Secondo Fofi, esiste un cinema disobbediente deciso a non accettare il mondo così com'è. Ma con la crisi del medium in atto, perché non demandare questo ruolo alle serie tv?

Libriserie tv , di
Anarchia sugli schermi: Goffredo Fofi e “Il cinema del no”

RACCONTARE LO SPIRITO DEL TEMPO: CINEMA O SERIE TV?

Già nel 2007, il critico Aldo Grasso affermava che le serie tv sono il prodotto artistico che si presta meglio a raccontare lo spirito del tempo, plasmando l’immaginario collettivo della contemporaneità.
Se, all’epoca, quella di Grasso poteva sembrare solo una provocazione, tale affermazione è diventata realtà.
Le serie tv sembrano pronte a sostituire il cinema, diventando La nuova fabbrica dei sogni (Il Saggiatore, 2016).
Golden Age e peak tv [1] sono solo alcuni dei termini più usati per descrivere questo cambio di passo graduale ma epocale. Solo negli Stati Uniti, nel 2016, sono andate in onda 455 serie originali: nel 2010, erano 216.
Intanto, Hollywood arranca, incapace di far fronte alla rivoluzione digitale, ai competitor televisivi, alla crisi della fruizione in sala e alla fuga di attori, registi e sceneggiatori verso il piccolo schermo.

IL CINEMA DISOBBEDIENTE E ANARCHICO

È davvero colpa di Netflix, Amazon, Hulu e delle altre piattaforme di contenuti on demand, se il cinema sembra non essere più capace di avvicinare e appassionare il pubblico come un tempo?

Per rispondere a questa domanda, si rende utile un altro saggio letterario. Ne Il cinema del no. Visioni anarchiche della vita e della società (Elèuthera, 2015), Goffredo Fofi si cimenta in un’analisi della società contemporanea, del trionfo della cultura di massa, il nuovo oppio dei popoli, e della degenerazione dell’Arte, “avvilita nel suo uso come diversivo e merce” [2].
In alternativa a questa omologazione culturale, Fofi propone un’accurata selezione di registi e film che hanno espresso una visione del mondo “anarchica”, ossia originale, critica, di denuncia e di protesta, scollegata dalle logiche di mercato. L’obiettivo di Fofi è realizzare una panoramica completa del cinema più rivoluzionario e indipendente dalle logiche di mercato.

LA DISPERAZIONE CREATIVA

Spiegare cosa sia l’anarchia non è facile. Di norma, tale termine viene accostato a quello di caos, per spiegare uno stato di disordine, la caduta di un governo, la negazione o l’assenza di leggi. Fofi ha deciso di sposare la definizione di Colin Ward, scrittore e architetto inglese, “uno dei maggiori pensatori anarchici della seconda metà del XX secolo” [3]. Ward ha definito l’anarchia come “una forma di disperazione creativa” [4]. È una descrizione che ben si adatta alla carrellata di registi cinematografici citati nel libro di Fofi. L’autore li suddivide in base a due filosofie di pensiero. C’è chi crede in un mondo libero e in una possibilità di riscatto e chi, invece, denuncia con forza, esprime un rifiuto netto senza soluzione.

AUTONOMIA E INSUBORDINAZIONE NEL CINEMA

Jean Vigo, "L'Atalante"

Jean Vigo, “L’Atalante”

L’autore compone una rassegna ricca ed eterogenea di cineasti che, con la loro opera, sono riusciti a esprimere un’idea di cinema autonomo e non subordinato agli interessi di mercato, talvolta anche dall’interno dello stesso sistema produttivo.
Fofi cita Jean Vigo, “il regista del sì”, nella sua incredibile vitalità e fiducia nell’uomo (ZERO IN CONDOTTA, 1933; L’ATALANTE, 1934), Robert Bresson, “il più pessimista tra i pessimisti”, con il suo cinema senza riscatto, distrazione né consolazione (AU HASARD BALTHAZAR, 1966; L’ARGENT, 1983), il “disincantato” Luis Buñuel (VIRIDIANA, 1961), “l’estremista-non-ottimista” Sam Peckinpah (PAT GARRETT E BILLY KID, 1973).
Si pensi, poi, a GLI UCCELLI (1963) di Alfred Hitchcock, “la visione più misantropica mai azzardata nel cinema americano”. Oppure, a PARTITA A QUATTRO (1933) di Ernst Lubitsch, una delle pellicole più provocatorie e anarchiche dal punto di vista sessuale dell’intera storia del cinema. Ma anche a cult come THELMA & LOUISE (1991) di Ridley Scott, che racconta la parabola ribelle e trasgressiva di due donne in fuga.

