Recensione su Sole alto

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Sui conflitti jugoslavi / 20 Aprile 2016 in Sole alto

Passando per tre step, distanti dieci anni l’uno dall’altro, “Sole alto” costruisce tre storie di unione e divisione attraverso le terre dell’ex Jugoslavia. Nel 1991 una coppia di ragazzi decide di lasciare le proprie terre per raggiungere Zagabria, dove le loro radici serbe e croate non saranno più un problema. Il 2001 è l’anno in cui, risolto il conflitto bellico, una madre e sua figlia decidono di tornare nella loro vecchia casa segnata dalla distruzione, e Ante, giovane ragazzo croato, lavorerà per renderla nuovamente vivibile, instaurando un rapporto difficile con la figlia Natasa. Nel 2011 un ragazzo torna dalla città, dove sta affrontando gli studi universitari, in occasione di una festa che si svolgerà nei pressi del suo paese rurale. Rincontrerà i genitori ed un passato dal quale è egoisticamente scappato per dar sfogo alle sue ambizioni.
Matanic, il regista, ha una profonda consapevolezza di come il conflitto abbia cambiato le convivenze tra quelle che sono oggi due nazioni separate. Ne esplora le ripercussioni attraverso storie marginali, anche per questo ambientate in zone rurali, dove il segno non si esprime nel sociale, ma piuttosto è radicato nei pensieri degli individui. Guardando attraverso queste tre storie riusciamo a sentire lo scontro intimo, fatto di perdite affettive da entrambi i lati, ma anche di impossibilità e divieti di riunificazione, che a distanza di così tanti anni (Serbia e Croazia si dichiararono indipendenti nel 1991) ancora sono vivi nei vissuti della popolazione.
È un modo di mostrare gli effetti di questa divisione che si attacca agli individui e lavora sul piccolo, sull’ordinario. I molti ruoli che la musica ha nel film vanno dall’esaltazione, alla dichiarazione di un amore che nell’onda sonora riesce ad attraversare il confine, o ancora nell’isolamento dall’esterno, o la musica assordante che soffoca la ragione. Un uso consapevole e variegato del suono così come della stupenda fotografia, topica soprattutto nei paesaggi ripresi all’alba e al tramonto, descrivono uno spazio sterminato che ha il sapore di espiazione ma non basta alla fuga. “Sole alto”, con i suoi 123 minuti, non è pensato per essere scorrevole, ma piuttosto riflessivo, in cui silenzi e movimenti pesano quanto parole e musica.

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