5 Marzo 2011
Della maledizione del numero 2 Romero se ne frega allegramente e partorisce, con la sua seconda prova alla guida delle allegre schiere dei morti viventi, non il SUO capolavoro, ma il capolavoro di tutto il genere.
Sono trascorsi dieci anni da “La notte dei morti viventi”, e si sentono tutti; l’America è cambiata, gli americani sono cambiati, non è più tempo di “peace and love”, bisogna guardare in faccia la realtà: la razza umana ha qualcosa di intrinsecamente sbagliato, neanche davanti all’imminente catastrofe riesce a trovare una fratellanza anche solo di convenienza, ma trova lo stesso il tempo di accapigliarsi durante il dibattito televisivo sul modo migliore di uccidere un “ritornante”.
Non a caso Romero non guarda in faccia a nessuno: l’esercito non ci fa una bella figura, ma l’hare krishna che aggredisce una dei protagonisti con tanto di tamburello ancora penzolante è roba da antologia!
Per non parlare della dimostrazione di stupidità nel centro commerciale: rischiare la vita per rubare qualche gioiello, della cioccolata, scorazzare su e giù per le scale mobili come dei ragazzini che hanno fatto festa a scuola: del resto anche molti zombie, senza apparente motivo, si sono rintanati lì, probabilmente perchè il virus del consumismo è duro a morire, più duro di loro.
Morale della favola: siamo animali, istigati da istinti come qualsiasi altro animale, solo che i nostri sono per lo più autodistruttivi. Romero ha scelto solo un modo tra i tanti per esprimere questo triste concetto, ma mettete agli zombie una divisa e un mitra in mano e avrete un bello scorcio di realtà; ficcategli un doppiopetto e un contratto per una multinazionale e ne avrete un altro. Parafrasando Hobbes: homo homini zombies.

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