Recensione su La ruota delle meraviglie

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Biancaneve a Coney Island, sotto la Ruota delle Meraviglie / 17 Aprile 2018 in La ruota delle meraviglie

Ammetto che, quale estimatrice del periodo di Woody Allen post-Match Point, che salvo qualche eccezione (To Rome With Love faceva schifo lo so), ha regalato film che mi sono piaciuti veramente tanto e degni di essere accostati al periodo d’oro della sua produzione.
Allen, come sappiamo, tende molto a ripetersi, molte delle figure, e dei personaggi che rappresenta, sono caratteri fissi, che di volta in volta si sviluppano diversamente. La Ruota delle Meraviglie non è un eccezione in questo.
Ginny, è un’ ex attrice, ex alcolista, finita a fare la cameriera, sposata a un uomo che seppur fondamentalmente buono, è rozzo e non lo ama. Ha un figlio che ha un bisogno compulsivo di accendere fuochi, e un amante più giovane. Insomma un’altra donna tendente al Bovaryismo, senza avere però abbastanza slancio da sognatrice.
La Ruota in sottofondo, e Coney Island, ossia l’ambientazione, possono considerarsi un personaggio a sè, come Parigi per Midnight in Paris o New York per Manhattan o Io e Annie. E su questo sfondo si muovono i personaggi allo stesso ritmo della ruota panoramica.
Premetto che non si tratta di un film perfetto, anzi mi dà l’idea di un abito di grande confezione, ma con qualche filo fuori posto. Al maestro sarebbe bastata qualche rifinitura in più per renderlo ancora più valido. Tuttavia mi è piaciuto molto, sarà che quando vedo una fotografia che mi piace, io vado in brodo di giuggiole e non capisco più nulla (altrimenti non avrei rivisto più volte (“Era mio padre”). Il perno centrale della storia è Ginny, come lo era Jasmine in Blue Jasmine. Le due donne hanno molto in comune, sono entrambe quarantenni, narcisiste, profondamente antipatiche e sull’orlo del crollo nervoso. Anche nella scrittura, nonostante Jasmine e Ginny abbiano un background completamente differente, si somigliano molto, nel modo di esprimersi e di affrontare le varie circostanze. Quello che cambia è sono le due attrici, che non è cosa da poco. Laddove Jasmine era slanciata, ieratica, quasi aristocratica, Ginny è invece formosa, più scomposta, più limpida nelle intenzioni. Jasmine era una Ceneretola che ha fatto il percorso inverso, Ginny invece è vicina alla matrigna di Biancaneve (infatti lo stesso Allen è un dichiarato appassionato della fiaba più volte).
La storia infatti si mette in moto con il ritorno della figliastra di Ginny, Carolina. Biondina tutta burro, modi gentili, e occhi chiari, che ama anche la matrigna che invece la detesta per via del fatto, come nella fiaba, è una donna più giovane, più bella, più libera, con tutte le opportunità ancora in mano. Ricalca in parte la dicotomia tra Mary e Tracy in Manhattan, nella caratterizzazione, ma senza quel valore ideale che dava l’autore alle due figura femminili. Insomma una fiaba cruda e amara, che si sviluppa sotto questa idea cardine, ma che lascia lo spazio ad altri personaggi molto interessanti.
Jim Belushi, nel ruolo del marito di Ginny, mi è piaciuto molto, forse anche per via dello straordinario doppiaggio di Pannofino. Onore alla profonditò che ha dato Allen a quello che è un uomo di tutti i giorni, attaccato allo stadio e alla pesca, col vizio della bottiglia e la facile schiassata.
Piccola pecca ahimè, Justin Timberlake non mi ha convinto, lui è un attore buono per In Time forse, al massimo per the Social Network, ma non certo per fare il “sognatore ” tipico del film alleniano. Era anche scritto abbastanza bene, si capisce che non ama le grandi donne, ama solo le grandi storie, o al massimo i grandi drammi. Altrimenti non ne provocherebbe uno. Solo che ha troppo quell’aria da “disney” misto “pop di bassa qualità” per risultare credibile in un fim Jazz anni 50.
E’ lui, innamorandosi di Caroline, che innesca l’invidia matrigna di cui parlavo prima, ha la funzione dello “Specchio ” di Biancaneve, potremmo dire, ma come interprete ripeto, si poteva trovare molto di meglio.
Anche il bambino, personaggio più piccolo ha una grande importanza morale e filosofica, ed è forse alter-ego morale di Allen (rosso di capelli e teppistello… mi ricorda qualcosa…). Il bambino soffre, e quindi da fuoco alle cose. Come la presenza del nichilismo attanagliante, del fascino della distruzione della materia, e anche come miccia che innesca molte vicende legate alla trama.

Insomma questo film mi è piaciuto molto, mi ha conquistata, non mi ha mai annoiata. Se non lo avesse scritto e diretto Woody Allen probabilmente molti lo avrebbero elogiato come tra i migliori film dell’anno. Ma purtroppo lo ha fatto lui, e da lui sappiamo cosa aspettarci, e ci delude quando si ripete. Senza contare gli ultimi scandali in cui è coinvolto, sui quali non mi esprimo perché sto giudicando solo l’artista e non la persona in questo momento. Per me, come dicevo sarà anche ripetitivo, ma trova anche il modo di rinnovarsi, non so come. E non mi ha deluso nemmeno questa volta.

3 commenti

  1. paolodelventosoest / 19 Aprile 2018

    Ottima recensione, @alicia anche io sono un estimatore del Woody contemporaneo. Il cast mi ispira molto!

  2. Alicia / 19 Aprile 2018

    grazie mille!!!

  3. Stefania / 20 Aprile 2018

    Il film non mi ha convinto molto (vedi recensione), però mi è piaciuto molto il parallelismo con Biancaneve che hai messo in evidenza 🙂

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