6 Recensioni su

your name.

/ 20168.0270 voti

Voglio più film così!!! / 29 Dicembre 2020 in your name.

Toccante, struggente, divertente, riflessivo e triste… anche qui ne abbiamo di emozioni!
Non mi dilungo a spiegare la trama, che in molti hanno gia dato, ma vorrei soffermarmi sulla delicatezza e l’introspezione dei personaggi, una storia d’amore che non cade mai nel banale, che si rafforza col senso della perdita e della ricerca continua.
Niente da fare: questi sono film che dovrebbero restare impressi nel collettivo, essere visti e rivisti e ogni volta trovarci uno spunto per riflettere sulle nostre vite e su dove le stiamo portando.
Musiche stupende che ricreano l’atmosfera, quando triste o quando allegra. Molto belli i disegni.
Un film da non dimenticare!
9/10

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La Ragazza con il Fiocco Rosso / 25 Novembre 2020 in your name.

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Avevo questo film in lista tra quelli da guardare, ma la sinossi mi ricordava troppo la trama di un film del sabato pomeriggio su Italia Uno, perciò è da tempo che rimando. I miei pregiudizi si sono rivelati infondati. Il cliché viene utilizzato in una maniera davvero brillante. La decisione di far avvenire lo scambio per poco tempo, più volte a settimana, è stata migliore. Questo avviene per poter descrivere una storia d’amore che riesca ad abbracciare tutti i vari livelli del sentimento senza però cadere nel melò o nello sdolcinato. C’è la parte dell’Agape, dove i due ragazzi istaurano una simpatia, un’amicizia, dove collaborano e cercano di aiutarsi come farebbe un amico, dandosi consigli a vicenda o addirittura gettandosi a tradimento in imprese che non avrebbero affrontato altrimenti da soli. C’è dell’Eros, non eccessivo vista la giovane età dei protagonisti, ma significativo, il fatto di possedere nel modo meno metaforico possibile il corpo altrui, fornisce la scusa di inserire l’attrazione fisica, più evidente in Taki quando si trova di fronte al corpo femminile, ma presente anche in Mitsuha in maniera più delicata forse. E soprattutto, c’è Caritas, l’affetto puro, più profondo una volta che i due ragazzi si perdono a vicenda. Lo stesso concetto di perdita è ampio, non riguarda solo la perdita di vista, ma anche della memoria e poi della vita. La perdita di Mitsuha, che crede di essere stata dimenticata, quando ancora non era stata conosciuta. E la perdita di Taki, che genera un cratere a forma di infinito. E poi accumuli di temi tipici della cultura giapponese, l’isolamento, l’incomunicabilità, la gigantesca minaccia della natura sempre presente in un paese martoriato da secoli. Tutto questo avviene con una semplicità disarmate, e legato attraverso un semplice filo rosso. Il filo rosso della ragazza dimenticata, che Taki cerca, intravede, mi ha ricordato l’ombrello giallo di How I Met Your Mother come simbolo, chi lo porta addosso, è THE ONE.
La grandezza del disegno nei dettagli, nel corpo che impercettibilmente cambia, a seconda del proprietario, maschile o femminile. il contrasto sempre perenne in Giappone, presente anche in Miyazaki, tra antico e nuovo. Il passo ulteriore che forse fa Your Name rispetto a Miyazaki è la considerazione del nuovo non del tutto negativa, anzi, antico e nuovo possono coesistere, e il vecchio spesso risulta una semplice convenzione una zavorra, così come il nuovo rappresenta un passo di troppo verso l’isolamento. Entrambi hanno difetti e pregi. Ma ciò che ho amato di più è stato il rapporto totalmente paritario tra i due personaggi. Non c’è un superiore, non c’è un migliore, non c’è qualcuno di più attivo o qualcuno di più passivo, ma si migliorano a vicenda, si corrono incontro a vicenda. La perdita è sempre dietro l’angolo, sempre semplice e incombente. Fortunatamente esistono i nastri intrecciati rossi, a creare un legame inossidabile.

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“Ogni tanto, la mattina, quando mi sveglio, mi capita di ritrovarmi in lacrime. “ / 22 Ottobre 2019 in your name.

Considerato da tutti l’erede di Hayao Miyazaki Shinkai realizza, dopo lo splendido”5 cm al secondo”, un’altra meraviglia per gli occhi e per l’anima, una storia d’amore mai melensa che partendo da uno spunto fantastico (i salti temporali) si trasforma poi in un qualcosa di struggente e commovente che ti scioglie dentro, una fusione di emozioni coadiuvata da una tecnica grafica superlativa con una cura eccellente anche nei più piccoli particolari.
Un’opera incantevole, ricca di quella spiritualità tipica dell’Oriente tanto lontana dal pensiero e dal modo di vivere di noi occidentali, un’opera dolce e malinconica che conferma il grande talento di Shinkai.

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Che belle tette che ho / 5 Ottobre 2017 in your name.

