“Carosello Carosone”: intervista a Francesca Serafini, sceneggiatrice

La scrittrice e sceneggiatrice Francesca Serafini racconta a NientePopcorn.it il film Rai 'Carosello Carosone', scritto in coppia con Giordano Meacci.

Film in tv , di
“Carosello Carosone”: intervista a Francesca Serafini, sceneggiatrice

Arriva “Carosello Carosone”, il film Rai su Renato Carosone

Il 18 marzo, su Rai1 e RaiPlay, in prima serata, andrà in onda in prima visione CAROSELLO CAROSONE, un film tv biografico diretto da Lucio Pellegrini e incentrato sulla vicenda umana e artistica di Renato Carosone (1920-2001).
Nella sua discografia, Carosone, di formazione musicale classica, ha saputo sonorità africane e italiane a jazz, blues, swing, George Gershwin e Cole Porter e la tradizione delle grandi band americane.
A partire dal Secondo Dopoguerra, grazie a canzoni come Tu vuò fà l’americano, Pigliate ‘na pastiglia e Caravan Petrol, Carosone viene considerato il musicista italiano più famoso nel mondo. Nel 1958, al termine di una tournée mondiale di grande successo, Carosone e il suo affiatato sestetto arrivarono a esibirsi anche al mitico Carnagie Hall di New York. Eppure, di lì a poco, nel settembre 1959, Carosone avrebbe annunciato il ritiro dalle scene per dedicarsi all’amata famiglia.
Il film Rai parte proprio dall’esperienza americana di Carosone, per raccontare a ritroso la biografia e il percorso artistico del famoso musicista di Napoli.

  • Carosello Carosone
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    Il cast di “Carosello Carosone”

    Il film, prodotto da Groenlandia di Matteo Rovere e Sydney Sibilia in collaborazione con Rai Fiction, è stato girato nell’arco di circa 5 mesi, a partire da ottobre 2020, e arriva in tv a 101 anni dalla nascita di Carosone e a 20 dalla sua morte.
    I principali protagonisti di CAROSELLO CAROSONE sono gli attori Eduardo Scarpetta (Carosone), Vincenzo Nemolato (Gegé Di Giacomo, batterista e amico del musicista napoletano) e Ludovica Martino (Lita Levidi, moglie di Carosone e madre del figlio Pino).
    Oltre ai brani che hanno reso noto Carosone a livello internazionale, nel film è stata inserita una colonna sonora originale composta da Stefano Bollani.
    La coppia di scrittori e sceneggiatori cinetelevisivi Giordano Meacci e Francesca Serafini ha lavorato per circa un anno e mezzo a soggetto e sceneggiatura, partendo dal libro Carosonissimo di Federico Vacalebre (Arcana Editore, 2011).
    Dopo il film NON ESSERE CATTIVO (2016) di Claudio Caligari e la fiction Rai PRINCIPE LIBERO (2018), Meacci e la Serafini si sono dedicati al racconto di una storia poco conosciuta dal grande pubblico e, soprattutto, dalle nuove generazioni. La biografia di Renato Carosone raccontata in CAROSELLO CAROSONE fa emergere il ritratto di un professionista, un lavoratore indefesso, volto alla continua sperimentazione artistica, ma anche di un uomo malinconico, decisamente lontano dalla musica allegra che ha connotato la sua carriera, riservato, ma generoso nei confronti degli amici e dei collaboratori.

L’intervista a Francesca Serafini, sceneggiatrice di “Carosello Carosone”

A qualche anno di distanza dalla nostra ultima chiacchierata telefonica, abbiamo approfittato dell’imminente messa in onda di CAROSELLO CAROSONE su Rai1, per ritrovare con piacere Francesca Serafini e farci raccontare qualcosa di più della sua nuova esperienza come sceneggiatrice per la televisione.
Per la Serafini, questo è un periodo segnato da molti impegni professionali. A fine gennaio, infatti, è uscito anche il suo primo romanzo, Tre madri (La Nave di Teseo, 2021), un libro pregno di suggestioni letterarie, musicali e cinematografiche che è ben più di un semplice giallo ambientato nella provincia italiana.

