I Magnifici 7: i migliori film di Vittorio Gassman

Diretto da grandi registi, Vittorio Gassman è stato il grande mattatore del cinema italiano. Ecco 7 tra i migliori film della sua lunga carriera.

I Magnifici 7: i migliori film di Vittorio Gassman

15 anni senza Vittorio Gassman

Il 29 giugno 2000, un cuore ballerino sottraeva alle scene uno dei più grandi attori del Novecento. In una mattina d’estate, Vittorio Gassman moriva a Roma, colpito nel sonno da un attacco cardiaco.
“Il mattatore” aveva 78 anni. La filmografia di Gassman annovera oltre 110 film e, grazie alle sue innumerevoli esibizioni teatrali, è diventato un punto di riferimento e termine di paragone nel mondo dello spettacolo internazionale.

Gassman e il teatro

Nato a Struppa, alla periferia di Genova da padre tedesco e madre pisana, Vittorio Gassman si trasferì molto giovane a Roma, dove frequentò l’Accademia di Arte Drammatica. La capitale gli ha intitolato due toponimi: un Lungotevere nel quartiere Portuense e un Largo all’interno di Villa Borghese, dove Gassman, nel 1960, realizzò i primi esperimenti di Teatro Popolare Italiano, le repliche di quell’Adelchi manzoniano che avrebbero avvicinato il pubblico alla forma espressiva del teatro come mai era accaduto in Italia prima di allora.
Dotato di un fisico atletico, imponente (giocava a tennis, a pallacanestro), contraddistinto da un volto caratteristico, beffardo, con occhi scuri dal taglio orientale, Gassman ha esordito nel cinema nei primi anni Quaranta con film melodrammatici, spesso di ambientazione storica o esotica, in cui interpretava ruoli ambigui e negativi, in accordo con il suo aspetto un po’ smargiasso.
Il cinema era poco più di un passatempo, allora.
Nel frattempo, Gassman lavorava a teatro sulla propria disciplina, sulla tecnica attoriale, su gesti e timbro vocale, tentando di gestire la propria dualità caratteriale. Gassman era un timido la cui presenza fisica e un istrionismo innato hanno condannato alla prima fila.

Gassman, il mattatore del cinema italiano

Fu Mario Monicelli, a cui seguirono Dino Risi ed Ettore Scola, a cambiare radicalmente la carriera di Vittorio Gassman. Monicelli lo scritturò per I SOLITI IGNOTI (1958), affidandogli il ruolo di Peppe, il pugile ladro con la balbuzie. La critica, il pubblico e, forse, lo stesso Gassman scoprirono la vena inaspettatamente ironica di un attore che del rigore e della serietà sembrava aver fatto il proprio leitmotiv.
Da quel momento, Gassman divenne il volto della grande commedia all’italiana, insieme a Nino Manfredi, Alberto Sordi, Ugo Tognazzi, Marcello Mastroianni, con cui condivise i set e la vita privata, sentimentalmente movimentatissima. Nel corso di quattro matrimoni, Vittorio Gassman ha avuto altrettanti figli, Paola (con Nora Ricci), Vittoria, la figlia americana (con Shelley Winters), Alessandro (con Juliette Mayniel), che ha condiviso con lui alcune esperienze di lavoro, e Jacopo (con Diletta D’Andrea, sua compagna fino al decesso).
Blandito da Hollywood fino alla fine della sua carriera (SLEEPERS, 1996, di Barry Levinson è tra le sue ultime interpretazioni e non dimentichiamo il doppiaggio italiano di Mufasa ne IL RE LEONE della Disney, 1994), Gassman fu anche regista. Diresse quattro lungometraggi, tra cui, insieme a Francesco Rosi, KEAN – GENIO E SREGOLATEZZA (1956).

I Magnifici 7: i migliori film di Vittorio Gassman

NientePopcorn.it ricorda l’estro e la bravura dell’indimenticabile attore dedicandogli un appuntamento con la rubrica periodica I Magnifici 7. Ripercorriamo alcuni dei momenti fondamentali della carriera cinematografica con i 7 migliori film di Vittorio Gassman, scelti e ordinati in base ai voti assegnati dagli utenti di NientePopcorn.it. Cliccate sulle locandine, per aprire le schede-film e scoprire trame, cast, voti e commenti e, se disponibili, i siti di streaming legale dove recuperare i vari titoli.

