Avanzare in linea retta. / 26 Marzo 2014 in Xi You

(Appunti sparsi)

La velocità, fisica e mentale, con cui si muove il monaco di Tsai Ming-Liang amplifica e dilata il ritmo del contesto che lo circonda, ma da cui egli resta estraneo: all’interno del vuoto pneumatico della città, in cui ogni individuo sembra destinato, per costituzione, al movimento accelerato e, forse, intrinsecamente privo di scopo, forse circolare, il suo avanzare millimetrico e concentrato, in (apparente) ottusa linea retta, costituisce un episodio non contemplativo, ma quasi disturbante, sicuramente alieno, per chi lo osserva in presa diretta.
La lunga sequenza in cui, tra i vicoli di Marsiglia, il monaco avanza dinanzi ad un bar i cui avventori lo osservano, prima incuriositi poi vagamente annoiati, senza comprendere il motivo della sua lentezza (con tanto di vecchietta che passa e ripassa, commentando animatamente la questione) è particolarmente significativa. Il monaco è letteralmente estraneo all’ambiente, la lama di luce che, filtrando tra i palazzi circostanti, lo investe alle spalle, circonfondendolo di luce, disegnando la sua sagoma caratteristica sul lastricato, esalta la sua unicità, come se si trattasse di un occhio di bue che inquadra il protagonista di un dramma su un palcoscenico teatrale: la presenza di Lavant che, alle sue spalle, replica pedissequamente i suoi movimenti non normalizza la situazione, ma la rende ancor più originale.

Come accadeva in Walker, alcuni passanti lo fotografano, senza sapere chi sia, né perché si comporti così, per il semplice gusto di immortalare un accadimento strambo. Non è un caso che alcuni di essi siano attratti più dalla presenza della macchina da presa che dalla figura di rosso vestita: in tali momenti, il mediometraggio diventa quasi saggio sociologico, documentario sulle metropoli in cui il senso privato e mistico della ricerca si perde nell’obbligo della velocità, della curiosità fine a sé stessa, produttiva, mediatica.

Chi osserva il monaco, pur senza muoversi materialmente più velocemente di lui, perché seduto, è comunque distante, si trova su un altro livello fisico e mentale: il tentativo del personaggio di Lavant di imitarlo denota un desiderio di omologazione che lo rende quasi più insensato del comportamento del monaco stesso. Ha compreso perché il monaco incede così? Di cosa ha bisogno Lavant per arrivare al punto di imitare il monaco e di seguirlo? Cosa ha scorto, se qualcosa ha scorto, nell’avanzare del monaco?

Il senso fotografico di Tsai Ming-Liang, qui, si fa più sottile e misurato che nel comunque esteticamente pregevole Walker: i giochi prospettici sono più calmierati e la costruzione delle prospettive centrali e la ricerca della simmetria sono meno palesi, i giochi visivi vengono percepiti in maniera meno diretta.

Ci sono due sequenze, decisamente belle, in cui la folla, comunque diradata, accoglie l’avanzare del monaco, senza quasi vederlo: esse sono accompagnate da un brano musicale al pianoforte che, prima, si confonde con il brusio di fondo costante della città, e, poi, dolcemente, lo soverchia, confondendolo e confondendosi con esso. Le riprese che caratterizzano queste scene contribuiscono ad evidenziare lo scollamento esistente tra la dimensione fisica del monaco e quella della gente che si trova intorno a lui.
La sequenza in cui lo schermo è occupato per i due terzi da una copertura metallica nel cui intradosso si riflette il contesto ad essa sottostante è emblematica: nel terzo di schermo in cui è visibile la città materiale, essa sembra priva di vita, nessun corpo umano o animale la occupa. Tali entità biologiche, forse reali, forse immaginate, sono presenti solo nel riflesso della città, rovesciate, sulla superficie del metallo che le riflette con contorni indefiniti, incerti. Il corpo del monaco compare, riconoscibilissimo, dall’angolo in basso a destra e, improvvisamente, nonostante la lentezza con cui si inserisce nell’inquadratura, il senso di sospensione si altera: un elemento di disturbo, una componente aliena (appunto), spezza e ricompone il quadro, fa esplodere il sogno.

Come stelle, un errore della vista,
come un lampo, un’illusione magica, gocce di rugiada, o una bolla,
un sogno, un fulmine, o una nuvola.
Così dovremmo vedere ciò che è condizionato.

Tsai Ming-Liang

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