Recensione su I segreti di Wind River

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altra bomba a mano del buon Sheridan / 6 Settembre 2018 in I segreti di Wind River

Un cacciatore trova il corpo di una nativa americana. Lui la conosce bene, è la giovane figlia di un suo amico che vive nella riserva di Wind River. Per il cacciatore la ragazza è una guerriera perché è morta lottando, ha corso per una decina di chilometri nella neve prima di cedere al freddo e al collasso dei polmoni.
Ma andiamo con ordine.

Wind River è l’ultimo film del Texano dagli occhi di ghiaccio Taylor Sheridan. Sheridan, nascendo in un ranch in Texas e crescendo in un ambiente desolato e minimale, il western e il west li conosce bene. Badate, questa non è una cosa scontata. Oggi si tende a fare film con temi che si conoscono poco o che non si conoscono affatto, Taylor invece essendo un americano di frontiera sa come muoversi in questo ambiente. Sheridan è un uomo da non sottovalutare, nasce come attore partecipando alla un episodio della serie Walker Texas Ranger e ad altra roba che magari lo spettatore medio visitando la sua pagina su Imdb e leggendola storce il naso. Però, tenetelo sempre a mente guardate i film da oggi in poi, Taylor Sheridan non è un figlio d’arte e neppure un figlio di papà coi dolla dolla, è uno che si rimbocca le maniche come solo gli uomini del sud sanno fare. La vita non gli ha regalato un ca**o, ha aspettato trenta lunghi anni prima di dire la sua e grazie al suo pragmatismo e spirito d’adattamento ha partorito nel giro di pochi anni: Sicario; Hell or High Water; Wind River.
Statece.

E torniamo al film allora, una favola western dal sapore amaro, un film sulla frontiera nella fine degli anni ’10 del XXI secolo in cui l’epica è assente e allo spettatore rimane un senso di vuoto e di rabbia incolmabile. Siete ancora qui? Grazie.

La ragazza viene trovata dal cacciatore, il cacciatore segue le tracce del lupo solitario o del branco che le ha portato via la vita, del resto l’episodio lo sente suo perché anni prima anche sua figlia (mezza nativa, mezza bianca) è stata uccisa da un ignoto. Il film è tutto qui, padri che perdono i figli, solo poi arriva l’FBI. Ma l’FBI manda una donna che non è preparata per affrontare né la situazione né l’inverno freddo del Wyoming e allora? allora niente, il cacciatore aiuterà la “forestiera”. IL film si muove tra le foreste innevate e i discendenti delle tribù native che con astio non si lasciano avvicinare dalla legge.

Una delle sequenze più belle è l’arrivo del cacciatore in una delle case di Wind River, dal finestrino dell’automobile il cacciatore può vedere una bandiera americana al contrario.
Un segno di protesta, perché, vedete, sebbene a Wind River tutti si conoscano, all’interno della comunità nativa ci sono una serie di problemi che gli States fanno finta di ignorare.
Wind River proprio perché riserva è una terra che confina gli indigeni. Le riserve indiane le ho sempre viste così, come delle prigioni a cielo aperto e se ci pensate bene fanno parte di una delle politiche più assurde degli Stati Uniti, usate per “nascondere” uomini e donne espropriati delle loro terre sacre e lasciati nel dimenticatoio. Nel precedente film di Sheridan, Hell or High Water, avviene uno scambio di battute durissime fra Alberto Parker (Gil Birmingham) e Marcus Hamilton (Jeff Bridges) in cui Marcus si incazza perché un tempo quello che vede (per lo più case e negozi di una città di frontiera) erano proprietà dei suoi amici e ora che le banche stanno prendendo tutto, i suoi conoscenti sono incazzati. Allora Alberto che è parte messicano, quindi Indio, sbotta e tira fuori una delle verità più pesanti di un film americano dei nostri tempi:

«Molto tempo fa i tuoi antenati erano gli indiani fino a quando qualcuno è arrivato e li ha uccisi.150 anni fa tutto questo era terra dei miei antenati. Tutto ciò che puoi vedere. Fino a quando i nonni di queste persone lo hanno preso. Ora è stato preso loro dalla Texas Midland Bank e son contento»

