Sabor do Brazil. Calcio internazionale e cinema brasiliano

A Seleção Brasileira do Cinema

Si avvicina il Campionato mondiale di calcio, la FIFA World Cup 2014 (12 giugno – 13 luglio), che qualche nostalgico chiama ancora romanticamente Coppa Rimet e che quest’anno si svolgerà, con non poche polemiche, in Brasile.
Tifosi o meno, nei giorni in cui si svolgeranno gli incontri, tutti saremo sommersi da notizie, dibattiti e statistiche riguardanti formazioni, marcatori, tattiche e gossip da spogliatoio.
Per venire incontro sia alle esigenze dei cinefili che amano il calcio, ma anche di quelli che soffrono di itterizia istantanea quando sentono parlare di fuorigioco e pressing, abbiamo deciso di avvicinarci in maniera un po’ alternativa all’evento, proponendovi una serie di film realizzati da autori brasiliani: perché non scoprire ed apprezzare il contesto in cui si svolgerà l’evento anche da un punto di vista cinematografico?
Ecco che, allora, accanto ad un brevissimo elenco di film sul calcio, abbiamo accostato un abbozzo di filmografia interamente brasiliana che ci auguriamo possa stimolare ricerche ed approfondimenti personali.

Gli albori del cinema brasiliano e la “chanchada”

La diffusione del mezzo cinematografico in Brasile, comparso nel Paese nel 1896, viene attribuita ad un italiano [1]: l’anno successivo, infatti, tale Vittorio di Maio, proiezionista ambulante, gira i primi cortometraggi muti con soggetti ispirati alla quotidianità, in puro stile Lumiére.
Con la diffusione dell’elettricità, lo sviluppo delle sale cinematografiche e con la nascita di numerose case di produzione locali, già a partire dal primo decennio del Novecento vedono la luce diverse opere di fiction, come Os estranguladores (1908) di Antonio Leal, ispirato ad un sanguinoso fatto di cronaca accaduto a Rio De Janeiro.
È curioso constatare che, negli anni in cui le produzioni provenienti dall’industria del cinema statunitense assorbono l’interesse delle platee compromettendo il successo delle pellicole nazionali, una cospicua parte delle produzioni autoctone consistono in documentari oppure in corto e mediometraggi che parlano delle maggiori personalità brasiliane: il mezzo cinematografico viene interpretato, quindi, come strumento di propaganda élitaria, di autopromozione, di costituzione di un’identità esclusiva ma limitante.
A partire dagli anni Trenta, vengono realizzati alcuni classici del cinema brasiliano, sia muto (Ganga bruta, 1933, di Humberto Mauro) che supportato dal sonoro (Limite, 1930, di Mário Peixoto): tali pellicole danno il via ad una fiorente produzione di titoli ed alla nascita di numerosi studi cinematografici.
Tanta ricchezza di mezzi consente di sperimentare diversi generi, tra cui la chanchada, la commedia musicale popolare tra le cui interpreti più note ricordiamo Carmen Miranda.
Tra le tante società di produzione, la fondazione dell’Atlântida Cinematográfica (1941) influenza decisamente la realtà brasiliana, con lo sviluppo parallelo della scuola documentaria e cinegiornalistica locale ed una fiorente produzione di chanchadas.

“Cinéma Nôvo”: la Nouvelle Vague carioca

Pressoché contemporaneamente alle avanguardie cinematografiche europee, anche in Brasile, intorno agli anni Cinquanta, inizia a svilupparsi una sorta di nouvelle vague locale, denominata Cinéma Nôvo ed influenzata dal neorealismo italiano e dal cinema francese, in contrasto con l’ormai logoro cinema carioca di puro intrattenimento.
Tale movimento, che vede tra i suoi fondatori e principali rappresentanti il regista Glauber Rocha (Il dio nero e il diavolo biondo, 1964; Barravento, 1962) corre in sincronia con un’altra istanza culturale brasiliana basata sulle arti visive e sulla musica, il Tropicália (o tropicalismo), che annoverava al proprio interno numerosi musicisti, come Caetano Veloso.
La casa di produzione Vera Cruz, salita in auge in questo periodo, produce O Cangaceiro (1953) di Lima Barreto, uno dei titoli più importanti del nuovo corso cinematografico brasiliano, inaugurando anche un filone nazionale socialmente impegnato, il cangaço, che, attraverso il pretesto del racconto del banditismo brasiliano di inizio secolo, porta l’attenzione delle platee sulle premesse che hanno portato alle condizioni attuali sussistenti nel Paese.

A cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento, i principali poli cinematografici del Brasile sono Rio e San Paolo: qui, nasce un’intera generazione di cineasti indipendenti [1] tra i quali figurano Walter Hugo Khouri (Estranho Encontro, 1958) e Nelson Pereira dos Santos (Rio, 40 gradi, 1955).
Il cinema brasiliano d’autore degli anni Sessanta ha un carattere prevalentemente critico e concentra la propria attenzione sulle condizioni sociali ed economiche del Paese, mostrando al grande pubblico la realtà conosciuta ma troppo taciuta delle favelas, le baraccopoli liminali che lambiscono i centri abitati.
Il colpo di stato militare del 1964 ha ripercussioni anche sulla produzione cinematografica: numerosi registi, tra cui Joaquim Pedro de Andrade (Garrincha – Alegria do povo, 1963), Mário Carneiro e lo stesso Rocha vengono imprigionati per non essersi allineati con il pensiero dittatoriale corrente.
L’occasione viene sfruttata dall’intellighenzia carioca per porsi interrogativi circa l’utilità sociale del mezzo cinematografico brasiliano e la sua evoluzione al rango di effettivo strumento di denuncia e, parimenti, di mezzo utile all’affrancamento dal colonialismo culturale cui il Paese andava soggetto.

