NIEUWE GRONDEN (1933) di Joris Ivens

Nieuwe-gronden Nieuwe Gronden (letteralmente Nuove terre, presentato al pubblico nel 1934, consiste in una rielaborazione di un precedente documentario, Zuiderzee (1933), dedicato alle opere di prosciugamento dell’omonimo fiume olandese.
Parzialmente rimontato, completato con materiale di repertorio, sonorizzato con le musiche di Hanns Eisler, Nieuwe Gronden è apertamente polemico e politico, in particolare grazie “ad un finale critico che si oppone all’esaltazione dell’impresa umana contenuta nei primi rulli” [1]. Pur portando sullo schermo la descrizione di opere di ingegneria e di agricoltura e venendo solitamente catalogato come documentario, Nieuwe Gronden non deve essere considerato “soltanto come una serie di riprese dal vero. È la realtà organizzata in forma artistica e drammatica con lo scopo di dire la verità” [2].
La prima parte della pellicola, coincidente con la chiusura della diga, è caratterizzata da una forte tensione drammatica, sottolineata da un andamento quasi musicale, in crescendo: la natura viene trasformata dall’uomo attraverso il lavoro.
L’impresa umana dà i suoi frutti: è tempo di raccolto e “il senso del film si ribalta” [1], perché vengono introdotti il tema della crisi e alcune tematiche di economia agraria riguardanti le leggi del mercato a proposito della distribuzione del grano.
La parte conclusiva del film, quella più apertamente critica, aderisce pienamente alla teoria del montaggio ritmico: “è un montaggio di quadri intermedi. Il valore emotivo aumenta con la frequenza di taglio ed è in stretta relazione col valore emotivo dell’inquadratura prodotto da un certo numero di fattori in essa operanti” [3].
“Mediante la scelta delle inquadrature e della loro lunghezza [Ivens] crea il film e ne determina i diagrammi emotivi, (…) la macchina da presa si appoggia agli elementi architettonici, alle strutture metalliche, alla prospettiva e agli scorci dei canali e delle macchine per realizzare il suo contenuto su linee semplici. (…) L’esasperazione del taglio scompone la realtà e ne trasporta il significato a un livello concettuale. Raramente le azioni materiali che concorrono alla realizzazione della diga sono mostrate interamente. La loro descrizione non segue il tempo reale, liberandosi da un’istanza semplicemente narrativa o illustrativa in senso naturalistico (…). Mediante il ritmo, le immagini ritrovano un’unità nell’elementare corso della battaglia dell’uomo contro la natura” [4].
Il definitivo montaggio dell’opera scelto da Ivens indirizza lo strumento documentaristico in una direzione essenzialmente politica che, però, non dimentica le esperienze del cinema assoluto: “l’inizio risente delle prime ricerche stilistiche, con il montaggio del materiale raccolto anni prima. La conclusione, quasi a posteriori, è conseguente al mutamento ideologico e rispecchia l’adesione ai criteri cinematografici (…) accolti dopo il viaggio in Unione Sovietica e dopo gli incontri con Pudovkin, Ejzenštein e Vertov” [1]. Come lo stesso Ivans ha dichiarato: “da questa parte c’è il contenuto politico e da quell’altra c’è la forma. Sono cose che si trovano intimamente collegate tra loro in maniera dialettica” [2].

[1] Silvano Cavatorta, Daniele Maggioni, Joris Ivens, ed. La Nuova Italia, 1979
[2] Introduzione alla sceneggiatura del film Il popolo e i suoi fucili, in Cinema e Rivoluzione, n.2, 1976
[3] Raymond Spottiswoode, citato da Guido Aristarco, Storia delle teoriche del film, ed. Einaudi, 1960
[4] Corrado Terzi, Zuiderzee, ed. Il Poligono, 1945

