I Mestieri del Cinema – Pittori di cinema: il libro di Maurizio Baroni

Nuovo appuntamento con la rubrica di NientePopcorn.it dedicata ai professionisti del cinema. Con il collezionista Maurizio Baroni, parliamo del mestiere scomparso dei "Pittori di cinema".

I Mestieri del Cinema – Pittori di cinema: il libro di Maurizio Baroni

“Pittori di cinema”: l’arte dei manifesti cinematografici

Prosegue il viaggio di NientePopcorn.it alla scoperta de I Mestieri del Cinema, cioè di quelle figure professionali fondamentali nella realizzazione di un progetto cinematografico.
Questa volta, parliamo di un mestiere che non c’è più, quello degli autori di locandine cinematografiche, i cosiddetti Pittori di cinema, a cui la casa editrice Lazy Dog ha appena dedicato un fantastico volume illustrato a cura del collezionista Maurizio Baroni.
Fino all’inizio degli anni Novanta, non solo in Italia, la promozione dei film avveniva anche grazie alle locandine cinematografiche che tappezzavano i muri delle città e di ogni paese in cui c’era almeno una sala cinematografica. Si trattava di materiale illustrativo che doveva comunicare in fretta ed efficacamente la presenza di un film al cinema, avvalendosi solo della forza delle immagini, catturando l’attenzione anche del passante più distratto.

Un omaggio agli artisti italiani del manifesto cinematografico

In Italia, partire dal Secondo Dopoguerra, con l’avvento del boom economico e la diffusione di passatempi di massa a basso costo, i cinema diventarono alcuni fra i luoghi più frequentati da bambini, ragazzi e adulti, che, fra peplum, mélo e western, potevano divertirsi e sognare con pochi spiccioli.
Oggi, non mancano illustratori (come quelli dei collettivi Mondo e Malleus) che, usando diverse tecniche digitali e tradizionali, come la serigrafia, si dedicano alla rielaborazione di manifesti di classici e nuovi successi, destinandone la vendita agli appassionati del settore.
Intanto, le locandine che accompagnavano i grandi successi cinematografici del Novecento sono diventate oggetti di culto, che, nelle loro versioni originali, hanno anche un discreto valore economico. I nomi dei loro autori sono sconosciuti a molti, ma è anche a questa schiera di artisti nell’ombra che dobbiamo il successo e la popolarità di divi e film. Con il volume Pittori di cinema, Maurizio Baroni rende omaggio a professionisti italiani del settore come Anselmo Ballester, Mauro Innocenti, Enrico De Seta, Renato Casaro e Piero Ermanno Iaia con un ampio apparato illustrativo e testuale ricco di aneddoti, analisi e note.
Introdotto dai contributi di Gian Carlo Farinelli, direttore della Fondazione Cineteca di Bologna, e dell’attore e regista Carlo Verdone, il volume di Baroni si avvale anche dei testi di Andrea Mi, Luca Barcellona e Alessandra Cesselon che introducono approfonditamente all’argomento, parlando di lettering, stile ed evoluzione del linguaggio promozionale cinematografico.
NientePopcorn.it ha raggiunto telefonicamente Baroni. Ecco il risultato della nostra chiacchierata.