  • Riso amaro
    7.5/10 90 voti
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    7. “Riso amaro” (1949)

    Praticamente, il film-manifesto sul faticoso lavoro nelle risaie vercellesi. Oltre ad aver portato sullo schermo l’indiscutibile bellezza di una giovanissima e conturbante Silvana Mangano, a suo modo, RISO AMARO (1949) di Giuseppe De Santis è una sorta di docufiction mélo sulle condizioni delle mondine. Qui, il neorealismo italiano, ormai agli sgoccioli, si espresse attraverso una drammatizzazione e uno sviluppo narrativo sentimentale quasi barocco. Gassman, al tempo ventisettenne, interpreta uno dei cliché dei suoi esordi, il manigoldo. Seduttore, parassita, ladro e stupratore. Il Walter di Gassman è un diavolo in terra. Il bel volto di Gassman crea un drammatico e riuscito contrasto con il ruolo rivestito.
    Scena cult: il boogie woogie ballato con Silvana (Silvana Mangano).

  • Profumo di donna
    7.4/10 91 voti
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    6. “Profumo di donna” (1974)

    In concorso a Cannes, PROFUMO DI DONNA (1974) di Dino Risi valse a Gassman la Palma d’Oro per la migliore interpretazione maschile. Per questo ruolo, l’attore si aggiudicò anche un Nastro d’Argento e un premio César. Tragico e dolente, il suo Capitano Fausto Consolo spande accidia da tutti i pori, ma commuove per l’arrendevolezza con cui, infine, sembra abbracciare la propria rassegnazione. Curiosamente, come già era accaduto ne IL SORPASSO, sempre di Risi, Gassman è un pigmalione on the road che istruisce un giovane compagno di viaggio alla vita. Là, una macchina lanciata sull’Autostrada del Sole insieme a Jean-Louis Trintignant. Qua, un treno che viaggia da Torino a Napoli con lo sfortunato Alessandro Momo che, dopo il successo di MALIZIA (1973), avrebbe trovato la morte in un incidente d’auto poche settimane dopo la fine delle riprese del film.
    Scena cult: il riavvicinamento con Sara (Agostina Belli).

  • L'armata Brancaleone
    8.0/10 246 voti
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    5. “L’armata Brancaleone” (1966)

    Mario Monicelli racconta l’Italietta dei trafficoni prevedendo le disillusioni dell’epoca post-boom attraverso una parabola caciarona di stupefacente effetto visivo ambientata in un Medioevo inventato, in cui perfino la lingua volgare utilizzata nel copione, scritto da Monicelli con i fidati Age & Sarpelli, è frutto di una fervida ed irriverente fantasia. L’impatto de L’ARMATA BRANCALEONE (1966) è stato tale che, negli anni, lo stesso titolo della pellicola è diventato sinonimo di impresa abborracciata, improbabile, mal organizzata, in linea con l’atteggiamento pressapochista di taluni italiani. Gassman è Brancaleone da Norcia, figlio di conti caduti in disgrazia, abbandonato dalla madre in un bosco in seguito a un secondo matrimonio e allevato da un’orsa, fino ai dodici anni. Brancaleone, mosso da eroici principi, viaggia attraverso l’Italia (nel successivo BRANCALEONE ALLE CROCIATE, 1970, giungerà fino in Terrasanta) alla ricerca di donzelle da proteggere e torti da riparare, nel tentativo di restituire dignità al gonfalone di famiglia. A cavallo dello sconquassato ronzino Aquilante e al comando di un piccolo esercito male assortito, Gassman è un Brancaleone indimenticabile. Zazzera a cipolla, occhi spiritati, favella eziandio forbita, perde per via del suo sgangherato ideale cavalleresco l’amore della bella Matelda (Catherine Spaak).
    Scena cult: il duello con Teofilatto de’ Leonzi (Gian Maria Volontè).

  • I soliti ignoti
    8.3/10 360 voti
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    4. “I soliti ignoti” (1958)

    I SOLITI IGNOTI (1958) è la chiave di volta della commedia all’italiana, il film che ha segnato ufficialmente l’inizio di una stagione della cinematografia italiana inedita e irripetibile. Ispirandosi a un racconto di Italo Calvino, la premiata ditta Monicelli-Age-Scarpelli e Suso Cecchi D’Amico ha scritto una sceneggiatura tragicomica calibratissima supportata da un cast particolarmente ispirato (Marcello Mastroianni, Totò, Carla Gravina, Renato Salvatori, Claudia Cardinale e i “generici” Tiberio Murgia, Memmo Carotenuto, Carlo Pisacane) trascinato da un Vittorio Gassman alla sua prima esperienza come attore brillante. Il suo pugile balbuziente, Peppe Er Pantera, è esattamente il contrario di tutti i personaggi interpretati fino a quel momento. Con l’ausilio del trucco, Gassman trasformò parzialmente il proprio viso attraente in quello di un uomo semplice e innocuo, segnato dalla vita e propenso come pochi all’arte dell’arrangiarsi, ironizzando sulla sua perfetta dizione teatrale adottando, oltre a un’altalenante balbuzie, un registro dialettale variegato, dal romano al lombardo. Curiosità: nel cinema in cui Mario (Renato Salvatori) lavora vendendo bibite e noccioline, è in programmazione KEAN, primo film di Gassman nelle vesti di regista: omaggio? Casualità?
    Scena cult: il ladro navigato Dante Cruciani (Totò) istruisce la banda, tra casseforti da esercitazione e lenzuola.