NOTE BIOGRAFICHE
George Henri Anton (Joris) Ivens nasce a Nimega, in Olanda, nel novembre 1898.
Appena tredicenne inizia a familiarizzare con la macchina da presa, grazie al fatto che il padre, commerciante, possiede un negozio di apparecchi cine-fotografici.
Terminati gli studi in economia, all’inizio degli anni Venti, Ivens si trasferisce in Germania, dove viene coinvolto dalla vivacità culturale e sociale tedesca: gli artisti locali, con il Bauhaus di Gropius e, all’opposto, il realismo espressionista e la Nuova Oggettività di Grosz e Dix, senza dimenticare i dadaisti berlinesi, sono tra i più prolifici.
Interessato a studi di ottica e di fotochimica, nel 1924 Ivens si trasferisce prima a Dresda e poi a Jena, dove hanno sede alcune tra le migliori fabbriche al mondo per la tecnologia e la ricerca nell’ottica applicata: qui, egli vede per la prima volta i lavori di Murnau e Pabst.
Nel 1926, Ivens torna in Olanda e si pone alla guida dell’impresa paterna: in patria, trova un ambiente culturalmente stimolante. Il movimento De Stijl di Doesburg e Mondrian, fondato nel 1916, con i suoi principi di ordine e purezza formale, entra a far parte del bagaglio formativo di Ivens. Si avvicina ai circoli artistici di Amsterdam: diventa membro della Film Liga, una organizzazione che si fa promotrice della proiezione dei nuovi film.
Le prime esperienze di Ivens in qualità di regista, tra cui emerge il significativo cortometraggio Il ponte (1928), sono pienamente aderenti ai principi del cinema assoluto, in cui l’astratta geometria delle forme disdegna l’influenza onirica presente, invece, nel cinema surrealista.
Dopo l’esperienza di un film a soggetto (Frangenti, 1929), Ivens realizza che il cinema di finzione non è tra le sue aspirazioni, così si dedica al versante pienamente sperimentale, realizzando il noto La pioggia (1929). Intorno al 1930, però, Ivens abbandona l’attività di ricerca “e inizia un vero e proprio rapporto professionale col cinema” [1]. In seguito ad un avvicinamento ai movimenti culturali sovietici e ad alcune oculate critiche del regista russo Pudovkin, Ivens matura l’idea che “il cinema politico sarà la sua professione” [1]. Questa scelta lo allontana dal cinema assoluto e lo avvicina al cinema documentario e d’arte: si tratta di una scelta produttiva che gli consente di essere fedele alla verità, mantenendo intatta la “qualità culturale” [1] della produzione. I primi lavori di taglio documentaristico sono quelli realizzati per conto dell’organizzazione sindacale olandese dei lavoratori edili. “Pur essendo legato alla realtà olandese, questo gruppo di lavori si sintonizza con la rappresentazione delle lotte sociali e politiche di quel periodo della storia d’Europa” [1].
Per Ivens, il documentario è un genere autonomo: è uno strumento di mobilitazione ed informazione.
Iniziano i suoi viaggi: prima in URSS (1930), poi in Spagna, negli Stati Uniti, dove realizza Borinage (1933) e Terra di Spagna (1936), commentato, nelle due versioni differenti, da Orson Welles ed Ernest Hemingway. In questo periodo, entra in contatto con il partito comunista statunitense ed affianca Frank Capra nella realizzazione del progetto Perché combattiamo (1942), sette film di propaganda commissionati dal governo americano.
Dopo un progetto fallito ad Hollywood, Ivens lascia gli USA e trova nuovi stimoli nell’Est europeo e nell’Oriente: Bulgaria, Cecoslovacchia, Jugoslavia, Polonia, Indonesia.
Con la sempre maggiore concorrenza del mezzo televisivo e la diffusione di notiziari e di programmi di approfondimento, il genere documentario vede ridimensionato il proprio ruolo divulgativo: Ivens, però, continua ad affermare il ruolo del cinema-verità e, dal 1960, ricomincia a viaggiare. Si reca nel Mali, a Parigi, a Cuba, nel Laos, in Italia, in Cile, dove filma la campagna elettorale di Salvador Allende. Nel 1965, gira il primo dei film dedicati alla guerra in Vietnam (Il cielo, la terra).
A partire dal 1968, “il cinema militante trova nel documentario veristico il proprio genere. (…) Subordinato alla politica (…) il cinema militante non sopporta alcuna definizione estetica (…). È strumento di azione politica più di quanto lo sia stato il cinema culturale della sinistra prima del ’68.” [1]
Dopo un primo periodo trascorso nella Repubblica Popolare Cinese per la realizzazione di The 400 Million e dopo aver rivestito il ruolo di docente di cinematografia alla scuola di Pechino, nel 1973, è nuovamente in Cina, dove realizza Come Yukong rimosse le montagne (1977) ed alcuni lavori dedicati a Nanchino, Shanghai, alla comunità mineraria di Taching e a quella di pescatori della provincia dello Shantung.
Nominato Cavaliere dal governo olandese nel 1989, muore a Parigi nel giugno dello stesso anno.

[1] Silvano Cavatorta, Daniele Maggioni, Joris Ivens, ed. La Nuova Italia, 1979

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A cura di Stefania