Vite geniali: Carosone, “uomo nobile e dolente”

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Renato Carosone (Scarpetta) e i suoi musicisti, nel film Rai ‘Carosello Carosone’.

NientePopcorn.it: Francesca, dopo PRINCIPE LIBERO, un’altra produzione tv Rai e un’altra biografia. Ci hai preso gusto?
Francesca Serafini: Tra PRINCIPE LIBERO e CAROSELLO CAROSONE ci sono molte meno analogie di quante se ne possono immaginare. Certo si tratta in entrambi i casi di esplorare le vite di due artisti della musica geniali, ma la loro origine (De André figlio dell’alta borghesia genovese, Carosone figlio del popolo napoletano) e le loro storie hanno suggerito temi completamenti diversi e di conseguenza un lavoro sulla forma nel raccontarli che con Giordano Meacci non ci ha mai dato la sensazione di una ripetizione.

NP: Di De André, eri già una super esperta. Di Carosone, invece?
FS: De André è stato parte fondamentale della mia formazione e, oltretutto, ho avuto la fortuna di incontrarlo anche di persona. Carosone, invece, lo conoscevo solo per la sua musica meravigliosa: la persona è arrivata dopo, e anche il rimpianto di non averla potuta incontrare, con la sua sensibilità e la sua gentilezza che di sicuro mi avrebbero affascinato. Un uomo nobile e dolente, anche se tutti lo ricordiamo per l’allegria delle sue musiche: quella che si è preso col suo talento e che ci ha regalato per sempre.

NP: Al di là del successo discografico riscosso dall’artista, dell’anniversario della nascita e del ventennale della morte, che ricorrerà a maggio, perché la storia di Carosone merita tanta attenzione?  Ha in sé qualcosa di paradigmatico?
FS: Quella di Renato Carosone è la storia di una persona messa alla prova dalla vita in tanti modi diversi (la morte prematura della madre, la guerra, la necessità di emigrare per sostenere la propria famiglia) e però anche quella di una passione travolgente che ha coltivato con rigore e un talento sterminato che gli hanno permesso nel tempo di superarle tutte, quelle prove. È anche il racconto di chi a un certo punto si stanca di dover sempre superare prove, poi: e vuole un po’ di pace per sé e per la sua famiglia, senza rinunciare a quella stessa passione con cui ha continuato a regalarci bellezza, sempre ossessionato dalla ricerca del nuovo.

Il film Rai “Carosello Carosone”: una sceneggiatura scritta per “emozionare gli spettatori”

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Gegé (Vincenzo Nemolato) e Renato Carosone (Scarpetta), nel film Rai ‘Carosello Carosone’.

NP: Qual è l’approccio che tu e Meacci avete usato per questo film? Ai tempi di PRINCIPE LIBERO, ci avevi spiegato che quella produzione Rai è una fiction biografica, ma non documentaria. E in questo caso?
FS: La ricerca è stata la stessa. Biografie cronologiche di Renato Carosone esistevano già (come quelle di Federico Vacalebre a cui aveva lavorato con lo stesso Renato e da cui abbiamo selezionato alcune informazioni). A noi interessava costruire una struttura e dei dialoghi che danzassero sui dati storici per formare un racconto che, indipendentemente dal personaggio reale di cui naturalmente abbiamo cercato di cogliere lo spirito (anche grazie al confronto col figlio Pino), potesse emozionare gli spettatori, anche quelli che di Carosone non sapevano niente.