“Pittori di cinema”: l’intervista a Maurizio Baroni

Rodolfo Gasparri: bozzetto per il manifesto di “Giù la testa” © Lazy Dog

 NientePopcorn: Perché, ancora oggi, i vecchi manifesti cinematografici affascinano chi li osserva? Non si tratta solo di un effetto amarcord che colpisce i cinefili più incalliti. Chiunque guardi una bella locandina realizzata con le tecniche tradizionali ne è colpito.
Maurizio Baroni: La bellezza di questi manifesti non sta tanto nella perfezione del disegno o nella coerenza del contenuto. Spesso, ciò che è raccontato nel manifesto è completamente indipendente da quello che viene narrato nel film e non mancano locandine che ritraggono in maniera poco verosimile il volto delle star protagoniste. La loro eccezionalità sta in una forma assoluta di originalità.
Francesco Rosi ha detto che il 30% del successo di un film era dovuto alla bellezza del suo manifesto. Se il pubblico era attratto dall’immagine promozionale di un film, entrava in un cinema, pur senza sapere niente della pellicola che veniva proiettata. Pensiamo all’incredibile manifesto orizzontale di Silvano Campeggi realizzato per il kolossal BEN-HUR (1959) di William Wyler. Ritrae solo una quadriglia di cavalli bianchi in corsa. In sostanza, evoca la famosa scena delle bighe, un momento molto importante del film che, però, può conoscere solo chi lo ha già visto. Fin dal bozzetto, che Campeggi faticò molto a far accettare alla MGM, non c’è nessun volto famoso, non c’è nessuna figura femminile (era sempre richiesta la presenza di una donna). Eppure, quella locandina ha avuto un successo strepitoso in tutto il mondo.

Enrico De Seta: bozzetto per “I vitelloni” © Lazy Dog

Perché non esistono più i “pittori di cinema”?

NP: Qual è la causa principale dell’estinzione di questa forma d’arte e di un mestiere per lungo tempo legato indissolubilmente al ciclo produttivo e distributivo di un film?
MB: I costi. Oggi, commissionare un manifesto tradizionale, realizzato interamente a mano, costerebbe un patrimonio. I computer e le pratiche digitali hanno ridotto drasticamente i tempi e i costi di produzione. E, poi, è cambiata la società e, con lei, la figura e il peso dell’artista. Pensiamo al caso della locandina del film di Liliana Cavani DOVE SIETE? IO SONO QUI (1993). Il grande Sandro Symeoni aveva realizzato un manifesto molto originale. Gli venne preferito un banale manifesto realizzato al computer. Piatto, anonimo, senza alcuna personalità… La Cavani mi ha rivelato che lei non aveva mai visto il bozzetto di Symeoni e che l’avrebbe scelto sicuramente, se la produzione glielo avesse mostrato. Un tempo, si poteva parlare davvero di pittori anche nell’ambito dei manifesti cinematografici. Si trattava di artisti che avevano ricevuto una formazione tradizionale, chi in accademia, chi in bottega. Io li definisco gli ultimi pittori veri, gli eredi di una tradizione secolare, tutta italiana. Erano persone che sapevano davvero lavorare, non erano solo illustratori, ma anche narratori che avevano la capacità di evocare un contesto o un sentimento solo assemblando alcune immagini, erano grafici pubblicitari che studiavano meticolosamente la composizione di una locandina, sperimentando tecniche e strumenti, dedicandosi alla cura del lettering con competenza, creavano stili. Erano dei veri professionisti, era gente che sapeva davvero lavorare.

Ercole Brini © Lazy Dog

Il poster cinematografico come espressione del boom economico

NP: L’apice dell’arte delle locandine cinematografiche ha coinciso con la parentesi d’oro del cinema nazionale e internazionale.
MB: C’è stato un momento, nel corso del Novecento, in cui i pittori di cinema producevano tantissimo materiale. I più fortunati  lavoravano per le major americane e italiane: MGM, Titanus… Avevano commissioni tutti i mesi, potevano firmare i loro lavori e, soprattutto, venivano pagati regolarmente. Realizzavano fino a 5 provini per ogni manifesto e se contiamo che, a partire dagli anni Cinquanta, venivano distribuiti 40-50 film al mese… Più il film era importante, più formati bisognava preparare e, quindi, se ne affidava la realizzazione a più pittori. Delle locandine di alcuni film esistono diverse versioni proprio perché se ne occupava un team, non un singolo artista. All’epoca, era bello girare per strada e vedere manifesti dello stesso film caratterizzati da stili e interpretazioni molto differenti fra loro. Il museo di questi artisti era proprio la strada, un’esposizione a cielo aperto di cui tutti, grandi e piccoli, potevano godere. Eppure, per la qualità dei loro lavori non mi vergogno di dire che questi pittori avrebbero il sacrosanto diritto di avere non una, ma 100 stanze agli Uffizi!