Nuove esperienze: il genere horror e il “Cinema Marginal”

Insieme allo sviluppo di una coscienza nazionale, l’esperienza sperimentale del Cinéma Nôvo da la possibilità ai cineasti brasiliani di osare frequentare territori cinematografici più prosaici e fino ad allora inesplorati, come il genere horror, dando vita ad un’iconografia tipicamente tropicale (A mezzanotte possiederò la tua anima, 1964; Esta noite encarnarei no teu cadaver, 1967; Trilogia do terror, 1967, tutti di José Mojica Marins).
Gli anni Settanta sono ricchi di novità e contraddizioni: è alla fine del decennio precedente che vengono poste le basi del cosiddetto Cinema Marginal, il genere “sensazionale”, particolarmente disomogeneo e ricco di argomenti e sperimentalismi, promosso dal collettivo di San Paolo denominato Boca do Lixo, caratterizzato spesso da temi ed immagini forti e scioccanti, pregne di un forte erotismo (O bandido da luz vermelha, 1968, di Rogério Sganzerla).
Questa decade vede la grande risposta del pubblico più giovane agli stimoli provenienti dal mondo della cinematografia: benché osteggiati dal regime, i cineclub clandestini programmano i grandi titoli ed il cinema d’essai di provenienza internazionale.
Il Cinema Marginal acquisisce un valore culturale notevole, benché per diverso tempo esso sia stato genericamente classificato come un movimento underground fautore di b-movies: spostando il baricentro della discussione dalla società all’individuo, racconta di monadi solitarie, delinquenti e disadattati in rivolta con il mondo e con le leggi che lo governano (A Margem, 1967, di Ozualdo Ribeiro Candeias; O capitão Bandeira contra o Doutor Moura Brasil, 1971, di Antonio Calmon), lasciando leggere tra le righe quale sia la terribile realtà brasiliana.

La crisi del cinema brasiliano e la rilettura dei generi

Con la fine della dittatura (1985), il Brasile si riaffaccia alla vita democratica dovendo fare i conti con un contesto sociale ed economico disastroso.
La cinematografia carioca, però, incassa il duro risveglio producendo un numero sempre crescente di pellicole, superando i cento film all’anno, molti dei quali coniugano intrattenimento e denuncia (Pixote, la legge del più debole, 1980, di Héctor Babenco).
Senza dimenticare le lezioni del Cinéma Nôvo e del Cinema Marginal, i nuovi autori brasiliani formatisi ed attivi a San Paolo portano sul grande schermo argomenti come l’inurbamento, la condizione delle donne, dei bambini, degli indigeni: sovente, tale tentativo viene portato avanti sfruttando le cornici di genere (noir, poliziesco), al fine di risultare più familiari ad una sezione di pubblico potenzialmente maggiore (A dama do cine Shangai, 1987, di Guilherme de Almeida Prado; Cidade Oculta, 1986, di Chico Botelho).
A qualche centinaio di chilometri di distanza, a Rio, l’offerta cinematografica sembra completamente diversa, dedita ad un cinema giovanilistico di puro intrattenimento, di ispirazione quasi californiana, anticipatore della MTV generation (Sonho de Verão, 1990, di Paulo Sérgio de Almeida).

“Retomada”: il nuovo cinema brasiliano

Nonostante la varietà dell’offerta cinematografica, la grande diffusione del mezzo televisivo coincide con una crisi delle sale: quindi, la fine degli anni Ottanta rappresenta un banco di prova interessante per i cineasti brasiliani che hanno modo di riflettere sul rapporto tra i vari mezzi mediatici e sulla segmentazione del pubblico cinematografico.
Il nuovo cinema del Brasile inizia ad affermarsi nella seconda metà degli anni Novanta, con una tendenza chiamata retomada (letteralmente, ripresa), quando Central do Brasil (1997) di Walter Salles Jr. riceve la nomination come Miglior Film Straniero agli Oscar.
Da allora, il cinema brasiliano è in pieno rinnovamento e non è un caso che le tematiche più affrontate dai cineasti di nuova generazione, che sovente adoperano il mezzo documentario, genere che, come abbiamo visto, è da sempre tra i più adusi tra gli autori brasiliani, trattino di cambiamenti e di rotture con il contesto che, sovente, sfruttano il coacervo urbano in cui spiccano le favelas e le periferie metropolitane in qualità di sfondo attivo, diventando strumenti di scoperta ed inchiesta, in bilico tra dramma e poesia.
Il forte marchio autorale e la molteplicità di argomenti e di registri, sollecitati anche dalle diversità antropologiche che caratterizzano i vari contesti geografici privilegiati (San Paolo, Rio, Recife, Nordeste), rende il cinema brasiliano dell’ultima generazione assolutamente originale, propositivo e competitivo nei confronti delle più note produzioni statunitensi ed europee: secondo recenti stime [2], dal 2000 vengono commercializzati in media quaranta lungometraggi all’anno e, tra il 1995 ed il 2007, almeno centoquaranta autori hanno realizzato il loro primo lungometraggio.

[1] Enzo Sallustro in Enciclopedia del Cinema Treccani, 2003
[2] Fonte: http://www.latinoamerica-online.info/

Bibliografia:
Gian Luigi De Rosa, Alle radici del cinema brasiliano, ed. Oèdipus, 2004
Glauco Felici, Il “Cinéma Nôvo” brasiliano: crisi e trasformazione, in Cinema e cinema n.5, ed. Marsilio, 1975
Enzo Sallustro in Enciclopedia del Cinema Treccani, 2003

Lascia un commento