NP: Come si lavora a 4 (o più mani) a una sceneggiatura? Non ne abbiamo mai parlato. La tua collaborazione e amicizia con Meacci sono di lunga data e immagino che, ormai, non vi ci voglia molto per intendervi e trovare e accogliere le soluzioni narrative più convincenti. È proprio così?
FS: In effetti, scriviamo insieme da trent’anni. Una volta, Sandro Veronesi ci ha definiti gemelli eterozigoti, per quell’intesa che abbiamo sviluppato tra noi anche solo con uno sguardo e che ci permette ogni volta di cambiare metodo e ruoli in modo da non annoiarci mai. Infatti, anche in questo caso, ci siamo divertiti molto. Una complicità che certo ci ha aiutati mentre raccontavamo quella tra Renato e Gegè.

NP: Le musiche di Carosone hanno dettato il ritmo del racconto? Cioè, c’è qualcosa di musicale o di particolarmente connotato, riconducibile al soggetto, che è ravvisabile nella sceneggiatura?
FS: Per quanto riguarda la sceneggiatura, più che la musica in sé è la ricerca costante del “nuovo” da parte di Carosone (proprio nella musica, ovviamente, e che spesso nasce dalla contaminazione) ad aver condizionato la storia. Un tema che con Giordano sentiamo decisivo nell’arte e che abbiamo cercato di sviluppare nel rispetto del rigore di Carosone. Poi, la regia di Lucio Pellegrini, la fotografia di Marco Bassano e il lavoro sulle musiche di Stefano Bollani hanno dato suoni e colori alle note di Renato trasformandole nella giusta forma audio-visiva (è proprio il caso di dire) per raccontarle.

Scelte linguistiche e musicali, in “Carosello Carosone”

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Eduardo Scarpetta (Carosone) e Ludovica Martino (Lita Levidi), nel film Rai ‘Carosello Carosone’.

NP: Avete dovuto lavorare in maniera particolare sulla lingua, sul mix di italiano e napoletano parlato e cantato da Carosone?
FS: Abbiamo lavorato per trovare un equilibrio “musicale” tra il napoletano vero e quello d’invenzione, senza mai dare la sensazione di una lingua finta. Fortunatamente l’italiano dispone di tante varietà che permettono di giocare con le intenzioni, lasciandosi contaminare dai suoni e dai colori della lingua madre di ogni personaggio. E, quando quella lingua è sincera, arriva a tutti, a qualunque latitudine.

NP: Avete avuto voce in capitolo, per quanto riguarda la scelta del cast e/o della selezione musicale?
FS: Per quanto riguarda il cast, ci siamo limitati a segnalare Vincenzo Nemolato perché, appena finita la sceneggiatura, lo avevamo incontrato a Venezia, quando eravamo andati a presentare il documentario su Claudio Caligari di Simone Isola e Fausto Trombetta, SE C’È UN ALDILÀ SONO FOTTUTO. VITA E CINEMA DI CLAUDIO CALIGARI (2019) e lui da subito ci è apparso come il “nostro” Gegè. Che ora, grazie al film, sarà il Gegè di tutti, insieme al Renato interpretato da Eduardo Scarpetta, che, tra l’altro, di Nemolato è amico anche nella vita e questo dà forza e credibilità nel film all’intesa tra i due personaggi. Per quanto riguarda i brani di Carosone, quelli che si trovano nel film erano tutti già previsti dalla sceneggiatura (fondamentali del resto per raccontare il suo genio), tranne E la barca tornò sola, su cui hanno lavorato sul set Lucio Pellegrini e Stefano Bollani in una scena che, da scrittura, non prevedeva il brano.

Il primo romanzo di Francesca Serafini, “Tre madri”: la cura della sintassi e l’amore per le parole

