Recensione su Zoran, il mio nipote scemo

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Sembra una commedia, ma non è. / 24 Novembre 2013 in Zoran, il mio nipote scemo

Il lungometraggio d’esordio di Oleotto si camuffa da commedia, per irretire gli spettatori un po’ distratti (anch’io, sulla carta, pensavo di avere a che fare con una storia “leggera”) o votati alla risata facile (in sala con me, c’erano due o tre persone che ridevano sonoramente quasi ad ogni singola uscita iniziale di Battiston), prendendo l’intera platea per mano e conducendola nell’abisso nero e terribile di un uomo che, al di là del pur divertente cinismo e della virulenza dei comportamenti, espone (e non cela!) il proprio dramma.

Alcuno, forse perché ciascuno sembra (nessun giudizio in merito: c’est la vie) troppo preso da sé stesso (e, non raramente, dall’alcool), considera le idiosincrasie di Paolo come sintomo ben espresso di un disagio profondo, ma, al contrario, ritiene che esse siano una nuova sfumatura di grigiume all’interno di questa monotona porzione di bassa friulana: infatti, c’è l’ubriacone che straparla, la madre dell’oste alcolizzata, il collega canterino e religioso che dall’alcool tenta di sfuggire… Paolo è una delle tante varianti allo stesso problema: il vuoto.

Nonostante l’aspetto da nerd ed alcuni atteggiamenti “originali”, Zoran non è -chiaramente- un minorato mentale.
La sua “sfortuna” è quella di essere solo al mondo, di essere timido e di parlare un italiano forbito. Tanto basta, parrebbe, per trattarlo come uno scemo. Terribile.
Mi è piaciuta molto la scena in cui Zoran sfrutta la presenza della ex-moglie di Paolo a proprio vantaggio, in un momento in cui, non lo nego, ho immaginato fosse prossimo a prendere diversi schiaffoni.
Ecco, durante la visione del film, cosa mi ha impressionato più di ogni altra cosa: la tensione palpabile e costante che attraversa tutta la pellicola.
Infatti, pare che, da un momento all’altro, sulla coppia Paolo-Zoran debba abbattersi un cataclisma, in forma violenta ed irreparabile. Confesso di aver temuto a più riprese per la sorte del ragazzo.

Il vuoto pneumatico delle campagne, per contrasto, esalta il senso di soffocamento che la mole fisica di Battiston richiama costantemente: Paolo vuole andare via, ricominciare altrove la propria vita, ma si ritrova (scientemente?) incollato all’amichevole ma squallida osteria che frequenta ed al tugurio in cui vive, incapace di spostare il proprio grosso corpo in un altro luogo.
L’aria umida e la nebbia delle campagne, sempre immote e quasi prive di elementi antropici, ad eccezione di case sparse e di strade brutte come ferite aperte, incrementano il senso di stagnamento del protagonista, lo cementano ad un modus vivendi privo di scopo ed assolutamente autodistruttivo.

A conti fatti, pur con qualche riserva (la storia d’amore di Zoran, per esempio), penso che si tratti di una pellicola decisamente interessante. Perciò, bravo Oleotto.

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