M / 4 Novembre 2020 in Yoman

The warm soup is tempting, but I know I must choose from now on: to eat the soup or to film the soup.

Lo stupendo, lunghissimo, estenuante documentario di David Perlov, 5 ore e mezza, è il vero Uomo con la macchina da presa. Perlov, cineasta israeliano di progetti perlopiù mai andati in porto (mai finanziati) e insegnante di cinema all’Università di Tel Aviv, decide a un certo punto di imbracciare la sua telecamera portatile senza un vero scopo, fa installare una macchina per il montaggio in casa sua e per dieci anni, dal ’73 all’83, filma tutto il filmabile: momenti privati e pubblici, la famiglia (le due figlie in particolare), gli incontri con i vecchi amici (tra gli altri, il grande Joris Ivens, il padre del documentario), i viaggi, le manifestazioni di piazza, le conoscenze più intime mentre mangiano, cantano, ballano, le sue lezioni all’università, i film che guarda, i dibattiti parlamentari sulla guerra in Libano, i telegiornali che segue quasi controvoglia (danno sempre brutte notizie), persino il montaggio stesso del film e il montaggio di un altro lunghissimo e fondamentale documentario, Shoah di Lanzmann (una delle figlie di Perlov ne era la montatrice). Raccoglie poi tutto questo girato che si può presumere di migliaia di ore e lo monta per comprimerlo in un’opera di 330 minuti, commentando col suo inglese imperfetto e profondo tutto ciò che avviene sullo schermo: succede solo in alcuni precisi momenti che Perlov lasci parlare solo le immagini senza commentare. Lui, l’uomo con la macchina da presa, è l’unica divinità possibile e non può esimersi dal glossare, è un suo dovere esattamente come girare e montare, ed è uno dei punti salienti del film, vista l’intelligenza e la raffinatezza dei suoi ragionamenti.
Un film che non è un tentativo di esplorare le possibilità del cinema, ma semmai di esaurirle. È pensabile un film che dica o faccia qualcosa che non sia già contenuto, in nuce, qui dentro? Esiste una qualsiasi tecnica di ripresa, di montaggio, di uso del sonoro che Perlov non abbia utilizzato? È davvero esauribile il cinema o è una tecnica sempre aperta, sempre rinnovabile? E ancora, è in grado il cinema, in una qualsiasi delle sue forme, di raccontare la realtà? E di dire la verità? Sono queste le domande che si leggono fra le righe dei tanti discorsi di Perlov, che parla d’altro, di tutto, per lasciare inevase queste domande che probabilmente una risposta non hanno. Quel che rimane è un incontenibile senso di meraviglia.

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