Recensione su Welcome

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17 Febbraio 2011

Bilal viene dal Kurdistan, ha percorso a piedi 4000 km fino a Calais ed ora intende attraversare la Manica per raggiungere la sua fidanzata a Londra. Ha l’entusiasmo dei 17 anni, ma in mente gli orrori già vissuti della guerra e del viaggio lungo e difficile. Per passare la frontiera gli occorrono polmoni d’acciaio: se ti nascondi in un tir, devi infilare la testa in un sacchetto di plastica per non farti scoprire dai dispositivi della polizia. Ma lui non ce la fa ed è costretto a rimanere in Francia, tra la spiaggia e la città, in uno spazio di nessuno popolato da clandestini disperati.
Simon – un intenso Vincent Lindon – è un ex campione di nuoto sui cinquanta, t-shirt e ciabattine trascinate svogliatamente ai bordi della piscina comunale dove fa l’istruttore, mentre nel petto porta i cocci di un cuore frantumato dalla separazione dalla moglie di cui è ancora profondamente innamorato.

Dall’incontro fra i due e dall’assurdo sogno di Bilal di raggiungere a nuoto le bianche scogliere di Dover nasce una toccante storia di amicizia e amore, che finisce per lasciare più spazio alla sfera emotiva e privata, piuttosto che alla facile descrizione dei meccanismi polizieschi o legali che si abbattono sui clandestini. Una scelta che si rivela vincente, perché in questo modo il film – pur condannando apertamente la politica di monsieur Sarkozy – evita la facile predica moralistica sull’inospitalità dei Paesi ricchi e chiede per prima cosa allo spettatore di appassionarsi ai percorsi umani di due individui soli di fronte al loro bisogno d’amore.

Splendido e tristissimo nella sua dolorosa inevitabilità e drammaticità, il film di Philippe Lioret non cede al buonismo e alla retorica, ma preferisce raccontare la realtà senza espedienti da sceneggiatori, perché la realtà non si inventa e quando è di questo tipo supera di gran lunga l’immaginazione.

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