  • C'eravamo tanto amati
    8.4/10 201 voti
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    3. “C’eravamo tanto amati” (1974)

    Giunti con questo film alla quarta collaborazione insieme, Ettore Scola (con Age & Scarpelli alla sceneggiatura) e Vittorio Gassman, insieme a un grande Nino Manfredi, Stefano Satta Flores e Stefania Sandrelli (senza dimenticare una brava Giovanna Ralli), contribuiscono a tratteggiare con disincanto la disillusione di quegli italiani che, dopo la Seconda Guerra Mondiale, assaporata l’inaspettata dolcezza e il rampantismo legati al benessere economico appena conquistato, iniziava a fare i conti con i sogni infranti di una gioventù sempre più lontana e di un idealismo tradito dai fatti, trovandosi impreparata a quel baratro sociale e politico degli imminenti anni di piombo. Con la sua precisa e cadenzata caratterizzazione dei personaggi, C’ERAVAMO TANTO AMATI (1974) tratteggia volti e psicologie-tipo, dall’arrivista al sognatore, raccontando con un cinismo agrodolce l’inevitabile deriva degli eventi, l’illusione secondo cui l’amore, la morale sociale e l’amicizia possono sopportare tutti gli urti della realtà. Il personaggio di Gassman è, forse, il più realista del gruppo di protagonisti. Vive il presente, con pragmatismo, arrivando anche a sacrificare la palese e contraddittoria ammirazione degli amici, in cambio di una vita di agi e piaceri.
    Scena cult: dopo alcuni anni, Antonio (Nino Manfredi) ritrova Gianni (Vittorio Gassman) in Piazza del Popolo, scambiandolo per un parcheggiatore abusivo male in arnese.

  • La grande guerra
    8.5/10 223 voti
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    2. “La grande guerra” (1959)

    Con LA GRANDE GUERRA (1959), film vincitore del Leone d’Oro a Venezia (insieme a IL GENERALE DELLA ROVERE di Rossellini) e candidato agli Oscar come Miglior Film Straniero, Monicelli viaggia a ritroso nella storia d’Italia e torna agli anni della Prima Guerra Mondiale, depurando (per la prima volta in ambito cinematografico) la terribile guerra di trincea dalla polvere inutilmente trionfante del regime fascista, trovando in quel contesto storico alcuni dei tratti tipici dell’italiano medio contemporaneo. Tra questi, primeggia, tratteggiata con mano benevola ed una certa empatia, la capacità di sovvertire l’apparenza con un atto di inaspettato o di involontario coraggio. I personaggi di Gassman (il milanese Busacca) e Alberto Sordi (il romano Jacovacci), privi di ideali sociali e politici nonché di valore militare, sono due uomini comuni coinvolti in accadimenti fuori dalla loro portata a cui sono stati costretti a partecipare. Il finale, estremamente drammatico, riassume in sé i caratteri del miglior cinema italiano, in cui, alla risata, si sovrappone l’irrefrenabile lacrima amara.
    Scena cult: apostrofato in maniera irridente da un ufficiale tedesco, Busacca (Gassman) decide di non fare la spia.

  • Il sorpasso
    8.3/10 335 voti
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    1. “Il sorpasso” (1962)

    IL SORPASSO (1962) di Dino Risi (co-sceneggiato con Scola e Ruggero Maccari) è il miglior affresco possibile dell’Italia all’apice della conquistata sicurezza economica, sbruffona, ignorante, ma gioiosa, chiassosa, incapace di vedere al di là del qui e ora, ottenebrata da una disponibilità pressoché universale di mezzi e agiatezze prima ignorate se non sconosciute. Gassman è Bruno Cortona. Alla guida di una fiammante Lancia Aurelia dall’inconfondibile clacson, Bruno fende con violenza una campagna romana bruciata dal sole di Ferragosto e popolata da personaggi anacronistici, lontani anni luce dal suo dinamismo, seminando luoghi comuni arroganti eppure dissacratori e divertenti. Bruno si fa forte del timore e dell’ammirazione di un adepto, Roberto (Jean-Louis Trintignant), affascinato e spaventato da un mentore tanto coinvolgente quanto discutibile. Il finale tragico è quasi presago degli eventi che caratterizzeranno gli anni a venire: una generazione bruciata in una corsa fatta di azzardi immotivati.
    Scena cult: la prima corsa sull’Aurelia, con i sorpassi suicidi e la carrellata di topoi automobilistici (“Vai, cavallina, vai!”).

[Nella foto, Vittorio Gassman nei panni di Brancaleone da Norcia]

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