Il rapporto Pacino-Wilde / 6 Maggio 2016 in Wilde Salomé

Salomè, figlia adottiva di Erode, è oggetto del desiderio di suo padre. Ella però si invaghisce di Giovanni Battista, tenuto prigioniero in un pozzo dal re, che lo teme e lo venera per la sua santità, ma le cui grida arrivano alle orecchie della fanciulla, che, incuriosita e ammaliata, scende a soddisfare il suo desiderio. Trovando un Giovanni refrattario a qualsiasi forma di sessualità, si vendicherà contro di lui facendogli tagliare la testa dallo stesso re Erode. Il film “Wild Salomè” raccoglie l’eredità di Oscar Wilde come trampolino di lancio per un confronto serrato, un’esperienza di conoscenza dell’autore e della sua opera che non è meramente di studio, ma anche e soprattutto emotiva, viscerale, amorale.
A cavallo tra documentario e narrazione, “Wilde Salomè” vuole creare un’opera che renda conto della pièce teatrale portata a Los Angeles da Estelle Parsons e dallo stesso Pacino, ma al medesimo tempo vuole creare un dialogo con Oscar Wilde, autore del dramma, che sia in parte ricostruzione storica, in parte confronto.
“Wilde Salomè” è un’opera di relazione con uno scrittore sì arcifamoso come Oscar Wilde, ma anche estremamente intima per il regista, con cui ha un reale rapporto di affetto, di confidenza, di amore anche nel senso omossessuale. Ma ancora di più: Al Pacino, oltre a sentire Wilde in relazione a sé, lo impersona, diventando quel sé con cui è in perenne dialogo e monologo. Wilde è musa ispiratrice ma anche padre, e (nel senso freudiano) la figura che Pacino vuole sostituire, uccidendola e acquisendola. Un omaggio, una psicanalisi, una lotta, un documentario e un dialogo: tutto questo in Wilde Salomè collega il regista al grande scrittore, dipanandosi nel film su molti livelli logico-narrativi. È in primis un’opera di cui l’autore sente il bisogno per se stesso, non è un’opera di sacrificio che intende donare al pubblico: è una catarsi.
Paragrafo a parte per parlare di Jessica Chastain. La sua prova attoriale è totalizzante. Non appare molto nella parte documentaristica, o almeno non incidendo particolarmente, ma sfonda il grande schermo nelle sequenze di cinema puro. Nonostante la sua età (34 anni quando fu girato il film, nel 2011) riesce a sembrare la ragazzina che in realtà Salomè era, conservando quella potenza sensuale (e sessuale) che è la chiave di comprensione del personaggio. Una devozione al mestiere di attrice sbalorditiva, impeccabile nel suggerire stati d’animo e psicologia, tanto da far quasi rimpiangere un’intera opera su Salomè, piuttosto che un documentario di cui lei è solo parte.

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