Era una roba così, non ricordo se tutto fili al 100% ma la battuta più o meno era questa.
Sheridan lo sa, i visi pallidi coi pellerossa non si sono comportati bene, ma questo non lo dico solo io e non lo dice solo Sheridan…Lo dice un signore chiamato J O H N F O R D
Vi rimando a un breve passaggio tratto dall’intervista di Peter Bogdanovich al Sommo

Peter Bogdanovich: The Indians are always given great dignity in your films?
John Ford: It’s probably an unconscious impulse—but they are a very dignied people—even when they were being defeated. Of course, it’s not very popular in the United States. The audience likes to see Indians get killed. They don’t consider them as human beings.
I’ve killed more Indians than Custer, Beecher and Chivington put together…Let’s face it, we’ve treated them very badly—it’s a blot on our shield. We’ve cheated and robbed, killed, murdered, massacred and everything else, but they kill one white man and, God, out come the troops.

— John Ford, book of interviews by Peter Bogdanovich, 2nd Edition.

Poi le persone si stupiscono se io mi inca**o quando leggo sulle pagine fb che John Ford era razzista. Queste persone devono ringraziare il loro personal jesus se non viviamo ne La Notte del Giudizio, avrei delle cure medievali per i loro culi. Ma torniamo al film, di nuovo.

I nativi quindi girano la bandiera degli States e la poliziotta, dopo una prima gaffe, arriva a comprendere i motivi di un padre che si chiude in sé stesso per la morte della figlia e, soprattutto, capisce (quasi) l’astio dei pellerossa. All’interno della riserva indiana il degrado abbonda: i giovani fanno uso d’eroina, di crack e altre cose poco piacevoli; di lavoro non ce ne è l’ombra; la mancanza di alternative e di collegamenti con il resto della civiltà aiutano i ragazzi a “morire dentro” ogni giorno di più. Infine le forze dell’ordine, che devono controllare un territorio grande più o meno come l’Umbria, sono praticamente una manciata. Sebbene le nuove generazioni siano indebolite da tutto ciò c’è chi, come il cacciatore, ha fatto tesoro dei silenzi e della neve del Wyoming.
Il cacciatore quindi entrerà nel cuore dell’indagine, sarà il vero protagonista di questo giallo western, ma fondamentalmente rimane cacciatore che fa quello che un buon cacciatore sa fare: seguire le tracce ed eliminare il problema.

La recensione è finita, ora vorrei portare la vostra attenzione a un altro tema del film, probabilmente la metà di voi avrà lasciato perdere da un po’ questo approfondimento ma ci sta tutto e non mi offendo. Quindi parlo a quei quattro gatti rimasti, questa è stata per me una parte difficile da scrivere e l’ho cancellata tipo 10 volte prima di lasciarla così come è.
Quando al Tg si sente dell’ennesimo massacro nelle scuole Statunitensi io ho paura, lo dico con tutta franchezza, ma io vengo dalla Sabina e a casa mia le armi ci sono. Nascoste, smontate, ma ci sono. I miei genitori mi hanno insegnato cosa voglia dire avere le armi a casa e quanto possano essere pericolose. Io e mio fratello ne stavamo alla larga e tutto procedeva per bene. Da piccolo frequentavo le case degli amici dei miei e le armi erano presenti pure lì.
Sempre chiuse in gabbiotti o in armadi, ma presenti. Nessuno di quei genitori lasciava le armi in mano ai figli, sebbene in Sabina più o meno i 2/4 degli individui maschi in età fertile vada a caccia.

Non vado a caccia, ho da poco 27 anni e, fermo restando che chi dà in mano un fucile a un dodicenne per me non sta bene con la testa, penso che un popolo armato sia un popolo forte. Quindi il problema semmai non va ricercato nella pericolosità delle armi ma nell’educazione al loro uso.

E a me quello che fa Taylor Sheridan è piaciuto parecchio, perché nel film le armi sono l’unico rimedio a quello che assistiamo, l’unica cura e soluzione quando si combatte la lotta contro l’animale più pericoloso di tutti: l’uomo.
A Wind River

DonMax

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