NP: A proposito di Tre madri, invece, le mie domande sono più che altro richieste di conferme e ti ringrazio di avermi concesso l’opportunità di porgertele direttamente. Innanzitutto, l’uso della punteggiatura. Probabilmente, sono influenzata dal tuo saggio Questo è il punto. Istruzioni per l’uso della punteggiatura (Laterza, 2012). Fatto sta che mi sembra di aver notato un uso accorto e piacevolmente insistito della punteggiatura meno sfruttata e più “bistrattata”. Punto e virgola, due punti, lineette… Inizialmente, ne sono stata un po’ stordita, ma mi sono resa conto che si coniuga bene con il flusso di coscienza della protagonista di Tre madri, Lisa Mancini.
FS: In effetti, la ricerca è stata proprio quella. Adeguare alle varie parti del libro la sintassi che mi sembrava più “giusta” per restituire al lettore il tipo di ritmo e di respiro narrativo che intendevo comunicargli. Non è un esercizio di stile. È un lavoro preciso sulla sintassi, che per me è il terreno più affascinante da esplorare quando si scrive in prosa. Lisa è un personaggio dal pensiero complesso e serviva una stratificazione del discorso per raccontarla che ho potuto affrontare anche grazie all’intera gamma dei segni interpuntivi: compresi quelli generalmente più bistrattati, per riprendere la domanda.

NP: Nelle storie del paese inventato di Montezenta, quanto c’è dell’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters (e, indirettamente, del disco di De André Non al denaro non all’amore né al cielo, che vi si ispira)? Cioè, hai concepito le storie dei suoi abitanti come un’antologia? E, se così fosse, posso pensare che quella legata alla scomparsa di River è solo una delle tante storie (non LA storia) di questa raccolta?
FS: De André mi ha ispirato proprio per quel modo sempre senza giudizio di guardare agli esseri umani, ognuno con la sua storia. Ora che mi ci fai pensare, è vero: la galleria di quelli che animano la comunità di Tre madri un po’ ricorda quel tipo di umanità che arriva ancora prima da Lee Masters. E a me interessava raccontarla tutta: da qui il nome immaginario di Montezenta (proprio a sottolineare la coralità del racconto); e anche quello di River (il ragazzo inglese sulla cui scomparsa deve indagare la protagonista Lisa), perché è proprio come un ‘fiume’ che attraversa il paese e permette di far conoscere tutte le persone (i personaggi) con cui ha avuto a che fare.

NP: A proposito di Lisa, il suo amore per le parole e il gusto per l’etimologia non mi sembrano casuali. Sono riferimenti autobiografici?
FS: Ovviamente, l’ossessione per le parole è mia, e la forma romanzo mi permetteva di darle corda a patto, naturalmente, che quell’ossessione diventasse anche di Lisa. E però lei da subito si è presentata con una tale esuberanza nella sua personalità che ha reso completamente sua anche questa caratteristica, dirottandola dove più le permettesse di esprimersi nella sua identità che è, per fortuna, tutt’altra cosa da me.

NP: Lavorando a questo romanzo, suppongo che si siano rivelate utili le tue esperienze lavorative televisive (le fiction di polizia e medicina, per esempio).
FS: Di sicuro, nella gestione delle pagine destinate alle indagini poliziesche, è stata importante l’esperienza acquisita ai tempi in cui lavoravo a LA SQUADRA (che è anche dove ho preso confidenza col napoletano che poi mi è servito nel lavoro su Carosone). Scrivendo tante puntate della serie e avendo a che fare con diversi consulenti, conoscevo prassi e modalità investigative che certo mi sono state utili anche qui.

NP: Mi pare che non ti sia ancora capitato di lavorare all’adattamento per cinema e tv di un testo letterario. Ti piacerebbe adattare un romanzo, un fumetto, una canzone o un album musicale per il cinema e/o la televisione? Se sì, quale/i?
FS: Non solo mi piacerebbe, ma in effetti è già capitato, perché, sempre con Giordano Meacci, abbiamo scritto per Paco Cinematrografica un film tratto dal romanzo Dentro di Sandro Bonvissuto (Einaudi, 2012) che segnerà il passaggio al cinema di finzione di Fabio Caramaschi: un regista che viene dalla fotografia e dal documentario e che ha uno sguardo speciale per cui è stato bello scrivere.

[Nota: intervista realizzata via e-mail, tra l’11 e il 12 marzo 2021].

[Photo Credit di tutte le immagini: Ufficio Stampa Rai].

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