Anselmo Ballester, “Fronte del porto” (affisso) © Lazy Dog

Il collezionismo cinematografico: l’esperienza di Baroni

NP: Sei un grande collezionista di memorabilia cinematografici. Qualche anno fa, hai perfino donato una grande quantità di materiale alla Cineteca di Bologna. Quando è nata la tua passione per i manifesti?
MB: Intorno ai 13, 14 anni, nei primi anni Sessanta. Andavo spesso al cinema, nel paese dove sono cresciuto e vivo ancora, Castelfranco Emilia. Quando ero un ragazzino, c’erano ben 5 cinema. Ora, solo un multisala: la crisi… Di nascosto, iniziai a staccare dai muri le locandine dei film. Mi ispirò Antoine Doinel, il giovane protagonista de I 400 COLPI (1959) di Truffaut. Quel bambinetto era esattamente come me. Così, mi sono detto: ‘Quasi quasi, ci provo anch’io’. Uscivo di casa di nascosto, mentre ancora tutti dormivano, mi calavo dalla finestra e correvo a staccare i manifesti. Poi, ancora vestito, mi infilavo di nuovo a letto, poco prima che suonasse la sveglia. Avevo inventato delle tecniche speciali per staccare le locandine e non rovinarle. Poi, un terribile venerdì di marzo, nel 1965, mio padre trovò la montagna di manifesti che avevo raccolto e li bruciò in un orrendo falò. Esagerò nel punirmi, ma sul momento non si rese conto del male che mi stava facendo, tanto che, quando a scuola venni promosso, mi regalò 5000 lire da spendere proprio in locandine del cinema. È un ricordo che mi addolora ancora adesso, non mi piace rievocarlo. Ero così affezionato a quei manifesti! Nonostante li abbia cercati accuratamente per anni, alcuni di loro, realizzati per film di Fellini e Visconti, non sono più riuscito a ritrovarli.

Otello Mauro Innocenti: il bozzetto per il manifesto di “Rocco e i suoi fratelli” © Lazy Dog

Un inno al cinema, attraverso le locandine

NP: So che è difficile rispondere a una domanda del genere, ma quali sono i tuoi autori di manifesti cinematografici preferiti?
MB: A livello pittorico, dico Manfredo Acerbo, per la sua modernità e la sua incredibile genialità. L’ho scoperto grazie ai film dei Beatles, di cui, da ragazzino, ero un grande fan. E, poi, Angelo Cesselon e Symeoni. Tra i miei manifesti preferiti, ci sono quello, censurato, di ROCCO E I SUOI FRATELLI (1960) di Otello Mauro Innocenti e quello de IL PIACERE E L’AMORE (La ronde, 1964) di Cesselon. In generale, sono affezionato alle locandine di film che ho amato da ragazzo, anche horror. Alla fine, scegliere in mezzo a tanta varietà e bellezza è praticamente impossibile. Chi, come me, ha un amore profondo per quest’arte estinta proverà un’emozione enorme, sfogliando il volume Pittori di cinema. La pubblicazione contiene circa 500 immagini, cioè 500 emozioni, una per ogni illustrazione. È un libro che appaga gli occhi e il cuore, è vivo. Possiedo centinaia di libri sui manifesti, ma, con orgoglio, posso dire che, non ce n’è uno paragonabile a questo, non solo per la quantità di materiale che contiene. È un prodotto editoriale estremamente curato dal punto di vista grafico e dei materiali [ndA: il progetto editoriale è stato studiato dallo studio Bunker]. Inoltre, contiene le testimonianze che ho raccolto direttamente, incontrando di persona gli artisti o i loro famigliari. I ragazzi di Lazy Dog sono stati eccellenti, abbiamo lavorato molto bene insieme. E sono stato molto contento che personalità importanti del cinema italiano, come Carlo Verdone e Giuseppe Tornatore, che con NUOVO CINEMA PARADISO (1988) ha cantato un bellissimo inno alla magia del cinema, abbiano dato il loro supporto al progetto.

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