IL CINEMA ANARCHICO NEL MONDO…

Ne Il cinema del no, trova spazio anche Charlie Chaplin che, grazie alla sua invenzione più celebre, il vagabondo Charlot, ha saputo contestare “il mondo comune per renderlo effettivamente più comune, più condivisibile, per reinventare la democrazia”. E, poi, Rainer Werner Fassbinder, “il più grande e il più autenticamente anarchico” fra gli anarchici, che ha saputo distinguersi grazie ad uno stile viscerale, libero e spietato. Ancora, il brasiliano Glauber Rocha, con il suo anarchico progetto di rottura, il giapponese Nagisa Ōshima, con la sua tensione autodistruttiva, e il finlandese Aki Kaurismäki, con la sua narrazione degli oppressi e dei perdenti.

… E IN ITALIA

Riccardo Minervini, "Stop the Pounding Heart"

Riccardo Minervini, “Stop the Pounding Heart”

Nonostante la sua sia una visione particolarmente negativa, disillusa, se non addirittura ostile nei confronti del cinema italiano, un piccolo spazio del saggio di Fofi è dedicato anche all’Italia. Il critico ha scelto di citare pellicole dal sapore eversivo come GERMANIA ANNO ZERO (1948) di Roberto Rossellini, “un capolavoro sul disorientamento tedesco dopo la sconfitta” che termina con l’atroce suicidio di un ragazzino, e gran parte della filmografia di Federico Fellini (I VITELLONI, 1953; AMARCORD, 1973), colui che meglio di tutti ha saputo fissare un’immagine dell’Italia “eccezionalmente probante e matura” .
Tra gli autori contemporanei, il critico cita Alice Rohrwacher (LE MERAVIGLIE, 2014), Pietro Marcello (LA BOCCA DEL LUPO, 2009), Roberto Minervini (STOP THE POUNDING HEART, 2013) e Michelangelo Frammartino (LE QUATTRO VOLTE, 2010). Secondo Fofi, essi sono i registi italiani anarchici del nostro presente e futuro che si muovono tra marginalità e opere indipendenti, “di alto rifiuto e di alta poesia”.

LA SERIALITÀ ANARCHICA

"Black Mirror", episodio "No sedive"

“Black Mirror”, episodio “No sedive”

Fofi sembra prediligere pellicole appartenenti al passato e, facendo riferimento alle produzioni cinematografiche degli ultimi anni, mette in luce l’assenza di un cinema che sappia leggere le ossessioni, le paure e i desideri del tempo presente, che sia in grado di affrontare temi spinosi, etici e morali.
Per Fofi tutto ha origine con l’evoluzione del progresso e con la vittoria della cultura di massa, quella dei media, della radio, della tv e dal digitale, usati a “fine di dominio e non di emancipazione, non per la conoscenza di sé e del mondo”.
Però, quello che il critico sembra dimenticare è che, negli ultimi anni, sono state la tv e le nuove tecnologie digitali ad accendere il dibattito culturale, a risvegliare le coscienze e a farsi specchio della realtà.
BLACK MIRROR, WESTWORLD, THE HANDMAID’S TALE, TREDICI, MINDHUNTER sono solo alcune delle serie tv di recente produzione che possono essere considerate originali e disobbedienti. Come direbbe Fofi, sono telefilm che non accettano “il mondo così com’è”.

LA RIVALITÀ FRA MEDIUM

"Twin Peaks", terza stagione, episodio 8

“Twin Peaks”, terza stagione, episodio 8

Nel suo libro, Goffredo Fofi parla di arte, cinema, teatro, letteratura, ma ignora le serie tv, a fronte del loro successo e del loro impatto mediatico.
Poche settimane fa, a gran sorpresa, la nota rivista cinematografica Cahiers du cinéma ha eletto la serie tv cult TWIN PEAKS a miglior film del 2017, generando un’ampia discussione se sia giusto o meno considerarla un prodotto cinematografico o televisivo. Quello appena trascorso è stato un anno particolarmente ricco di dibattiti intorno alla rivalità tra i due medium. Nel frattempo, in concomitanza con il prossimo festival del cinema, Cannes si prepara al debutto del suo primo festival internazionale dedicato alle serie tv.
Nonostante la sua natura pop che implica una fruizione di massa, la serialità televisiva è riuscita a farsi portavoce delle istanze dell’oggi e del domani. Proponendo temi che vanno dalla crisi delle democrazie alle battaglie femministe, dal disagio giovanile alla dipendenza delle tecnologie, le produzioni televisive hanno offerto la possibilità di far discutere e riflettere il pubblico.
Insomma, se le pellicole citate da Fofi sono anarchiche perché non possono esserlo anche le serie tv?

Note
[1] Letteralmente, “eccessiva offerta di serie tv”
[2] Goffredo Fofi, op. cit., p. 32
[3] http://www.eleuthera.it/scheda_autore.php?idaut=18
[4] Goffredo Fofi, op. cit., p. 9

[Nella foto principale: un particolare dal film GLI UCCELLI di Hitchcock]

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