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

In Giappolandia due ragazzi sui 17 y-o, Mitsuha (che non è un’amica di Frances-ha anche se sembrerebbe) e Taki. La prima vive in un villaggio, tra le montagne, scuola, figlia del sindaco ma vive nel tempio con nonna e sorella, sputa il sake per conservarlo perché la tradizione così vuole, e ovviamente vorrebbe la grande città. Taki Tokio a vive col padre, scuola, lavora in un ristorante italiano dove vorrebbe bombarsi la capocameriera (alla fine non se l’è bombata nessuno, please parliamone u_u). A una certa i due iniziano a sognare di vivere la vita nel corpo dell’altro, intere giornate; così spesso che si abituano, si scrivono note e consigli su cosa è successo, bisticciano, si danno consigli. Quindi prima parte tutta sul tema dello scambio di corpi, come mille altri prima, con linea comica dettata da Taki che ogni volta che si sveglia nel corpo di Mitsuha non riesce a fare a meno di toccarsi le tette per i primi 20 minuti, anche quando ha promesso a lei che fatto non lo avrebbe. Tutto ad un tratto il legame si spezza. — per evitare lo spoiler IMHO puoi fermarti qui e vedere il film — Taki parte con due amici per cercare il villaggio di Mitsuha, ma a caso, ha solo un disegno e i suoi ricordi. Scopre che quello è Itomori, ma che il villaggio non esiste più, distrutto dalla caduta di una cometa spezzata tre anni prima. Ed è a quel punto che ciao, le linee temporali a puttane bellamente se ne vanno e nulla ha più senso, nondimeno tantissimo piangi quando in testa ti fa clic il meccanismo per cui lei è stata morta sempre, insieme a tutti gli altri a cui affezionato ti eri. O forse. Taki riaccende somehow la connessione, e finalmente si incontrano, sul bordo di un tramonto trasparente. Prima di sparire all’altra l’uno, si scrivono i nomi sulle mani (c’ho i pugni nelle dita!), ma lui scrive a lei “ti amo” (il romanticismo sucks, sempre), lei non fa in tempo. Scordano tutto. Anni dopo (sette, sono sette, dillo!), la cometa è caduta lo stesso ma grazie al piano di Taki ha fatto meno strage di prima. Taki e Mitsuha vivono a Tokio con la sensazione di aver perso qualcosa (your name). Finalmente, in un finale reiterato e straziante dove pensi che se questi non si ritrovano appicchi fuoco alla sedia del cinema, sul far di una scalinata si incrociano e riconoscono, insieme ai loro fottuti nomi.
Inseguito ho questo film per almeno mesi, morte alla distribuzione dei giappi che dura solo tre giorni per mungere i biglietti. Laddove il commerciale incontra la meraviglia, non so voi ma ho pianto come un vitello. Attenzione, un vitello di Kobe eh. Per le stelle cadenti che sono belle sempre ma a metà del guado diventano la morte per lei, per i treni che si incrociano e allontanano e il destino e le porte che scorrono a fare da cesura a tante delle scene. Lungo un binario che è sempre doppio, lei e lui, il ri-conoscimento (e innamoramento) dell’altro, la dicotomia villaggio/città, e modernità/tradizione e insomma, mancavano solo Mai dire banzaiii e i feticisti delle mutandine delle studentesse su internet e i ristofuzion sushi allyoucaneat e poi ci sarebbe stato tutto il jap che conosciamo. Ok, Kurosawa, Miyazaki e Ozu. No dai, Ozu nel villaggio c’era, e c’eravamo noi e una ca**o di cometa scissa in due che giùgiù arrivava bellissima.

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Carino / 27 Gennaio 2017 in your name.

Non al livello di altri film, ma carino.
Trama abbastanza interessante soprattutto dalla seconda metà in poi, personaggi simpatici. Grafica non male per i paesaggi.
Da vedere come film leggero.

Paradossi e tenerezza / 8 Dicembre 2016 in your name.

Pur rimanendo nel solco narrativo dei suoi precedenti lavori, di film in film Shinkai dimostra di progredire esponenzialmente dal punto di vista estetico: raggiungendo livelli di dettaglio ambientale davvero impressionanti per definizione e abbondanza, con il trascorrere del tempo egli ha migliorato notevolmente anche il character design, giungendo infine ad un buon equilibrio tra forma e sostanza.

Con il temporalmente complesso Kimi no na wa, però, il regista nipponico fa un leggero passo indietro rispetto al suo ultimo lungometraggio, Il giardino delle parole (che, qui, dà il nome al ristorante italiano in cui lavora il giovane protagonista!), poiché torna a sublimare il solito interessante tema della distanza, ricorrendo nuovamente ai suoi amati paradossi temporali (vedi, per esempio, La voce delle stelle, 5 centimetri al secondo), un cliché narrativo che rischia di diventare elemento esclusivo della sua produzione.
Al di là di questo, il film in oggetto è una tenera storia d’amore, divertente e avvincente, ricca di colpi di scena, che, a proposito di sentimenti, parla anche di affezione per le tradizioni, dell’unità della famiglia, dell’importanza degli amici, della dicotomia tra folklore e modernità nella cultura giapponese.

Da più parti, visto anche il puntuale successo di pubblico riscosso in patria dai suoi lavori, Shinkai viene ritenuto concretamente un possibile erede di Miyazaki Hayao: personalmente, preferisco non fare paragoni tra i due, perché, al di là dell’altissima qualità estetica dei rispettivi lavori, credo che i loro film abbiano origini diverse, nascano -insomma- da esigenze creative differenti.
Vista l’attenzione per il contesto rurale dimostrato in questo film, però, ho come l’impressione che Shinkai abbia attinto coscientemente dalla filmografia di Miyazaki: in particolare, ritengo che gli “omaggi” più espliciti siano rappresentati dal potere magico del nome desunto da La città incantata e dalla rappresentazione fisica e caratteriale delle due sorelle, una sorta di versione cresciuta di Satsuki e Mei di Totoro.

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